Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10114 del 28/05/2020

Cassazione civile sez. trib., 28/05/2020, (ud. 15/10/2019, dep. 28/05/2020), n.10114

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino – Presidente –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. ANTEZZA Fabio – Consigliere –

Dott. NOCELLA Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 10486/2018 R.G. proposto da:

AGENZIA delle DOGANE e dei MONOPOLI, C.F. (OMISSIS), rappresentata e

difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

ITALCEMENTI S.P.A., C.F. (OMISSIS), con sede in (OMISSIS), rapp.ta e

difesa, giusta procura in calce al controricorso, dall’Avv.

Basilavecchia Massimo del Foro di Pescara ed elett.te dom.ta presso

lo studio dell’avv. Sandulli Piero in Roma, Via F. Paolucci dè

Calboli n. 9, altresì difesa dall’avv. Fabio Massimo;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Toscana n. 2241/13/17, depositata il 19 ottobre 2017, notificata il

29.01.2018.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 15 ottobre 2019

dal Cons. Nocella Luigi.

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. Basile Tommaso, che ha concluso per l’accoglimento

del ricorso.

Udito l’Avv. Rocchetta Gianmarco per l’Agenzia delle Dogane, che ha

concluso per l’accoglimento del ricorso.

Udito l’Avv. Fabio Massimo per la contribuente che ha concluso per il

rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La s.p.a. Italcementi proponeva innanzi alla CTP di Firenze ricorso avverso il provvedimento emesso il 3.04.2012, con il quale l’Agenzia delle Dogane della stessa ottà aveva respinto l’istanza di rimborso dalla medesima proposta per il rimborso della somma di Euro 40.920,00, versata ai propri fornitori per addizionale provinciale alle accise su energia elettrica consumata negli stabilimenti produttivi della provincia e corrisposta dal gennaio 2010 all’ottobre 2011, e ritenuta non dovuta siccome imposta incompatibile con la previsione dell’art. l p.2 Dir. CE 2006/118. In particolare l’Agenzia aveva motivato il diniego eccependo il difetto di legittimazione della Società, derivante dalla mancanza di qualifica di soggetto obbligato al pagamento dell’imposta.

Nel ricorso introduttivo la Società deduceva, oltre a vizi formali di nullità del provvedimento, tanto la sussistenza della negata legittimazione attiva, quanto l’incompatibilità dell’imposta con il richiamato principio enunciato nella Direttiva CE n. 118/2008, chiedendo eventualmente deferirsi alla Corte di Giustizia UE la questione pregiudiziale sull’interpretazione della normativa nazionale istitutiva dell’addizionale (D.L. n. 28.11.1988 n. 511, art. 6, comma 1, lett. c), sostituito con la Dir. CE n. 118/2008, art. 1 comma 2).

La CTP adìta, con sentenza n. 880/03/2014, disattese le questioni formali, accoglieva il ricorso, affermando tanto l’incompatibilità dell’imposta con le disposizioni comunitarie in tema di accise (art..2 comma 1 Dir. CE n. 118/2008), quanto la sussistenza della legittimazione attiva della ricorrente alla ripetizione ex art. 2033 c.c. alla ripetizione di quanto versato, in quanto soggetto effettivamente inciso dal tributo; quindi, con la pronuncia oggetto della presente impugnazione, la CTR della Toscana ha respinto l’appello dell’Agenzia delle Dogane di Firenze, ribadendo i medesimi argomenti dei primi Giudici, ed ha condannato l’Agenzia alla rifusione delle spese di giudizio.

L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ricorre per la cassazione di tale sentenza, con atto notificato il 21.03.2018, fondato su tre motivi.

La società ha notificato il 2 maggio 2018 controricorso.

Nella pubblica udienza del 15.11.2019 il P.G. e le parti hanno discusso oralmente la causa ed all’esito della camera di consiglio la Corte ha deciso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo l’Agenzia delle Dogane lamenta violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.L. 28 novembre 1988, n. 511, art. 6 e dell’art. 1 p.2 Dir. 2008/118/CE in combinato disposto, evidenziando che la sentenza impugnata non avrebbe considerato che, in seguito dell’armonizzazione della normativa nazionale alla disciplina comunitaria delle accise introdotta con il D.Lgs. n. 26 del 2007, art. 5, soggetto obbligato al versamento era il soggetto fornitore dell’energia al consumatore finale, e la medesima Direttiva, così come la precedente, riconosceva agli Stati membri il potere di istituire imposte indirette sui prodotti soggetti ad accisa a condizione che i relativi proventi fossero destinati a finalità specifiche e non ad esigenze di coperture di bilancio, concedendo in merito ampia discrezionalità al legislatore nazionale; e che nel caso dell’Italia l’addizionale era stata istituita per garantire il funzionilmento delle autonomie locali, in particolare delle Province; laddove la soppressione delle medesime addizionali ad opera del D.Lgs. n. 68 del 2011, art. 18, comma 5 e del D.L. n. 16 del 2012, art. 4, comma 10, era dovuta non già all’incompatibilità con la normativa Europea, bensì rispondeva ad una ratio di armonizzazione con il menzionato art. 1 p.2 Dir. 2008/118/CE.

Con il secondo motivo la medesima ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., dell’art. 14 T.U.A., comma 2 e art. 53 T.U.A., comma 1 e art. 2033 c.c., evidenziando come la CTR avrebbe applicato alla fattispecie l’art. 2033 c.c. in presenza di norma speciale (il menzionato art. 14), invece totalmente ignorata; in realtà, in presenza di due distinti rapporti, quello d’imposta tra Amm.ne Finanziaria e soggetto obbliciato al pagamento dell’imposta (nella specie ill fornitore all’utente finale) e quello di compravendita o somministrazione tra fornitore ed utente finale, l’art. 14 inciderebbe esclusivamente sul primo, facoltizzando alla ripetizione dell’indebito esclusivamente i soggetti passivi dell’imposta, laddove il soggetto consumatore dell’energia, inciso solo indirettamente, sarebbe legittimato a richiedere la restituzione dell’imposta non dovuta esclusivamente al fornitore. Invoca in proposito i precedenti di Cass. n. 9567/2013 e n. 1838/2016.

Con il terzo ed ultimo motivo l’Agenzia denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2033 c.c., in combinato disposto con il D.L. n. 16 del 2012, art. 4, comma 10 e con l’art. 11 disp. prel. c.c.: infatti l’abrogazione dell’addizionale è priva di alcuna efficacia retroattiva e comunque non incide sulla posizione della società ricorrente, che risulta documentalmente non essere I soggetto che ebbe a versare le accise delle quali si deduce la natura indebita.

2. Il secondo motivo del ricorso, di natura preliminare ed assorbente di ogni altra questione, è l’ondata e deve essere accolto.

Il quadro normativo che regola le azioni di rimborso delle accise presenta un primo fondamentale versante nel D.Lgs. n. 504 del 1995 (TUA), nel testo applicatile ratione temporis (in epoca precedente al 3.12.2016 e successiva al 1.04.2010), secondo il quale per i prodotti sottoposti ad accisa l’obbligazione tributaria sorge al momento della loro fabpricazione ovvero della loro importazione (art. 2, comma 1); è obbligato al pagamento dell’accisa il titolare del deposito fiscale dal quale avviene l’immissione in consumo e gli altri soggetti nei cui confronti si verificano i presupposti per l’esigibilità dell’imposta (comma 4). Gli obbligati al pagamento dell’accisa sull’energia elettrica sono, tra gli altri, “i soggetti che procedono alla fatturazione dell’energia elettrica ai consumatori finali, di seguito indicati come venditori” (art. 53, comma 1, lett. a), mentre “i crediti vantati dai soggetti passivi dell’accisa verso i cessionari dei prodotti per i quali i soggetti stessi hanno assolto tale tributo possono essere addebitati a titolo di rivalsa” (art. 16, comma 3); all’art. 56 si precisa, altresì, che le società fornitrici “hanno diritto di rivalsa sui consumatori finali”.

L’art. 53, inoltre, al fine della certezza dell’adempimento dell’obbligazione tributaria e della corretta determinazione del debito d’imposta, impone a detti soggetti una serie di obblighi, quale la denuncia preventiva dell’attività e delle successive modificazioni rilevanti, la prestazione di una cauzione, l’obbligo di dichiarazione annuale dei consumi, e li assoggetta a poteri penetranti di controllo e di revoca delle autorizzazioni; e il D.L. n. 16 del 2012, art. 9, comma 2, ha aggiunto l’obbligo di indicare in dichiarazione i consumi fatturati nell’anno “con l’applicazione delle aliquote di accisa vigenti al momento della fornitura ai consumatori finali”. Tali obblighi rappresentano all’evidenza lo strumento operativo di collegamento tra le norme che identificano il rapporto d’imposta ed i suoi soggetti e quelle che individuano l’azione di rimborso ed i suoi titolari.

La disposizione generale in materia di rimborso delle accise indebitamente versate è peraltro l’art. 14, comma 2 dispone che “l’accisa è rimborsata quando risulta indebitamente pagata” e il rimborso – previsto in via generale dall’art. 9, par. 2, Direttiva n. 2008/118/CE del 16 dicembre 2008, che fa riferimento alle modalità stabilite dai singoli Stati membri – “deve essere richiesto, a pena di decadenza, entro due anni dalla data del pagamento”. La medesima disposizione di diritto iiterno prevede, inoltre, che “qualora al termine di un procedimento giurisdizionale il soggetto obbligato al pagamento dell’accisa sia condannato alla restituzione a terzi di somme indebitamente percepite a titolo di rivalsa dell’accisa, il rimborso è richiesto dal predetto soggetto obbligato, a pena di decadenza, entro novanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza che impone la restituzione delle somme”.

Va infine ricordato il D.L. 30 settembre 1982, n. 688, art. 19, comma 1, conv. con L. n. 873 del 27 novembre 1982, secondo cui “chi ha indebitamente corrisposto diritti doganali all’importazione, imposte di fabbricazione, imposte di consumo o diritti erariali (…) ha diritto al rimborso delle somme pagate quando prova (…) che l’onere non è stato in qualsiasi modo trasferito sii altri soggetti, salvo il caso di errore materiale”, norma applicabile “quando i tributi riscossi non rilevano per l’ordinamento comun:tario” (L. 29 dicembre 1990 n. 428, art. 29, comma 3). Per il rimborso dei tributi rilevanti per l’ordinamento comunitario opera, inv2ce, la L. n. 428 del 1990, art. 29, comma 2, il quale stabilisce che “i diritti doganali all’importazione, le imposte di fabbricazione, le imposte di consumo, il sovrapprezzo dello zucchero e i diritti erariali riscossi in applicazione di disposizioni nazionali incompatibili con norme comunitarie sono rimborsati a meno che il relativo onere non sia stato trasferito su altri soggetti, circostanza che non può essere assunta dagli uffici tributari a mezzo di presunzioni”.

3. Dal combinato disposto delle menzionate disposizioni emerge

che il soggetto passivo de rapporto tributario è solo il fornitore di energia, tenuto verso l’Erario al page manto dell’accisa come anche della relativa addizionale, avendo il legislatore inteso concentrare l’imposizione e il relativo controllo su pochi soggetti, ossia i produttori o gli importatori dei prodotti (Cass. Sez. V, 6.08.2014 n. 17627). Per costoro l’accisa è un costo sostenuto prima della cessione del bene, tale da farlo rientrare, ad esempio, nella base imponibile dell’IVA (Cass. Sez. V 3.1).2018 n. 24015), che può (e non deve, come per l’IVA) essere traslato sul consumatore finale, quale la CTR ha correttamente ritenuto essere la Italcementi S.p.A., quale componente del prezzo del bene o del servizio ceduto.

3.1. Tuttavia il primo precedente giurisprudenziale di questa Corte che ha affrontato ex professo la tematica sollevata dall’odierna ricorrente è quello di Cass. sez. V 15,.04.2013 n. 9567; precedente supportato da diverse pronunce (in essa ampiamente analizzate) che, sia pur ai più limitati fini dell’individuazione della giurisdizione circa le controversie in tema di rimborsi e/o restituzioni delle accise, hanno concluso nel senso che “il solo soggetto obbligato verso l’amministrazione finanziaria è l’Ente…che immette in consumo il gas e riscuote l’accisa inglobata nel prezzo (è una peculiarità che non incide sulla natura del tributo che resta distinto dal prezzo del gas…)” (Cass. SU 19.03.2009 n. 6589); ovvero che “il rapporto tributario si svolge soltanto tra l’Amm.ne Finanziaria e i soggetti che forniscono direttamente i prodotti; ad esso è del tutto estraneo l’utente consumatore (Cass. SU 25.05.2009 n. 11987)”. All’esito dell’excursus normativo e giurisprudenziale la citata sentenza ha potuto affermare che, ai sensi del D.L. n. 511 del 1988, art. 6 comma 3, “Schema analogo è seguito per il versamento delle imposte addizionali: l’imposta è dovuta dai soggetti che forniscono direttamente il prodotto ai consumatori quanto al consumatore, l’onere corrispondente all’imposta è su di lui traslato in virtù e nell’ambito di un fenomeno meramente economico … omissis … I due rapporti, si pongono quindi su due piani diversi: il primo ha rilievo tributario, il secondo civilistico… Dunque: il diritto al rimborso spetta esclusivamente al soggetto pas:;ivo dell’imposta, ossia al fornitore” (Cass. n. 9567/2013 cit.; analogamente Cass. SU 19.06.2008 n. 16612). Infine Cass. SU 1.02.2016 n. 1837 ha escluso che l’azione del consumatore nei confronti del fornitore per la ripetizione della quota di prezzo corrispondente al tributo e non dovuta possa essere qualificata come azione di rimborso.

Peraltro più recentemente la questione è stata nuovamente affrontata e risolta nel medesimo senso da Cass. sez.V 24.05.2019 n. 14200, con la quale, all’esito di una completa analisi e riconsiderazione della normativa, è stato enunciato il seguente principio di diritto, che qui si intende ribadire:”Le imposte addizionali sul consumo di energia elettrica di cui al D.L. n. 511 del 1988, art. 6, comma 3 (nel testo applicabile ratione temporis), sono dovute, al pari delle accise, dal fornitore al momento della fornitura dell’energia elettrica al consumatore finale e, nel caso di pagamento indebito, unico soggetto legittimato a presentare istanza di rimborso all’Amm.ne Finanziaria ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 14 e della L. n. 428 del 1990, art. 29, comma 2, è il fornitore. Il consumatore finale a cui sono state addebitate le imposte addizionali da parte del fornitore può normalmente agire nei confronti di quest’ultimo con l’ordinaria azione di ripetizione dell’indebito e, solo nel caso in cui alleghi che tale azione si riveli oltremodo gravosa, può direttamente richiedere il rimborso nei confronti dell’Amm.ne Finanziaria, nel rispetto del principio unionale di effettività”.

La Corte ritiene tale sintesi concettuale pienamente condivisibile e da confermare. Molteplici sono gli elementi che chiaramente smentiscono le principali affermazioni sulle quali si è fondata la CTR per disattendere l’appello dell’odierna ricorrente principale, prima tra tutte quella espressa dalla controricorrente Gewiss secondo la quale tra l’art. 53 e l’art. 14 non sussisterebbe alcun collegamento che consenta di ritenere che la legittimazione al rimborso sarebbe individuata dalla titolarità del corrispondente diritto.

La connessione tra azione di rimborso e pagamento dell’imposta (espressa negli artt. 2, 52 e 53 TUA) è fondamentale per ritenere la legittimazione esclusiva dell’unico soggetto passivo, e cioè il produttore distributore, la cui obbligazione sorge con la fabbricazione del prodotto: infatti il pagamento dell’imposta non può ravvisarsi in qualsivoglia pagamento intervenuto tra i vari soggetti che indirettamente subiscono l’onere economico dell’accisa, bensì si identifica nell’unico pagamento che soddisfa la pretesa tributaria, mediante adempimento dell’obbligazione tributaria nei confronti del soggetto mpositore; unico pagamento, del resto, dal quale decorre il termine di decadenza per l’azione ex art. 14, comma 2 (il cui termine a quo, si badi, è normalmente ignoto al consumatore); a meno di voler individuare un diverso termine di decadenza per l’acquirente consumatore dell’energia (o degli altri prodotti soggetti ad accisa) nel momento in cui egli subisce l’onere economico deC pagamento in rivalsa (normalmente ignoto al titolare della pretesa tributaria), come sarebbe più logico ove si ritenesse che la legittirnazione al rimborso debba essere estesa anche ai consumatori acquirenti.

E non è priva di rilievo la disciplina della modalità di pagamento (art. 56, comma 1) per cu “l’imposta è versata dal fabbricante direttamente in tesoreria, con diritto di rivalsa sui consumatori”” dalla quale ancora emerge l’estraneità di questi ultimi al pagamento dell’accisa; sicchè appare estremamente

– significativo, come evidenziato nel precedente di questa Corte, che “la configurabilità della rivalsa come oggetto di un diritto e non come elemento connaturale ed ineludibile della fisionomia del tributo”, a differenza dell’IVA, “esclude la configurabilità del rapporto di sostituzione d’imposta e,’ per conseguenza, l’autonoma rilevanza del sostituito, ossia del consumatore finale”. In altri termini l’accisa, una volta inglobata, totalmente o parzialmente, nel prezzo di rivendita dell’energia, che è condizionato da ulteriori fattori di mercato, si confonde con gli altri costi, perdendo la sua autonomia di tributo.

D’altronde la Corte ha già chiarito che anche le norme che escludono il diritto del fornitore di chiedere all’Amm.ne finanziaria il rimborso dell’accisa indebitamente versata quando abbia traslato il corrispondente onere sul consumatore non comporta il trasferimento della legittimazione a favore di quest’ultimo, ma vale ad evitare facili quanto non agevolmente rilevabili illeciti arricchimenti del fornitore ai danni del consumatore ed a garantire che l’azione di rimborso del primo possa riverberarsi positivamente anche sul secondo che ne ha sopportato il peso economico.

Di tale ricostruzione è elemento speculare la previsione dell’ultimo periodo del comma 2, laddove è previsto che il fornitore condannato in sede giurisdizionale (che non potrà che essere quella civile) alla restituzione ai terzi consumatori dell’accisa indebitamente pretesa ed ottenuta per rivalsa, il rimborso potrà essere esercitato da tale soggetto passivamente obbligato entro 90 giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna. Tale norma, piuttosto che costituire, come argomentato dalla CTR, il fondamento di una libera scelta da parte del terzo consumatore di esperire l’azione di rimborso o quella di restituzione di quanto pagato in rivalsa, ha la diversa funzione di fissare un diverso e più stringente termine di decadenza per l’attivazione del rimborso da parte del soggetto passivo d’imposta, e cioè il produttore dell’energia; così come appare suggestiva, ma priva di riscontri testuali, la tesi che la richiesta di rimPorso possa essere presentata da “chiunque” sia stato comunque inciso dall’onere tributario.

Nè coglie nel segno l’obiezione della controricorrente secondo la quale impedendo al consumatore il rimborso diretto nei confronti dell’Amm.ne Finanziaria si determinerebbe “un’area di – quanto meno temporanea – immunità per il Fisco, posto che il fornitore dell’energia non potrebbe presentar? istanza di rimborso avendo traslato il tributo indebito…”: per un verso adducere inconveniens non è argomento giuridicamente valido, soprattutto se, come riconosciuto dalla controricorrente, l’impedimento fattuale è solo temporaneo; per altro verso il consumatore finale non ha alcuna ragione di pretendere la titolarità di una doppia azione per ottenere il medesimo risultato, e cioè la restituzione dell’accisa indebitamente applicata sull’energia acquistata.

Infine va rilevato che, in mancanza di una disciplina comunitaria in ordine alle azioni di rimborso di imposte indebitamente versate, è lo Stato membro a stabilire i presupposti delle relative azioni, dovendo garantire il rispetto dei principi di equivalenza ed effettività, e cioè che non siano meno favorevoli di quelli richiesti per domande analoghe e non siano congegnati in modo da rendere estremamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (cd. principio di effettività: cfr. Corte Giustizia UE 27.04.2017 C-564/15, Farkas; Corte di Giustizia UE 14 febbraio 20.’.9, C-562/17, Nestrade, punti 40-41; Corte di GiuStizia UE 7 novembre 2018, C-380/17, K, B, punti 56 e 58, ed altre); e solo in assenza di tali condizioni, che deve essere dedotta dall’attore richiedente il rimborso (nella specie non allegata), questi sarebbe legittimato ad esercitare la pretesa di rimborso direttamente nei confronti dell’Amm.ne finanziaria.

In conclusione, l’accoglimento del secondo motivo del ricorso principale comporta la cassazione della sentenza impugnata, in relazione all’erronea interpretazione con essa attribuita alla normativa esaminata; peraltro, non essendo necessaria l’acquisizione di ulteriori elementi di fatto, la Corte è in grado, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., di decidere la causa anche nel merito, con il rigetto del ricorso introduttivo invero, stante la evidenziata carenza di legittimazione attiva a proporre l’istanza di rimborso, l’originario ricorso non poteva essere accolto, anche senza procedere all’esame delle ulteriori questioni dedotte con gli altri motivi di ricorso, afferenti la compatibilità delle addizionali sui prodotti energetici con la normativa comunitaria in tema di accise, ed in particolare con l’art. 1, comma 2, Dir 2008/118/CE; invero anche se tali motivi dovessero essere respinti e la sentenza impugnata potesse trovare conferma sulla specifica questione, difettando la legittimazione della Società a richiedere il rimborso, mancherebbe comunque un presupposto per l’accoglimento dell’istanza di rimborso e processuali del ricorso introduttivo.

In conclusione, il secondo motivo di ricorso va accolto, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata.

Stanti la peculiarità della questione ed il consolidamento soltanto in corso di giudizio del condiviso orientamento giurisprudenziale in materia, si ravvisano giusti motivi per compensare tra le parti integralmente le spese processuali dell’intero giudizio.

P.Q.M

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso e, assorbiti i restanti, cassa e, decidendo nel merito, respinge il ricorso introduttivo della Italcementi S.p.A. e compensa le spese di tutti i gradi del giudizio.

Deciso in Roma, il 15 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2020

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