Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10113 del 28/05/2020

Cassazione civile sez. trib., 28/05/2020, (ud. 15/10/2019, dep. 28/05/2020), n.10113

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino – Presidente –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. ANTEZZA Fabio – rel. Consigliere –

Dott. NOCELLA Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 26353/2017 R.G. proposto da:

UNICALCESTRUZZI S.P.A., C.F. (OMISSIS), con sede in (OMISSIS),

rapp.ta e difesa, giusta procura in calce al ricorso, dall’Avv.

Basilavecchia Massimo del Foro di Pescara e dall’avv. Fabio Massimo

del Foro di Roma, elett.te dom.ta presso lo studio del secondo in

Roma, Via Adelaide Ristori n. 38;

– ricorrente –

contro

AGENZIA delle DOGANE e dei MONOPOLI, C.F. (OMISSIS), rappresentata e

difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Lombardia n. 1737/07/17, depositata il 14 aprile 2017, non

notificata.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 15 ottobre 2019

dal Cons. Nocella Luigi.

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. Basile Tommaso, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Udito l’Avv. Fabio Massimo per la contribuente, che ha concluso per

l’accoglimento del ricorso.

Udito l’Avv. Rocchitta Giammarco per l’Agenzia delle Dogane che ha

concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La s.p.a. Unicalcestruzzi proporeva innanzi alla CTP di Milano ricorso avverso il provvedimento emesso il 10.11.2012, con il quale l’Agenzia delle Dogane della stessa città aveva respinto l’istanza di rimborso dalla medesima proposta per il rimborso della somma di Euro 10.401,31, versata per addizionale provinciale alle accise su energia elettrica consumata negli stabilimenti produttivi della provincia e corrisposta dal giugno 2010 al dicembre 2012, ritenuta non dovuta siccome imposta incompatibile con la previsione dell’art. 1 p.2 Dir. CE 2008/118. In particolare l’Agenzia aveva motivato il diniego eccependo il difetto di legittimazione della Società, derivante dalla mancanza di qualifica di soggetto obbligato al pagamento dell’imposta, e l’inapplicabilità diretta dell’invocata Direttiva CE.

Nel ricorso introduttivo la Società deduceva, oltre a vizi formali di nullità del provvedimento, tanto la sussistenza della negata legittimazione attiva, quanto l’incompatibilità dell’imposta con il richiamato principio enunciato nella Direttiva CE n. 118/2008, chiedendo eventualmente deferirsi alla Corte di Giustizia UE la questione pregiudiziale sull’interpretazione della normativa nazionale istitutiva dell’addizionale (D.L. n. 28.11.1988 n. 511, art. 6, comma 1 lett. c)).

La CTP adita, con sentenza ri.3750/02/2015, accoglieva il ricorso; quindi, con la pronuncia oggetto della presente impugnazione” la CTR della Lombardia ha accolto l’appello dell’Agenzia delle Dogane di Milano, ritenendo insussistente la vantata legittimazione attiva della società, compensando le spese di giudizio.

In particolare il giudice d’appello, premesso che l’art. 53 TUA attribuisce la titolarità passiva del rapporto d’imposta relativo alle accise ai soggetti che fatturano l’energia ai “consumatori finali”, qual è l’Unicalcestruzzi s.p.a., e che l’azione di rimborso altro non è che una ripetizione di pagamento indebito, ne ha tratto la conclusione (cui è pervenuta anche Cass. 2013 n. 9567, riprodotta per ampi passaggi) che la legittimazione attiva all’istanza di rimborso competerebbe in via esclusiva al soggetto che ha versato l’imposta e non all’acquirente consumatore dell’energia.

La società soccombente ricorre per la cassazione di tale sentenza, con atto notificato il 10.11.2017, fondato su unico motivo.

L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ha notificato il 1 dicembre 2017 controricorso.

Nella pubblica udienza del 15.19.2019 il P.G. e le parti hanno discusso oralmente la causa ed all’esito della camera di consiglio la Corte ha deciso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo la S.p.A. Unicalcestruzzi denuncia violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’art. 14 T.U.A., comma 2, evidenziando come tale norma, così come costantemente interpretata da questa Corte, non contiene alcun collegamento tra diritto al rimborso e titolarità passiva dell’obbligazione d’imposta, restando indifferente anche la modalità di versamento dell’imposta (versamento diretto o rivalsa); che il D.L. n. 688 del 1982, art. 19 e la L. 29 dicembre 1990, n. 428, art. 29, comma 2 e succ. modiff. continuano a subordinare il diritto al rimborso alla mancata traslazione dell’imposta sui terzi acquirenti; che, secondo la contraria lettura accolta dai Giudici d’appello che nega una legittimazione alternativa al rimborso in capo all’acquirente inciso dall’imposta, all’Erario sarebbe concessa un’ampia immunità (di trattenere l’imposta non dovuta nelle proprie casse) per tutto il periodo in cui, almeno fino all’accoglimento della domanda civilistica dell’acquirente nei suoi confronti, il produttore (o importatore) fornitore che avesse traslato l’imposta, rimarrebbe privo di interesse alla proposizione dell’istanza di rimborso. In conclusione richiama una serie di pronunce di questa Corte dalle quali sarebbe dato evincere l’accoglimento della tesi propugnata da essa ricorrente, non senza sottolineare che la motivazione della pronuncia di Cass. n. 9567/2013 ripresa dalla CTR sarebbe espressione di considerazioni estranee al principio di diritto enunciatovi, afferente la sola titolarità passiva del rapporto d’imposta.

Nel replicare al ricorso l’Agenzia resistente evidenzia, da un lato, che la disciplina delle detrazioni inserita nell’art. 14 T.U.A., comma 4, confermerebbe che soggetto attivo del diritto al rimborso non potrebbe che essere il soggetto, avente rapporto qualificato con l’Erario, al quale ha versato l’accisa in virtù dell’obbligo diretto nei suoi confronti; dall’altro che entrambe le norme invocate dalla ricorrente sarebbero inconferenti.

Il ricorso della Società Unicalcestruzzi è infondato.

Il quadro normativo che regola le azioni di rimborso delle accise presenta un primo fondamentale versante nel D.Lgs. n. 504 del 1995 (TUA), nel testo applicai ile ratione temporis (in epoca precedente al 3.12.2016 e successiva al 1.04.2010), secondo il quale per i prodotti sottoposti ad accisa l’obbligazione tributaria sorge al momento della loro fabbricazione ovvero della loro importazione (art. 2, comma 1); è obbligato al pagamento dell’accisa il titolare del deposito fiscale dal quale avviene l’immissione in consumo e gli altri soggetti nei cui confronti si verificano i presupposti per l’esigibilità dell’imposta (comma 4). Gli obbligati al pagamento dell’accisa sull’energia elettrica sono, tra gli altri, “i soggetti che procedono alla fatturazione dell’energia elettrica ai consumatori finali, di seguito indicati come venditori” (art. 53, comma 1, lett. a), mentre “i crediti vantati gai soggetti passivi dell’accisa verso i cessionari dei prodotti per i quali i soggetti stessi hanno assolto tale tributo possono essere addebitati a titolo di rivalsa” (art. 16, comma 3); all’art. 56 si precisa, altresì, che le società fornitrici “hanno diritto di rivalsa sui consumatori finali”.

L’art. 53, inoltre, al fine della certezza dell’adempimento dell’obbligazione tributaria e della corretta determinazione del debito d’imposta, impone a detti soggetti una serie di obblighi, quale la denuncia preventiva dell’attività e delle successive modificazioni rilevanti, la prestazione di una cauzione, l’obbligo di dichiarazione annuale dei consumi, e li assoggetta a poteri penetranti di controllo e di revoca delle autorizzazioni; e il D.L. n. 16 del 2012, art. 9, comma 2, ha aggiunto l’obbligo, di indicare in dichiarazione i consumi fatturati nell’anno “con l’applicazione delle aliquote di accisa vigenti al momento della fornitura ai consumatori finali”. Tali obblighi rappresentano all’evidenza lo strumento operativo di collegamento tra le norme che identificano il rapporto d’imposta ed i suoi soggetti e quelle che individuano l’azione di rimborso ed i suoi titolari.

La disposizione generale in materia di rimborso delle accise indebitamente versate è peraltro l’art. 14, che al comma 2 dispone che “l’accisa è rimborsata quando risulta indebitamente pagata” e il rimborso – previsto in via generale dalla Direttiva n. 2008/118/CE del 16 dicembre 2008, art. 9, par. 2, che fa riferimento alle modalità stabilite dai singoli Stati membri – “deve essere richiesto, a pena di decadenza, entro due anni dalla data del pagamento”. La medesima disposizione di diritto interno prevede, inoltre, che “qualora al termine di un procedimento giurisdizionale il soggetto obbligato al pagamento dell’accisa sia condannato alla restituzione a terzi di somme indebitamente percepite a titolo di rivalsa dell’accisa, il rimborso è richiesto dal predetto soggetto obbligato, a pena di decadenza, entro novanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza che impone la restituzione delle somme”.

Va infine ricordato il D.L. 30 settembre 1982, n. 688, art. 19, comma 1, conv. con L. 27 novembre 1982, n. 873, secondo cui “chi ha indebitamente corrisposto diritti doganali all’importazione, imposte di fabbricazione, imposte di consumo o diritti erariali (…) ha diritto al rimborso delle somme pagate quando prova (…) che l’onere non è stato in qualsiasi modo trasferito su altri soggetti, salvo il caso di errore materiale”, norma applicabile “quando i tributi riscossi non rilevano per l’ordinamento comunitario” (L. 29 dicembre 1990 n. 428, art. 29, comma 3,). Per il rimborso dei tributi rilevanti per l’ordinamento comunitario opera, invece, la L. n. 428 del 1990, art. 29, comma 2, il quale stabilisce che “i diritti doganali all’importazione, le imposte di fabbricazione, le imposte di consumo, il sovrapprezzo dello zucchero e i diritti erariali riscossi in applicazione di disposizioni nazionali incompatibili con norme comunitarie sono rimborsati a meno che il relativo onere non sia stato trasferito su altri soggetti, circostanza che non può essere assunta dagli uffici tributari a mezzo di presunzioni”.

Dal combinato disposto delle menzionate disposizioni emerge che il soggetto passivo del rapporto tributario è solo il fornitore di energia, tenuto verso l’Erario al pagamento dell’accisa come anche della relativa addizionale, avendo il legislatore inteso concentrare l’imposizione e il relativo controllo su pochi soggetti, ossia i produttori o gli importatori dei prodotti (Cass. Sez. V, 6.08.2014 n. 17627). Per costoro l’accisa è un costo sostenuto prima della cessione del bene, tale da farlo rientrare, ad esempio, nella base imponibile dell’IVA (Cass. Sez. V 3.112018 n. 24015), che può (e non deve, come per l’IVA) essere traslato sul consumatore finale, quale la CTR ha correttamente ritenuto essere la Unicalcestruzzi S.p.A., quale componente del prezzo del bene o del servizio ceduto.

Tuttavia il primo precedente gii risprudenziale di questa Corte che ha affrontato ex professo la tematica sollevata dall’odierna ricorrente è quello di Cass. sez. V 15.04.2013 n. 9567; precedente supportato da diverse pronunce (in essa ampiamente analizzate) che, sia pur ai più limitati fini dell’individuazione della giurisdizione circa le controversie in tema di rimborsi e/o restituzioni delle accise, hanno concluso nel senso che “il solo soggetto obbligato verso l’amministrazione finanziaria è l’Ente… che immette in consumo il gas e riscuote l’accisa inglobata nel prezzo (è una peculiarità che non incide sulla natur:3 del tributo che resta distinto dal prezzo del gas…)” (Cass. SU 19.03.2009 n. 6589); ovvero che

“il rapporto tributario si svolge soltanto tra /’Amm.ne Finanziaria

e i soggetti che forniscono direttamente i prodotti; ad esso è del tutto estraneo l’utente consumatore (Cass. SU 25.05.2009 n. 11987)”. All’esito dell’excursus normativo e giurisprudenziale la citata sentenza ha potuto affermare che, ai sensi del D.L. n. 511 del 1988, art. 6 comma 3, “Schema analogo è seguito per il versamento delle imposte addizionali: l’imposta è dovuta dai soggetti ch forniscono direttamente il prodotto ai consumatori quanto al consumatore, l’onere corrispondente all’imposta è su di lui traslato in virtù e nell’ambito di un fenomeno meramente economico … omissis … I due rapporti, si pongono quindi su due piani diversi: il primo ha rilievo tributario, il secondo civilistico … Dunque: il diritto al rimborso spetta esclusivamente al soggetto passivo dell’imposta, ossia al fornitore” (Cass. n. 9567/2013 cit.; analogamente Cass. SU 19.06.2008 n. 16612). Infine Cass. SU 1.02.2016 n. 1837 ha escluso che l’azione del consumatore nei confronti del fornitore per la ripetizione della quota di prezzo corrispondente al tributo e non dovuta possa essere qualificata come azione di rimborso.

Peraltro più recentemente la questione è stata nuovamente affrontata e risolta nel medesimo senso da Cass. sez.V 24.05.2019 n. 14200, con la quale, all’esito di una completa analisi e riconsiderazione della normativa, è stato enunciato il seguente principio di diritto, che qui si intende ribadire:”Le imposte addizionali sul consumo di energia elettrica di cui al D.L. n. 511 del 1988, art. 6, comma 3 (nel testo applicabile ratione temporis), sono dovute, al pari delle accise, dal fornitore al momento della fornitura dell’energia elettrica al consumatore finale e, nel caso di pagamento indebito, unico soggetto legittimato a presentare istanza di rimborso all’Amm.ne Finanziaria ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 14 e della L. n. 428 del 1990, art. 29, comma 2, è il fornitore. Il consumatore finale a cui sono state addebitate le imposte addizionali da parte del fornitore può normalmente agire nei confronti di quest’ultimo con l’ordinaria azione di ripetizione dell’indebito e, solo nel caso in cui alleghi che tale azione si riveli oltremodo gravosa, può direttamente richiedere il rimborso nei confronti dell’Amm.ne Finanziaria, nel rispetto del principio unionale di effettività”.

La Corte ritiene tale sintesi concettuale pienamente condivisibile e da confermare. Molteplici sono gli elementi che chiaramente confermano le principali affermazioni sulle quali si è fondata la CTR per accogliere l’appello dell’odierna controricorrente.

In primo luogo la connessione tra azione di rimborso e pagamento dell’imposta (espressa negli artt. 2, 52 e 53 TUA) è fondamentale per ritenere la legittimazione esclusiva dell’unico soggetto passivo, e cioè il produttore distributore, la cui obbligazione sorge con la fabbricazione del prodotto: infatti il pagamento dell’imposta non può ravvisarsi in qualsivoglia pagamento intervenuto tra i vari soggetti che indirettamente subiscono l’onere economico del ‘accisa, bensì si identifica nell’unico pagamento che soddisfa In pretesa tributaria, mediante adempimento dell’obbligazione tributaria nei confronti del soggetto impositore; unico pagamento, del resto, dal quale decorre il termine di decadenza per l’azione e”: art. 14, comma 2 (il cui termine a quo, si badi, è normalmente ignoto ai consumatore); a meno di voler individuare un diverso termine di decadenza per l’acquirente consumatore dell’energia (o degli altri prodotti soggetti ad accisa) nel momento in cui egli subisce l’onere economico del pagamento in rivalsa (normalmente ignoto al titolare della pretesa tributaria), come sarebbe più logico ove si ritenesse che la legittimazione al rimborso debba essere estesa anche ai consumatori acquirenti.

E non è priva di rilievo la disciplina della modalità di pagamento (art. 56, comma 1) per cui “l’imposta è versata dal fabbricante direttamente in tesoreria, con diritto di rivalsa sui consumatori”,, dalla quale ancora emerge l’estraneità di questi ultimi al pagamento dell’accisa; sicchè appare estremamente significativo, come evidenziato nel precedente di questa Corte, che “la configurabilità della rivalsa come oggetto di un diritto e non come elemento connaturale ed ineludibile della fisionomia del tributo”, a differenza dell’IVA, “esclude la configurabilità del rapporto di sostituzione d’imposta e, per conseguenza, l’autonoma rilevanza del sostituito, ossia del consumatore finale”. In altri termini l’accisa, una volta inglobata, totalmente o parzialmente, nel prezzo di rivendita dell’energia, che è condizionato da ulteriori fattori di mercato, si confonde con gli altri costi, perdendo la sua autonomia di tributo.

D’altronde la Corte ha già chiarito che anche le norme che escludono il diritto del fornitore di chiedere all’Amm.ne finanziaria il rimborso dell’accisa indebitamente versata quando abbia traslato il corrispondente onere sul consumatore non comporta il trasferimento della legittimazione a favore di quest’ultimo, ma vale ad evitare facili quanto non agevolmente rilevabili illeciti arricchimenti del fornitore ai danni del consumatore ed a garantire che l’azione di rimborso del primo passa riverberarsi positivamente anche sul secondo che ne ha sopportato il peso economico.

Di tale ricostruzione è elemento speculare la previsione dell’ult. periodo del comma 2, laddove è previsto che il fornitore condannato in sede giurisdizionale (che non potrà che essere quella civile) alla restituzione ai terzi consumatori dell’accisa indebitamente pretesa ed ottenuta per rivalsa, il rimborso potrà essere esercitato da tale soggetto passivamente obbligato entro 90 giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna. Tale norma, piuttosto che costituire, come argomentato dalla CTR, il fondamento di una libera scelta da parte del terzo consumatore di esperire l’azione di rimborso o quella di restituzione di quanto pagato in rivalsa, ha la diversa funzione di fissare un diverso e più stringente termine di decadenza per l’attivazione del rimborso da parte del soggetto passivo d’imposta, e cioè il produttore dell’energia; così come appare suggestiva, ma priva di riscontri testuali, la tesi che la richiesta di rimborso possa essere presentata da “chiunque” sia stato comunque inciso dall’onere tributario.

Nè coglie nel segno l’obiezione della ricorrente secondo la quale impedendo al consumatore il rimborso diretto nei confronti dell’Amm.ne Finanziaria si determinerebbe “un’area di – quanto meno temporanea – immunità per il Fisco, posto che il fornitore dell’energia non potrebbe presentar3 istanza di rimborso avendo traslato il tributo indebito…”: per un verso adducere inconveniens non è argomento giuridicamente valido, soprattutto se, come riconosciuto dalla controricorrente, l’impedimento fattuale è solo temporaneo; per altro verso il consumatore finale non ha alcuna ragione di pretendere la titolarità di una doppia azione per ottenere il medesimo risultato, e cioè la restituzione dell’accisa indebitamente applicata sull’energia acquistata.

Infine va rilevato che, in mancanza di una disciplina comunitaria in ordine alle azioni di rimborso di imposte indebitamente versate, è lo Stato membro a stabilire i presupposti delle relative azioni, dovendo garantire il rispetto dei principi di equivalenza ed effettività, e cioè che non siano meno favorevoli di quelli richiesti per domande analoghe e non siano congegnati in modo da rendere estremamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (cd. principio di effettività: cfr. Corte Giustizia UE 27.04.2017 C-564/15, Farkas; Corte di Giustizia UE 14 febbraio 20:L9, C-562/17, Nestrade, punti 40-41; Corte di Giustizia UE 7 novembre 2018, C-380/17, K, B, punti 56 e 58, ed altre); e solo in assenza di tali condizioni, che deve essere dedotta dall’attore richiedente il rimborso (nella specie non allegata), questi sarebbe legittimato ad esercitare la pretesa di rimborso direttamente nei confronti dell’Amm.ne finanziaria.

In conclusione, il ricorso va respinto, con la conferma della sentenza impugnata.

Stanti tuttavia la peculiarità della questione e la formazione soltanto dopo la proposizione del ricorso introduttivo di consolidati orientamenti giurisprudenziali in materia, si ravvisano giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese processuali del presente giudizio.

Trattandosi di ricorso avverso sentenza pubblicata dopo l’11.09.2012, deve farsi luogo all’accertamento, previsto dall’art. 13 comma 1 quater D.P.R. n. 115 del 2002, dell’obbligo di integrazione del CUT.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso. Compensa le spese del presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale ex dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2020

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