Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10113 del 09/05/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 10113 Anno 2014
Presidente: CECCHERINI ALDO
Relatore: DI AMATO SERGIO

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SENTENZA

sul ricorso 24228-2012 proposto da:
DELLI PAOLI DOMENICO (c.f. DLLDNC71E31E409H), già
titolare della ditta individuale DE.PA .METAL,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL CORSO
300, presso l’avvocato ANDREOTTA GIUSEPPE, che lo
rappresenta e difende, giusta procura a margine del
2014

ricorso;
– ricorrente-

470

contro

FALLIMENTO DI DELLI PAOLI DOMENICO, nella qualità

Data pubblicazione: 09/05/2014

di titolare della ditta DE.PA .METAL, in persona del
Curatore dott.ssa FABIANA GATTOLA, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA DELLA STAZIONE DI SAN
PIETRO 16, presso l’avvocato CATALANI CHIARA,
rappresentato e difeso dall’avvocato BRUNO
giusta

procura

a

margine

del

controricorso;
– controri corrente contro

ISOPAN S.P.A., RUTA S.R.L., DE ANGELIS S.R.L.,
MOVISID S.P.A., MOVI.SID. DERIVATI SIDERGICI
S.P.A.;
– intimate –

avverso la sentenza n.

670/2012 della CORTE

D’APPELLO di SALERNO, depositata il 12/09/2012;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 21/02/2014 dal Consigliere
Dott. SERGIO DI AMATO;
udito, per il ricorrente, l’Avvocato GIUSEPPE

MARGHERITA,

ANDREOTTA che ha chiesto l’accoglimento del
ricorso;
udito,

per

il

controricorrente,

l’Avvocato

MARGHERITA BRUNO che ha chiesto il rigetto del
ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore

2

Generale Dott. PIERFELICE PRATIS che ha concluso per
il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 12 settembre 2012 la Corte di appello
di Salerno rigettava il reclamo proposto da Domenico

Delli Paoli avverso la sentenza in data 4 febbraio 2011
con cui il Tribunale della stessa città ne aveva
dichiarato il fallimento a seguito di annullamento, in
sede di reclamo, di precedente dichiarazione in data 10
giugno 2009. In particolare, per quanto ancora interessa,
la Corte di appello osservava che: l) con sentenza del 17
giugno 2010, aveva annullato la prima dichiarazione di
fallimento, perché non era stata garantita la
partecipazione del debitore alla fase prefallimentare, ed
aveva disposto la restituzione degli atti al Tribunale
per la nuova convocazione del debitore; a tanto il
Tribunale aveva provveduto prima con decreto
presidenziale del 5 luglio 2010, steso in calce alla
sentenza di annullamento, che aveva fissato l’udienza di
comparizione delle parti e, poi, con decreto del collegio
in data 6 ottobre 2010, con cui era stata fissata una
nuova udienza di comparizione ed era stato fatto onere ai
creditori ricorrenti, di notificare al debitore i
rispettivi ricorsi; 2) la mancanza di un atto di
riassunzione da parte degli originari creditori
ricorrenti non consentiva di ritenere che il fallimento
3

3

era stato dichiarato d’ufficio. Infatti, da un lato, la
nuova convocazione del debitore da parte del Tribunale
era stata disposta in aderenza con la decisione della
Corte di appello che aveva rimesso gli atti al giudice di
primo grado proprio per tale adempimento; d’altro canto,

i creditori avevano provveduto alla notifica del decreto
di convocazione ed avevano chiesto espressamente che
fosse dichiarato il fallimento di Domenico Delli Paoli;
infine, dopo l’annullamento della prima dichiarazione di
fallimento altri creditori (s.p.a. Movisid e s.p.a.
Movisid Siderurgici), diversi da quelli originari,
avevano depositato autonomi ricorsi per fallimento, che
erano stati riuniti a quelli originari e sui quali non
poteva influire la mancata riassunzione ai sensi degli
artt. 353 e 354 c.p.c.; 3) ai fini del termine previsto
dall’art. 10 1. fall. per la dichiarazione di fallimento
non erano equiparabili alla cancellazione dal registro
delle imprese né l’inoltro, in data 7 aprile 2009, della
richiesta di cancellazione dal registro delle imprese
artigiane, né la cessazione di fatto dell’attività di
impresa, né l’iscrizione nel registro delle imprese della
prima sentenza dichiarativa di fallimento.
Domenico Delli Paoli propone ricorso per cassazione,
deducendo dieci motivi, illustrati anche con memoria. Il
r.

fallimento

di

Domenico

Delli

Paoli

resiste

con

controricorso. Gli intimati creditori istanti (s.p.a.
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ISOPAN, s.r.l. RUTA, s.r.l. De Angelis, s.p.a. MOVISID,
s.p.a. MOVISID Derivati Siderurgici) non hanno svolto
attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con i motivi dal primo al sesto, che possono essere

esaminati congiuntamente perché strettamente connessi, il
ricorrente deduce che erroneamente la Corte di appello
aveva escluso la possibilità di computare il termine ex
art. 10 1. fall. dalla prima dichiarazione di fallimento;
in particolare, la sentenza impugnata aveva trascurato
che: l) rispetto alla cessazione dell’attività e sul
piano della certezza delle situazioni giuridiche,
l’iscrizione nel registro delle imprese della
dichiarazione di fallimento, che comporta per il debitore
gli effetti previsti dall’art. 42 1. fall., ha i medesimi
caratteri di oggettività della iscrizione della
cancellazione; 2) la conoscenza di fatto da parte dei
terzi della cessazione dell’attività, per effetto della
dichiarazione di fallimento senza esercizio provvisorio,
deve ritenersi opponibile ai sensi dell’art. 2193 c.c.;
3) la pubblicità della cessazione dell’attività di
fallimento ha una mera funzione probatoria, superata nel
caso di certezza dell’effettiva cessazione; 4)
l’eventuale esercizio provvisorio non costituisce affatto
una continuazione dell’impresa essendo riferibile al
curatore e non all’imprenditore ed avendo, comunque, una
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finalità di valorizzazione dell’attivo in vista della sua
liquidazione; 5) il fallito viene privato, ai sensi degli
artt. 42 e 44 1. fall. dell’amministrazione dei suoi
beni, con conseguente cessazione dell’attività di impresa
ed impedimento a sollecitare la conclusione della

procedura di cancellazione avviata prima del fallimento;
6) al fallito non è consentito dagli artt. 44 e 45 1.
fall. procedere alla cancellazione della sua impresa.
I motivi sono infondati. Si deve premettere che il
termine stabilito nell’art. 10 1. fall. costituisce un
limite oggettivo per la dichiarazione di fallimento e
svolge non tanto la funzione di tutelare i creditori
rispetto all’inatteso venire meno della qualifica di
imprenditore commerciale nel loro debitore, quanto la
funzione di garantire la certezza delle situazioni
giuridiche e l’affidamento dei terzi (altrimenti esposti
illimitatamente al pericolo di revocatorie), ponendo un
preciso limite temporale alla possibilità di dichiarare
il fallimento di chi non è più imprenditore. Il
fallimento dell’ex imprenditore non si configura,
infatti, come una forma di eccezionale tutela dei
creditori poichè risponde alla logica della necessità di
una procedura concorsuale in presenza della molteplicità
e complessità degli interessi normalmente coinvolti nel
dissesto di un imprenditore commerciale, anche se
cessato, a fronte della normale semplicità degli
6

interessi coinvolti nel dissesto del debitore civile. Ciò
che rileva, invece, è la scelta del legislatore di non
dare seguito a detta logica, dopo un anno dalla
cancellazione dal registro delle imprese, per la
contrastante esigenza di tutelare l’affidamento dei terzi

che vengono in contatto con l’ex imprenditore (Cass. ord.
25 ottobre 2013, n. 24199; Cass. 12 aprile 2013, n.
8932).
La

pubblicità

della

sentenza

dichiarativa

di

fallimento risponde, d’altro canto, all’esigenza, come
prevede espressamente l’art. 16, secondo comma, 1. fall.,
di stabilire il momento a decorrere dal quale la sentenza
di fallimento produce i suoi effetti rispetto ai terzi.
L’ipotesi che il termine annuale per la dichiarazione
di fallimento possa decorrere dalla iscrizione nel
registro delle imprese di una precedente dichiarazione di
fallimento appare del tutto incoerente con il sistema
delineato dalla legge fallimentare, non potendosi
ipotizzare il fallimento di chi è già stato dichiarato
fallito (non rileva qui il caso di scuola del fallimento
del fallito che abbia intrapreso una nuova attività
d’impresa), se non quando, come nella specie, il
precedente fallimento sia stato revocato. In questa
ipotesi, tuttavia, la revoca del fallimento travolge
anche l’iscrizione della dichiarazione di fallimento nel
registro delle imprese, che non può non restare priva di
7

effetti una volta revocata la stessa dichiarazione
oggetto di pubblicità; ogni possibile dubbio al riguardo
è eliminato dall’art. 18, comma 12, 1. fall. ove si
stabilisce che la revoca del fallimento è soggetta alla
stessa pubblicità prevista per la dichiarazione di

fallimento. Ne consegue che mai l’iscrizione della
dichiarazione di fallimento può svolgere la funzione di
fissare il momento, reso conoscibile ai terzi tramite la
pubblicazione nel registro delle imprese, dal quale far
decorrere il termine per la dichiarazione di fallimento:
non nel caso in cui non vi sia revoca del fallimento,
perché non avrebbe senso un termine per la dichiarazione
di fallimento di chi è già fallito e neppure nel caso di
revoca del fallimento poiché questa pone l’imprenditore,
rispetto ai terzi, nella stessa situazione nella quale si
trovava prima del fallimento. In altre parole, dopo la
revoca del fallimento e la relativa pubblicità, il
ritorno in bonis del fallito è conoscibile dai terzi e la
cessazione della sua attività può assumere rilievo solo
se pubblicizzata con la cancellazione dal registro delle
imprese. In difetto di tale cancellazione, i creditori
possono contare sulla possibilità di chiederne il
fallimento e, d’altro canto, non sussiste una contraria
esigenza di certezza dei rapporti giuridici poiché i
terzi, che prima della revoca del fallimento erano in
condizione di sapere che il fallito non poteva disporre
i

8

del suo patrimonio, dopo la revoca sono in condizione di
sapere che gli atti posti in essere dall’imprenditore
sono passibili di revoca se ricorrono le condizioni degli
artt. 64 ss. 1. fall. La mancanza di equivalenza tra la
cancellazione dal registro delle imprese e la

dichiarazione di fallimento è confermata, semmai ce ne
fosse bisogno, dall’art. 118, secondo comma, 1. fall. che
prevede la cancellazione della società fallita dal
registro delle imprese, ad istanza del curatore, soltanto
dopo la chiusura del fallimento e limitatamente ai casi
in cui la chiusura viene disposta per compiuta
ripartizione dell’attivo, senza integrale soddisfacimento
dei creditori, oppure per mancanza di attivo.
In senso contrario non può darsi rilievo alla
cessazione di fatto dell’attività d’impresa che può
conseguire alla dichiarazione di fallimento, sia perché
dopo la revoca del fallimento l’imprenditore individuale
ben può riprendere la propria attività sia perché,
comunque, ove non lo faccia oppure ove avesse già cessato
la propria attività prima della dichiarazione di
fallimento, viene a trovarsi nella situazione
dell’imprenditore che, pur avendo cessato la propria
attività, non ha provveduto alla cancellazione dal
registro delle imprese e resta, quindi, fallibile. In
siffatta ipotesi non è compromessa nessuna delle due
ricordate esigenze che sono state bilanciate dall’art. 10
i

9

1. fall. e precisamente non l’esigenza di sottoporre a
procedura concorsuale anche l’ex imprenditore e neppure
l’esigenza di tutelare i terzi che abbiano fatto
affidamento sulla cancellazione dal registro delle
imprese. Né, d’altro canto, ricorrono le condizioni alle

quali l’art. 10, secondo comma, 1. fall. consente il
superamento del bilanciamento tra le predette esigenze,
come realizzato dal primo comma dello stesso art. 10.
Infatti, solo ai creditori ed al pubblico ministero è
concessa la prova della cessazione di fatto dell’attività
d’impresa per dimostrare, ai fini di una diversa
decorrenza del termine annuale di fallibilità, che
l’attività è di fatto proseguita malgrado la
cancellazione dell’imprenditore individuale dal registro
delle imprese; all’imprenditore, invece, non è consentito
di anticipare la decorrenza del termine di fallibilità,
dimostrando che, malgrado la mancata pubblicità,
l’attività è di fatto cessata. Se ciò fosse possibile
sarebbe, infatti, vanificata la tutela dell’affidamento
dei terzi (Cass. 21 novembre 2011, n. 24431).
In conclusione, non sussiste una identità di
situazioni, ai fini della pubblicità della cessazione
dell’attività d’impresa, tra la cancellazione
dell’imprenditore
,

l’iscrizione

dal

nello

registro
stesso

delle

registro

imprese
della

e
sua

dichiarazione di fallimento. Deve, perciò, ritenersi
i

10

ragionevole la mancata attribuzione di rilievo a
quest’ultima iscrizione ai fini del decorso del termine
annuale

ex art. 10 1. fall. Da ciò consegue, oltre al

rigetto degli indicati motivi di ricorso, anche la

costituzionale dell’art. 10 1. fall., sollevata dal
ricorrente in relazione all’art. 3 Cost., per la pretesa
irragionevole disparità di trattamento delle due
situazioni, ed in relazione all’art. 117 Cost., per la
pretesa violazione dell’obbligo costituzionale del
legislatore di adeguare l’ordinamento ai principi delle
convenzioni internazionali che non consentono che sia
pregiudicato l’affidamento dei cittadini su un sistema
coerente di norme.
Con il settimo motivo il ricorrente deduce la
violazione degli artt. 6 e 15 l. fall. e dell’art. 125
d.a.c.p.c., lamentando che dopo l’annullamento della
prima dichiarazione di fallimento il procedimento al
termine del quale era stato dichiarato un nuovo
fallimento era iniziato su impulso del Tribunale e non
dei creditori che non avevano proceduto alla
riassunzione; il carattere officioso non era escluso
dall’intervento dei creditori nel procedimento.
Con l’ottavo motivo il ricorrente deduce la violazione
dell’art. 125 d.a.c.p.c. e dell’art. 112 c.p.c.,
lamentando che erroneamente la Corte di appello: a) aveva
7

manifesta infondatezza dell’eccezione di illegittimità

attribuito

natura

di

atto di

riassunzione

alla

notificazione da parte del creditore s.p.a. ISOPAN del
provvedimento collegiale di fissazione dell’udienza di
comparizione, considerato che la riassunzione deve farsi
con comparsa e deve indicare il provvedimento in base al

quale è fatta (nella specie invece non era neppure
menzionata la sentenza della Corte di appello in data 17
giugno 2010); b) aveva ritenuto che il reclamante avesse
tardivamente eccepito l’estinzione del procedimento per
riassunzione oltre il termine di legge, mentre in realtà
il reclamante aveva eccepito la mancanza di riassunzione
e l’improcedibilità dell’iniziativa d’ufficio.
Il settimo e l’ottavo motivo possono essere esaminati
congiuntamente in quanto strettamente connessi e sono
infondati. Invero, la Corte di appello ha esattamente
posto in rilievo che la sentenza, passata in giudicato,
che aveva annullato la prima dichiarazione di fallimento,
aveva rimesso gli atti al Tribunale perché questo
disponesse la convocazione del debitore. Al riguardo non
vi è dubbio che, come sostenuto dal ricorrente, la
rimessione al primo giudice ai sensi dell’art. 354 c.p.c.
comporta la necessità di una riassunzione ad opera di una
delle parti, come prevede il secondo comma del richiamato
art. 353 c.p.c. È, pertanto, caduta in errore la Corte di
appello con la sentenza del 17 giugno 2010 laddove ha
disposto, a seguito dell’annullamento della dichiarazione
3

12

di fallimento, la convocazione del debitore da parte del
Tribunale, come se quest’ultimo dovesse riprendere
d’ufficio l’esame delle istanze di fallimento. Tale
decisione, tuttavia, non è stata impugnata dall’odierno
ricorrente; la sentenza della Corte di appello è
lex

divenuta irrevocabile ed è divenuta, quindi, la

specialis alla quale il giudice di primo grado, cui è
stata rimessa la causa, e le parti hanno dovuto
uniformare la propria condotta processuale.
La riassunzione d’ufficio del procedimento per la
dichiarazione di fallimento, d’altro canto, non si
traduce automaticamente in una iniziativa d’ufficio, non
consentita dall’art. 6 1. fall., quando i creditori, come
nel caso in esame, insistono per il fallimento chiesto a
,.

suo tempo con l’istanza di fallimento e procedono alla
notificazione del decreto di convocazione. Invero,
sebbene in ossequio alla sentenza di annullamento, la
riassunzione sia anormalmente avvenuta d’ufficio, la
declaratoria di fallimento è comunque avvenuta su
richiesta dei creditori, nell’ambito di un procedimento
il cui andamento è stato condizionato dalla predetta
decisione, vincolante per le parti e per il giudice.
Con il nono motivo il ricorrente deduce la violazione
degli artt. 274 e 103 c.p.c. nonché degli artt. l e 15 1.
,
.

fall., lamentando che la Corte di appello, per escludere
una iniziativa d’ufficio, aveva dato rilievo ai ricorsi

1

13

per fallimento presentati dopo l’annullamento della prima

..«.1

dichiarazione di fallimento; tali ricorsi, tuttavia,

erano stati riuniti ai ricorsi originari, rispetto ai

r

quali si era sviluppata l’iniziativa d’ufficio, senza una
separata trattazione ed istruttoria e senza una distinta

individuazione del triennio rispetto al quale verificare
i requisiti dimensionali di esclusione dal fallimento.
Il motivo resta assorbito dal rigetto del settimo e
dell’ottavo motivo.
Con il decimo motivo il ricorrente deduce la
violazione dell’art. 10 1. fall., lamentando che, in una
situazione nella quale la cancellazione dal registro
delle imprese era stata richiesta in data 30 marzo 2009
ed era stata disposta in data 26 gennaio 2011,
erroneamente il giudice non aveva fatto decorrere gli
effetti della cancellazione dalla data della richiesta.
Il motivo è infondato. Nell’esame dei primi sei motivi
si è precisata la funzione assolta, sul piano della
certezza dei rapporti giuridici, dalla pubblicità della
cessazione dell’attività d’impresa: solo da tale momento
la cessazione viene formalmente portata a conoscenza dei
terzi (Cass. 21 maggio 2012, n. 4105; Cass. 21 febbraio
2007, n. 4105). Ne consegue che la stessa funzione non
può essere assolta dalla richiesta di cancellazione che,
per

ritardi

dell’Amministrazione,

non

sia

stata

effettuata.
14

■••

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano
come in dispositivo.
P . Q . M .
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso
delle spese di lite liquidate in E 5.500,00=, di cui
200,00 per esborsi, oltre IVA e CP.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 21
febbraio 2014.

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