Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10111 del 09/05/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 10111 Anno 2014
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: DIDONE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 6695-2011 proposto da:
ROSA GIOVANNI (c.f. RSOGNN51P26L736A), elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA CASSIODORO 19, presso
l’avvocato JANARI LUIGI, rappresentato e difeso

Data pubblicazione: 09/05/2014

dall’avvocato FACCINI STEFANO, giusta procura in
calce al ricorso;
– ricorrente contro

FALLIMENTO DI PERISSINOTTO ANNA MARIA E PADOAN
ROBERTO (C.F. 0187600271), in persona del Curatore

1

dott. STEFANO BURIGHEL, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA L. ANDRONICO 24, presso l’avvocato
ROMAGNOLI ILARIA, che lo rappresenta e difende
unitamente all’avvocato MANENTE NATALINO, giusta
procura a margine del controricorso;
– controri corrente –

avverso la sentenza n.

2087/2010 della CORTE

D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 25/10/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 20/02/2014 dal Consigliere Dott. ANTONIO
DIDONE;
udito, per il controricorrente, l’Avvocato ROMAGNOLI
ILARIA che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FEDERICO SORRENTINO che ha concluso
per l’inammissibilità del ricorso.

•N,

2

Ritenuto in fatto e in diritto
1.- Con sentenza del 20.11.2006 il Tribunale di Venezia,
provvedendo sulla contestazione del rendiconto ex art.

116 1. fall. sollevata da Giovanni Rosa in seno alla
procedura fallimentare aperta nei confronti di
Perissinotto Anna Maria e Padoan Roberto, ha accertato
che “il dato inserito dal curatore al punto f) del
rendiconto depositato in data 6.4.2005 non è attualmente
corretto”, non ha approvato il conto; ha rigettato le
altre domande formulate dall’attore; ha disposto la
cancellazione di frasi ex art. 89 c.p.c. e ha condannato
Giovanni Rosa al pagamento delle spese processuali in
favore della “resistente” curatela fallimentare. Nel
corso del giudizio era stata disattesa la richiesta del
Rosa di estendere la domanda nei confronti del curatore
in proprio.
Con sentenza del 25.10.2010 la Corte di appello di
Venezia ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da
Giovanni Rosa «perché diretto nei confronti del
Fallimento Perissinotto e Padoan>>, mentre la curatela
era estranea al giudizio di rendiconto, riguardante il
curatore in proprio.

3

Contro la sentenza di appello Giovanni Rosa ha proposto
ricorso per cassazione affidato a due motivi.
Ha resistito con controricorso la curatela fallimentare
intimata.

disposto l’acquisizione dei fascicoli d’ufficio dei gradi
di merito (essendo l’accesso agli atti consentito dal
vizio processuale denunciato), stante il contrasto sulla
individuazione della parte costituitasi in primo grado,
rimettendo la causa alla pubblica udienza.
Acquisito il fascicolo e fissata la pubblica udienza, nel
termine di cui all’art. 378 c.p.c. le parti hanno
depositato memoria.
2.- Con i motivi di ricorso parte ricorrente denuncia
l’omessa pronuncia e la violazione ex art. 112 c.p.c. in
relazione al motivo di appello con il quale aveva
lamentato la condanna alle spese e al motivo con il quale
aveva censurato la cancellazione delle frasi ex art. 89
c.p.c.
3.- Il ricorso è fondato.
E’ vero, infatti, che nel giudizio ex art. 116 comma 4,
1. fall. passivamente legittimato, anche in sede di
ricorso per cassazione, resta pur sempre il curatore in
proprio, tenuto conto che l’oggetto del giudizio, al di

Con ordinanza del 13 dicembre 2012 la Sesta Sezione ha

là della sua strutturazione formale e della fase in cui
si trova, attiene comunque al controllo – da parte del
giudice delegato, dei creditori ammessi al passivo e del
fallito della gestione, fonte di eventuale

responsabilità personale (cfr. art. 38 legge fall.), del
patrimonio di quest’ultimo effettuata dal curatore (cfr.
Sez. 1, Sentenza n. 3696 del 2000; Cass. sentt. nn. 1132
del 1968, 289 del 1970, 1339 del 1974, 277 del 1985,
10028 del 1997).
Nondimeno, nella concreta fattispecie il ricorrente era
stato condannato dal tribunale al pagamento delle spese
processuali in favore della curatela fallimentare e
l’appello non poteva che essere notificato alla parte
vittoriosa sulle spese, nonostante la mancata
approvazione del rendiconto.
Ciò che rileva è che la curatela fallimentare aveva
rivestito la qualità di parte in primo grado e in tale
qualità era stata vittoriosa in punto spese processuali e
in ordine alla richiesta di cancellazione di frasi
offensive.
Tanto legittimava la curatela stessa nel giudizio di
appello, quanto meno in relazione al capo relativo alle
spese di primo grado e alla pronuncia ex art. 89 c.p.c.
Talché la Corte di appello non poteva dichiarare
5
/

inammissibile l’appello e la relativa pronuncia – in
accoglimento del ricorso – deve essere cassata.
Peraltro, non essendo necessari ulteriori accertamenti di
fatto, la Corte può decidere la causa nel merito ai sensi

dell’art. 384 c.p.c.
La frase (contenuta nella comparsa conclusionale del
14.7.2006, pag. 10) di cui è stata ordinata la
cancellazione è del seguente tenore: «sotto tale
profilo, poi, il rendiconto ed i successivi atti
integrativi non consentono di escludere che il curatore
abbia omesso di riferire della causa pendente per
ottenere l’approvazione del rendiconto, la liquidazione
del proprio compenso e per procedere alla liquidazione
del residuo attivo fallimentare prima della pubblicazione
della sentenza n. 540/2006 e, quindi, in violazione del
fondamentale dovere di correttezza e buona fede in senso
oggettivo in danno, quanto meno, di Rosa». Tale frase,
alla luce della giurisprudenza di legittimità, non
integra le condizioni per l’applicazione dell’art. 89
c.p.c.
Invero, si è ritenuto che non può essere disposta, ai
sensi dell’art. 89 cod. proc. civ., la cancellazione
delle parole che non risultino dettate da un passionale e
incomposto intento dispregiativo, essendo ben possibile
6

che nell’esercizio del diritto di difesa il giudizio
.

sulla reciproca condotta possa investire anche il profilo
della moralità, senza tuttavia eccedere le esigenze
difensive o colpire la scarsa attendibilità delle

affermazioni della controparte. Da tale principio è stata
tratta la conseguenza che non possono essere qualificate
offensive dell’altrui reputazione le parole (come
l’avverbio “subdolamente”), che, rientrando seppure in
modo piuttosto graffiante nell’esercizio del diritto di
difesa, non si rivelino comunque lesive della dignità
umana e professionale dell’avversario (Sez. 3, Sentenza
n. 26195 del 06/12/2011).
Per converso, nella frase di cui è stata disposta la
cancellazione non sono contenute espressioni eccedenti le

necessità difensive del ricorrente, considerato anche
l’oggetto della lite (contestazione sull’approvazione di
rendiconto, nella concreta fattispecie non approvato).
Stante

l’esito

complessivo

della

lite,

le

spese

processuali possono essere dichiarate integralmente
compensate fra le parti.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata
e, decidendo nel merito ex art. 384 c.p.c., elimina

7

l’ordine di cancellazione di frasi ex art. 89 c.p.c.
Compensa integralmente fra le parti le spese processuali.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 20

febbraio 2014

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