Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10110 del 28/05/2020

Cassazione civile sez. trib., 28/05/2020, (ud. 15/10/2019, dep. 28/05/2020), n.10110

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –

Dott. ANTEZZA Fabio – Consigliere –

Dott. NOCELLA Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 7974/2014 R.G. proposto da:

Complesso Turistico Serramarina s.r.l., in persona del legale

rappresentante pro tempore, e B.U.A., rappresentati e

difesi dagli avv. Claudio Mazzoni e Gianfranco Rondello, con

domicilio eletto presso lo studio del primo sito in Roma, via Taro,

35;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Basilicata, n. 269/1/13, depositata il 23 settembre 2013.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 15 ottobre 2019

dal Consigliere Dott. Catallozzi Paolo;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Dott. Basile Tommaso, che ha concluso chiedendo il rigetto

del ricorso;

udito gli avv. Gianfranco Rondello, per i ricorrenti, e Giammario

Rocchitta, per la controricorrente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Complesso Turistico Serramarina s.r.l. e, in proprio, il suo legale rappresentante, B.U.A., propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Basilicata, depositata il 23 settembre 2013, di reiezione dell’appello proposto dalla società avverso la sentenza di primo grado che aveva respinto il ricorso di quest’ultima contro il diniego di rimborso di un credito i.v.a.

Dall’esame della sentenza impugnata si evince che il credito vantato aveva ad oggetto l’eccedenza di i.v.a. detraibile, maturata nell’anno 2006, in relazione a spese sostenute per il miglioramento di beni immobili di proprietà di terzi e detenuti dalla contribuente in comodato.

1.1. Il giudice di appello, pur ammettendo la detraibilità dell’I.v.a. in oggetto, ha escluso il diritto al rimborso, non venendo in rilievo un’imposta assolta per l’acquisto di beni ammortizzabili, in quanto relative a beni di terzi non autonomamente separabili al termine del periodo di utilizzo.

2. Il ricorso è affidato a due motivi.

3. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

4. La ricorrente deposita memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 30, comma 3, lett. c), per aver la sentenza impugnata escluso il diritto della società contribuente al rimborso dell’eccedenza dell’I.v.a. detraibile in quanto relativa all’acquisto di beni non ammortizzabili, benchè non fosse controversa l’inerenza del relativo costo.

1.1. Il motivo è infondato.

Il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 3, nella versione applicabile, ratione temporis, al caso in esame, prevede la facoltà del contribuente di chiedere, in tutto o in parte, il rimborso dell’eccedenza detraibile, se di importo superiore a lire cinque milioni, all’atto della presentazione della dichiarazione in presenza di alcune condizioni, alternativamente previste, tra cui quella per cui tale eccedenza di riferisca all’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di beni ammortizzabili (lett. c).

Il riconoscimento del diritto al rimborso dell’eccedenza di i.v.a. detraibili richiede, pertanto, il previo accertamento della sussistenza di un atto di acquisto (o di importazione) e della natura di bene ammortizzabile dell’oggetto dell’operazione.

Con riferimento al primo aspetto deve evidenziarsi che il concetto di “cessione di beni” imponibile utilizzato dalla disciplina fiscale non coincide con quello civilistico, atteso che vi sono caso in cui ricorre la cessione anche se non si è verificato il trasferimento di proprietà (si pensi alle vendite con riserva di proprietà, nonchè alle locazioni con clausola di trasferimento della proprietà vincolante per ambedue le parti: D.P.R. n. 633 del 1972, art. 2, comma 2, nn. 1 e 2) e casi in cui, pur sussistendo un trasferimento civilistico di proprietà, non vi è “cessione di beni” imponibile (si pensi all’elenco contenuto nel medesimo art. 2, comma 3).

Una siffatta interpretazione del concetto è coerente con la disciplina unionale la quale, all’art. 14, par. 1, Direttiva 2006/112/CE, riconduce la cessione di beni fiscalmente rilevante al trasferimento non alla disponibilità giuridica del bene, ma “del potere di disporre di un bene come proprietario”, e, in ogni caso, alla consegna materiale di un bene in base ad un contratto che prevede la locazione di un bene per un dato periodo o la vendita a rate di un bene, accompagnate dalla clausola secondo la quale la proprietà è normalmente acquisita al più tardi all’atto del pagamento dell’ultima rata (par. 3);

In applicazione di tali disposizioni è stato affermato che l’operazione realizzata con la conclusione di un contratto di leasing relativo ad un bene ammortizzabile che preveda o il trasferimento di proprietà al conduttore alla scadenza di tale contratto o che il conduttore disponga, delle caratteristiche essenziali della proprietà, segnatamente che gli venga trasferita la maggior parte dei rischi e benefici inerenti alla proprietà legale del bene e che la somma delle rate, interessi inclusi, sia praticamente identica al valore venale dello stesso, va equiparata a un’operazione di acquisto di un bene di investimento (cfr. Corte Giust., 2 luglio 2015, NLB Leasing; Corte Giust. 16 febbraio 2012, Eon Aset Menidjmunt; tra la giurisprudenza domestica, cfr., da ultimo, Cass., ord., 10 maggio 2019, n. 12457).

Diversamente, ma in applicazione del medesimo principio, è stata esclusa la ricorrenza di una cessione di beni in presenza di un trasferimento della nuda proprietà di un bene ammortizzabile, in quanto all’acquisto della titolarità del bene e del potere di disposizione giuridica sullo stesso non si accompagna il trasferimento in via definitiva anche delle facoltà di godimento e di utilizzo del bene medesimo e, dunque, del potere di fatto sul bene, necessario per l’utilizzo dello stesso in funzione degli scopi dell’impresa (cfr. Cass. 22 dicembre 2017, n. 30807).

Assume, dunque, rilevanza, ai fini che qui interessano, l’acquisizione, in via definitiva, dei poteri di disposizione materiale sul bene tipici del proprietario, ossia il potere, tendenzialmente illimitato, di godimento e utilizzo, e dei relativi rischi (cd. disponibilità economica del bene).

1.2. In ordine al secondo aspetto si è affermato, ai fini che qui interessano, che, in assenza di utili indicazioni dalla disciplina in tema di i.v.a., sia nazionale, sia unionale, il concetto di bene ammortizzabile va individuato dalle disposizioni che in tema di imposte dirette ne recano una sommaria enunciazione con riferimento ai beni materiali od immateriali di cui è menzione nel T.U. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 102 e 103 (cfr., Cass. 4 dicembre 2015, n. 24779).

Sono beni ammortizzabili quelli che, da un lato, sono provvisti del requisito della strumentalità, in quanto destinati ad essere utilizzati nell’attività dell’impresa e, perciò, inidonei alla produzione di un reddito autonomo rispetto a quello del complesso aziendale in cui siano inseriti, e, dall’altro, costituiscono immobilizzazioni materiali o immateriali, in relazione alla loro idoneità ad un uso durevole, che non si esaurisce nell’arco di un esercizio contabile, e al potere dell’imprenditore di disporne in quanto titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale di godimento

La sola strumentalità del bene, dunque, non è sufficiente, attesa la non sovrapponibilità del concetto con quello di ammortizzabilità e la necessità che tale bene sia riconducibile alla categoria delle immobilizzazioni.

1.3. Ciò posto, si osserva che nel caso in esame l’1.v.a. in oggetto si riferisce – secondo quanto accertato dalla sentenza e riconosciuto dalle parti – non già all’acquisto di beni, bensì alla realizzazione di opere – per l’esattezza, opere di miglioramento eseguite su beni immobili di terzi -, in quanto tale esulante dalla previsione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 3, poichè non riconducibile alla fattispecie di acquisto di beni.

1.4. Può, al riguardo, aggiungersi che la sussistenza delle condizioni per la detrazione dell’1.v.a. non implica, di per sè, l’automatico riconoscimento del diritto al rimborso della stessa, in quanto l’innegabile centralità sistematica del principio di neutralità non impone necessariamente un vincolo di biunivocità delle situazioni, tale per cui non si possa dare l’una in difetto dell’altro e viceversa (in tal senso, invece, Cass. 27 marzo 2015, n. 6200).

Infatti, il diritto al rimborso costituisce una facoltà di natura eccezionale, riservata al contribuente in alternativa all’esercizio, in via ordinaria, del diritto della detrazione, prevista al fine di consentire agli operatori economici che effettuano operazioni di investimento un più veloce recupero dell’imposta assolta con riferimento ai beni acquistati ed evitare così un aggravio della propria posizione finanziaria.

Per le suesposte ragioni, pertanto, la sentenza impugnata, nell’escludere l’ammortizzabilità dei beni in relazione ai quali è stata assolta l’1.v.a. oggetto di istanza di rimborso, si sottrae alla censura prospettata.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono l’omesso esame e/o motivazione circa un punto decisivo e controverso del giudizio, nonchè la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 3, lett. a), per aver il giudice di appello omesso di pronunciarsi in ordine al motivo di gravame avente ad oggetto il riconoscimento del diritto al rimborso dell’eccedenza i.v.a., avanzato in via subordinata con il ricorso introduttivo, in virtù della diversa condizione consistente nell’esercizio esclusivo o prevalente di attività che comportano l’effettuazione di operazioni soggette ad imposta con aliquote inferiori a quelle dell’imposta relativa agli acquisti e alle importazioni.

2.1. Il motivo è fondato.

Parte ricorrente ha dimostrato, mediante la riproduzione, sia pure per estratto, del motivo di gravame interposto di aver impugnato la sentenza di primo grado nella parte in cui ha negato il diritto al rimborso dell’eccedenza i.v.a. chiesto ai sensi del disposto del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, lett. a).

Tale motivo di appello – di cui non vi è menzione nella parte narrativa della sentenza – non è stato affrontato dalla Commissione regionale, la quale si è soffermata unicamente sulla rimborsabilità dell’eccedenza i.v.a. ai sensi della diversa disposizione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, lett. c).

3. La sentenza impugnata va, dunque, cassata, con riferimento al motivo accolto e rinviata, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Basilicata, in diversa composizione.

PQM

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso e rigetta il primo; cassa la sentenza impugnata, con riferimento al motivo accolto, e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Basilicata, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2019.

Depositato in cancelleria il 28 maggio 2020

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