Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10108 del 18/05/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 10108 Anno 2015
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: LORITO MATILDE

SENTENZA

sul ricorso 20721-2013 proposto da:
NICOLINI ROBERTO C.F. NCLRRT53M30A547M, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA ARCHIMEDE 143, presso lo
studio dell’avvocato DOMENICO COLOMBA, che lo
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente 2015
602

contro

G3 FERRARI S.R.L. DI FERRARI GIUSEPPE & C.

IN

LIQUIDAZIONE, in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
A.GRAMSCI 14, presso lo studio dell’avvocato GABRIELE

Data pubblicazione: 18/05/2015

GATTI, che la rappresenta e difende unitamente
all’avvocato ROBERTO DE ROBERTIS, giusta delega in
atti;
>

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 377/2012 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 04/02/2015 dal Consigliere Dott. MATILDE
LORITO;
udito l’Avvocato COLUMBA DOMENICO;
udito l’Avvocato DE ROBERTIS ROBERTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ALBERTO CELESTE che ha concluso per
l’inammissibilità, in subordine rigetto.

a
-T

di BOLOGNA, depositata il 12/09/2012 R.G.N. 550/2008;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d’Appello di Bologna confermava la pronuncia del
giudice di prima istanza con cui era stata respinta la domanda
proposta da Nicolini Roberto nei confronti della s.r.l. G3
Ferrari, intesa a conseguire il pagamento di somme maturate a
titolo di provvigioni in relazione al rapporto di agenzia

definito dai contratti stipulati in data 1/9/93,

1/9/94, 1/1/96.
Nel pervenire a tali conclusioni la Corte distrettuale
osservava, per quanto in questa sede interessa, che dal tenore
complessivo degli accordi era emerso che la clausola
contrattuale attinente al cd. minimo garantito, prevedeva la
corresponsione di un minimo di lire 120.000.000 solo in caso di
acquisizione di un fatturato pari o superiore a 10 miliardi di
lire (che nello specifico, non risultava raggiunto), trovando
applicazione nell’ipotesi di mancato raggiungimento del
predetto tetto, la previsione generale di una commissione pari
al 1%; che dal petitum attore° correttamente il primo giudice
aveva espunto gli importi rivendicati in relazione al fatturato
realizzato in Spagna, in quanto non confortati dagli esiti
della attività istruttoria espletata; che le provvigioni
pretese nella misura del 6% in relazione alle vendite in Belgio
non erano esigibili, in quanto il patto aggiuntivo con cui era
stata stabilita detta commissione, alla luce delle deposizioni
testimoniali raccolte, era risultato di natura fittizia né
trovava ragion d’essere in alcun dato correlato alla
esplicazione del mandato di agenzia.
Per la cassazione di tale decisione ha proposto ricorso il
Nicolini formulando dieci motivi resistiti con controricorso
dalla G3 Ferrari s.r.l.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con i primi tre motivi si denuncia violazione e falsa
applicazione degli artt.1362-1363-1371 c.c. in relazione
all’art.360 n.3.

partes,

inter

Ci si duole della interpretazione delle clausole contrattuali
resa dai giudici del gravame, i quali avrebbero elaborato una
esegesi del testo di riferimento prescindendo dai canoni
codicistici che predicano una lettura complessiva delle
clausole contrattuali, con il ricorso all’esame del
comportamento delle parti, anche posteriore alla conclusione

delle parti, come sancito dai criteri di natura oggettiva di
cui agli artt.1371 e seguenti c.c.
Le censure, che possono esaminarsi congiuntamente in ragione
della connessione che le connota, vanno disattese.
Il ricorrente, invero, non si limita a prospettare questioni
attinenti alla ermeneutica contrattuale, ma si addentra nella
ricostruzione della vicenda lavorativa prospettando una più
appagante lettura dei dati istruttori acquisiti, a sé
favorevole, in tal guisa introducendo una censura che più
propriamente attiene al difetto di motivazione.
Sulla questione delibata, va ribadito il principio più volte
affermato da questa Corte (vedi,

ex pdurimis, Cass. 30 gennaio

2012 n.1312) secondo cui, quando nel ricorso per Cassazione,
pur denunciandosi violazione e falsa applicazione della legge,
con richiamo di specifiche disposizioni normative, non siano
indicate le affermazioni in diritto contenute nella sentenza
gravata che si assumono in contrasto con

le

disposizioni

indicate – o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla
giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina – il
motivo è inammissibile, poiché non consente alla Corte di
cassazione di adempiere il compito istituzionale di verificare
il fondamento della denunziata violazione (cfr. Cass. 20
gennaio 2006, n. 1108; Cass.29 novembre 2005 n.26048; Cass. 8
novembre 2005, n. 21659). In altri termini, il

vizio

di

violazione di legge consiste nella deduzione di una erronea
ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della
fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi,
implica necessariamente un problema interpretativo della stessa
2

del contratto, ed all’equo contemperamento degli interessi

(da cui la funzione di assicurare la uniforme interpretazione
della legge assegnata dalla Corte di cassazione). Viceversa, la
allegazione – come prospettate nella specie da parte del
ricorrente – di una erronea ricognizione della fattispecie
concreta, a mezzo delle risultanze di causa, è esterna alla
esatta interpretazione della norme di legge e si risolve nella

possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di
motivazione. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi violazione di legge in senso proprio a causa della erronea
ricognizione della astratta fattispecie normativa, ovvero
erronea applicazione della legge in ragione della carente o
contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è
segnato, in modo evidente, dalla circostanza che solo questa
ultima censura e non anche la prima è mediata dalla contestata
valutazione delle risultanze di causa (in termini, Cass. 26
aprile 2010 n.9908 in motivazione, Cass. 5 giugno 2007, n.
13066, nonché Cass. 20 novembre 2006, n. 24607, specie in
motivazione; Cass. 11 agosto 2004, n. 15499).
Nella specie il ricorrente pur invocando che i giudici del
merito, in tesi, hanno male interpretato le molteplici
disposizioni normative indicate nella intestazione del motivo,
in realtà, si limita a censurare l’interpretazione data dai
giudici del merito, delle risultanze di causa, interpretazione
a parere del ricorrente inadeguata, sollecitando, così,

legem

contra

e cercando di superare quelli che sono i limiti del

giudizio di cassazione, un nuovo giudizio di merito su quelle
stesse risultanze.
Peraltro, sotto tale ultimo profilo, viene in rilievo,

temporis,

ratione

la novella di cui all’art.54 c.1 lett.b d.l. 22/6/12

n.83 conv. in 1.7/8/12 n.134 secondo cui è ammesso il ricorso
per cassazione “per omesso esame circa un fatto decisivo per il
giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti”.
Nella interpretazione resa dalle sezioni unite di questa Corte
t

alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art.12 delle
3

tipica valutazione del giudice del merito, la cui censura è

preleggi

(vedi

Cass.

S.U.

7

aprile

2014

n.8053),

la

disposizione va infatti letta in un’ottica di riduzione al
minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla
motivazione, di guisa che è stato ritenuto denunciabile in
cassazione, solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in
violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto

vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere
dal confronto con le risultanze processuali, esaurendosi nelle
ipotesi di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto
materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel
contrasto irriducibile fra motivazioni inconciliabili” e nella
“motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”
esclusa qualsiasi rilevanza del semplice difetto di
“sufficienza” della motivazione.
Nello specifico la motivazione, congrua e completa, giacchè
rende una esegesi del dato contrattuale ampia ed articolata,
che tiene conto sia dell’elemento letterale, sia delle
successive integrazioni della volontà delle parti mediante
l’accordo stipulato il 1/1/96, sia del comportamento delle
parti (mancato recupero degli importi versati in eccedenza
dalla casa mandante) non presenta alcuna delle carenze
censurabili alla stregua del novellato disposto di cui
all’art.360 n.5 c.p.c. e non resta pertanto scalfita dalle
censure formulate sul punto.
Con il quarto motivo si denunzia violazione e falsa
applicazione dell’art.116 c.1 c.p.c. e dell’art.132 n.4 in
relazione all’art.360 n.4 c.p.c. Lamenta il ricorrente che la
Corte distrettuale, nel valutare il comportamento delle parti,
non abbia reso una motivazione logica, ed informata ad un
prudente apprezzamento, presentandosi assertiva e tautologica,
tale da non consentire di ricostruire la ratio decidendi.
La censura appare affetta dai medesimi profili di infondatezza
che connotano i primi tre motivi, secondo quanto rilevato in
precedenza, perché intende in realtà introdurre una critica
4

attinente alla esistenza della motivazione in sé, purchè il

attinente al difetto di motivazione non coerente con i dettami
sanciti dal novellato disposto di cui all’art.360 n.5 c.p.c.
Il quinto motivo, formulato in relazione all’art.360 n.3
c.p.c., attiene alla valutazione elaborata dalla Corte
territoriale in ordine alle dichiarazioni rese dal legale
rappresentante della preponente, disposta in violazione dei

Anche tale censura tende a conseguire una rivisitazione delle
risultanze istruttorie che, per i motivi esposti, è inibita in
sede di legittimità.
Con il sesto, settimo ed ottavo motivo si denuncia violazione e
falsa applicazione di plurime disposizioni di legge (artt.13622697-2729 c.c.) in relazione all’art.360 n.3 c.p.c. Si lamenta
che la Corte distrettuale abbia erroneamente interpretato la
clausola contrattuale attinente alle vendite in interscambio
commerciale, ritenendo escluso dal computo delle provvigioni,
anche il fatturato della Spagna.
Le censure appaiono prive di fondamento giacche tendono ad una
rivisitazione degli approdi ai quali è pervenuta la Corte
distrettuale sulla scorta di motivazione corretta sul versante
giuridico ed esente da vizi logici, modulata sulla scorta dei
dati testimoniali acquisiti e delle risultanze della CTU queste ultime neanche validamente censurate da parte ricorrente
– univoci nel rimarcare l’insussistenza della riconducibilità
ad attività del Nicolini, delle vendite realizzate in Spagna e
la conseguente esclusione dalla base di computo dei compensi
provvigionali e del cd.minimo garantito.
Con il nono e decimo motivo viene dedotta violazione di plurime
disposizioni di legge in relazione all’art.360 n.3 c.p.c. nella
parte in cui i giudici del gravame hanno ritenuto il carattere
fittizio della provvigione aggiuntiva del 5% per le vendite in
Belgio.
Si lamenta, in particolare, violazione dell’art.1417 c.c. che
limita l’ammissibilità di prova per testimoni su circostanze
aggiunte o contrarie al contenuto di un documento, qualora la
5

dettami di cui all’art.2733 c.c.

domanda di simulazione sia stata proposta, come nella specie,
da una delle parti.
– Il motivo è infondato,

dal momento che secondo la

iurisprudenza di questa Corte (vedi Cass. 17 aprile 2009 n.
9228, Cass. 21 maggio 2002 n.7465) nelle controversie soggette

/

al rito del lavoro il giudice ha la facoltà di ammettere la
prova testimoniale della simulazione al di fuori dei limiti
previsti dall’art. 1417 cod. civ., in quanto l’art. 421 cod.
proc. civ., nel consentire l’ammissione dei mezzi di prova
“anche fuori dei limiti stabiliti dal codice civile”, si
riferisce, per la prova testimoniale, alle disposizioni
generali di cui agli artt. 2721, 2722 e 2723 cod. civ. alle
quali si collega il citato art. 1417 cod. civ.. (Cass. 21
maggio 2002 n.7465, a conferma di un precedente indirizzo per
il quale v. Cass. 28 ottobre 1995 n.11255; Cass. 7 ottobre 1994
n.8229).
In definitiva, sotto tutti i profili evidenziati, il ricorso si
palesa destituito di fondamento e va pertanto, respinto.
Le spese inerenti al presente giudizio di cassazione si pongono
a carico del Nicolini per il principio della soccombenza e si
liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro
100,00 per esborsi ed euro 5.000,00 per compensi professionali,
oltre accessori come per legge.
Ai sensi dell’art.13 coma l quater del d.p.r. 115 del 2002 dà
atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da
parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso
principale a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma il 4 febbraio 2015.

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