Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10107 del 28/05/2020

Cassazione civile sez. trib., 28/05/2020, (ud. 10/10/2019, dep. 28/05/2020), n.10107

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. CENICCOLA Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15480-2012 proposto da:

CO.AL.GI. SOCIETA’ CONSORTILE A RL in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA

ANTONIO NIBBY 11, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO BIASIOTTI

MOGLIAZZA, che lo rappresenta e difende giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, DIREZIONE PROVINCIALE DI PERUGIA,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 239/2011 della COMM. TRIB. REG. di PERUGIA,

depositata il 14/12/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/10/2019 dal Consigliere Dott. LUCIO NAPOLITANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

IMMACOLATA ZENO che ha concluso per il rigetto del motivo 1 2 3,

assorbimento esame del 4^ motivo;

udito per il controricorrente l’Avvocato DE BONIS che si associa e

chiede il rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 239/1/11, depositata il 14 dicembre 2011, non notificata, la Commissione tributaria regionale (CTR) dell’Umbria, respinse gli appelli, di seguito riuniti, proposti dalla CO. AL. GI, Società consortile a r. L. (di seguito la società) avverso le sentenze n. 117/07/2010 e n. 301/07/2010 rese dalla Commissione tributaria provinciale (CTP) di Perugia, che avevano a loro volta rigettato, la prima, il ricorso proposto dalla società avverso avvisi di accertamento ai fini IRES, IRAP ed IVA per gli anni 2004 e 2005 e la seconda l’impugnazione proposta avverso la cartella di pagamento avente titolo nei summenzionati avvisi di accertamento.

Questi ultimi traevano origine da controlli esperiti nei confronti della società consortile, costituita tra le società Alpine Bau Ges. M. b. H., titolare del 60% del capitale della società consortile, e Giombini S.p.A., detentrice del 40% del capitale sociale della CO. AL. GI, operanti quali imprenditori nel settore delle costruzioni edili, allo scopo di dar vita ad un’organizzazione comune per lo svolgimento delle attività imprenditoriali di loro pertinenza.

L’Amministrazione finanziaria aveva contestato, ai fini IRES, maggiori ricavi per Euro 580.000,00, maggiori componenti positivi ai fini IRAP ed un maggiore volume di affari ai fini IVA ciascuno per lo stesso importo, con conseguente determinazione delle maggiori imposte ritenute dovute; ciò avendo rilevato che la fatturazione della società consortile alle consorziate e viceversa era fatta solo in chiusura di esercizio in relazione alla differenza tra il totale dei costi sostenuti e dei ricavi realizzati nel corso dell’esercizio medesimo. La differenza era quindi azzerata mediante l’emissione di fatture attive pro-quota in caso di costi superiori ai ricavi, mediante ricezione di fatture passive emesse da parte delle società consorziate nel caso contrario.

Essendo stati nel periodo di riferimento (anno 2004) i ricavi superiori ai costi sostenuti per servizi nella misura di Euro 580.000,00, la società consortile aveva ricevuto dalla società Alpine nell’anno successivo fattura di Euro 348.000,00 (pari alla quota del 60% di cui la società Alpine è proprietaria), oltre IVA, e di Euro 232.000,00 (pari al 40% di cui è proprietaria la società Giombini), oltre IVA, dalla società Giombini. Detto sistema di contabilizzazione faceva sì, secondo l’Amministrazione finanziaria e, secondo la sentenza della CTR che ne ha condiviso l’argomentazione, che il vantaggio fosse conseguito indirettamente dalle società consorziate, attraverso la distribuzione di utili, così come in un ordinario sistema di società collegate, snaturando l’essenza, insita nella natura mutualistica, tipica della causa consortile.

La sentenza della CTR, inoltre – nel rigettare anche l’appello proposto dalla società consortile avverso la sentenza n. 301/7/10 della CTP di Perugia avverso la cartella di pagamento, con la quale era notificato il ruolo straordinario emesso per l’intero importo delle imposte, interessi e sanzioni di cui ai succitati avvisi di accertamento, sebbene non definitivi – ritenne che l’Amministrazione avesse dato prova sufficiente del pericolo per la riscossione, con riferimento alla dichiarazione dei redditi del consorzio per l’anno 2008, da cui emergeva l’assenza di immobilizzazioni e la mancanza di scopo della società consortile, una volta esaurita la realizzazione dell’opera appaltata, per la quale essa era stata costituita.

Avverso la sentenza della CTR la società consortile ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia omessa e/o insufficiente motivazione circa fatti decisivi per la controversia con riferimento alla modalità di contabilizzazione dei ricavi e di fatturazione alle consorziate seguita dalla CO. AL. GI., nonchè contraddittoria motivazione con riferimento alla previsione statutaria degli utili, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Assume la società ricorrente che la sentenza della CTR avrebbe totalmente omesso di motivare in ordine alle argomentazioni, con le quali, nel ricorso in appello, la società aveva impugnato la decisione di primo grado, nella parte in cui essa aveva condiviso i primi due profili di contestazione svolti dall’Amministrazione negli atti impositivi impugnati, il primo relativo al fatto che nel bilancio della società consortile i corrispettivi ricevuti da terzi fossero stati contabilizzati in conto economico e non come debiti verso i soci, il secondo riguardante le già sopra indicate modalità di fatturazione in chiusura di esercizio come differenza tra il totale dei costi sostenuti e dei ricavi realizzati nel corso dell’intero esercizio, lamentando invece la contraddittorietà della decisione impugnata con riferimento all’interpretazione della clausola statutaria che prevede espressamente la distribuzione di utili alle società partecipanti.

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia nullità della sentenza per vizio di extrapetizione in violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, ex art. 112 c.p.c., nonchè del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, con riferimento all’asserita necessità di allegazione da parte della società consortile della contabilità delle società consorziate, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

La ricorrente, richiamati i tre profili di contestazione sopra indicati quali riportati dagli atti impositivi, sostiene che la sentenza impugnata sarebbe incorsa nel vizio di extrapetizione, avendo giustificato la legittimità della ripresa a tassazione sulla base di argomentazione differente rispetto a quelle contenute negli atti stessi oggetto d’impugnazione, non contenuta nella motivazione, prescritta a pena di nullità degli avvisi impugnati, dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42.

3. Con il terzo motivo la società denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 31-37, del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 51-53 e 63-66 e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, circa l’asserita necessità di allegazione della contabilità delle consorziate a carico del Consorzio, nonchè in ordine all’omessa produzione in giudizio del bilancio della CO. AL. GI., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, assumendo che la sentenza impugnata avrebbe violato il criterio di riparto dell’onere probatorio, spettando all’Amministrazione, anche attraverso l’esercizio dei poteri istruttori ad essa riconosciuti dalle succitate disposizioni procedimentali rispettivamente in tema di accertamento per le imposte dirette e per l’IVA, acquisire la documentazione, anche attraverso soggetti terzi, nel caso di specie le consorziate, necessaria a supportare il controllo espletato, solo all’esito potendo sorgere in capo alla contribuente l’onere di provare le circostanze di fatto necessarie per smentire le contestazioni dell’Ufficio.

Quanto poi all’affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui non sarebbe stata prodotta in atti copia dei bilanci della società consortile relativi agli esercizi 2004 e 2005, la ricorrente deduce che essi, comprensivi di nota integrativa, sono stati prodotti in allegato al ricorso in appello, integrando pertanto la decisione impugnata anche violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, norma speciale che per il processo tributario consente la produzione di documenti nuovi in appello.

4. Infine, con il quarto motivo, la ricorrente censura la decisione impugnata nella parte in cui ha rigettato l’appello proposto avverso la sentenza della CTP n. 301/07/2010, per insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonchè violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riferimento al D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 11 e 15 bis, in merito alla sussistenza del fondato pericolo per la riscossione.

5. Il primo motivo deve ritenersi inammissibile.

5.1. Invero il vizio di motivazione, denunciabile come motivo di ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella sua formulazione, applicabile ratione temporis al presente giudizio, ante riforma di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, può concernere esclusivamente l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia. I fatti, peraltro non controversi nella loro oggettività storica, sono stati esaminati funditus dalla sentenza impugnata, che ne ha dato conto in modo adeguato.

5.2. Piuttosto parte ricorrente sembra dolersi, con il primo motivo, di un’erronea motivazione in diritto, laddove la sentenza impugnata ha escluso che la società consortile potesse appostare i costi per servizi resi ed i ricavi da corrispettivi dell’appalto nelle rispettive voci del conto economico, considerando detto modus operandi comunque incompatibile, oltre che con le disposizioni normative in tema di società consortili (art. 2615 ter c.c. in relazione alle disposizioni in tema di consorzi con attività esterna), con la previsione statutaria che ammette la distribuzione di utili alle consorziate, che deve rivestire una valenza marginale per non snaturare la causa mutualistica propria dell’organizzazione comune consortile ex art. 2602 c.c..

5.3. E’ noto, tuttavia, che la giurisprudenza di questa Corte ha più volte ribadito che non può essere dedotta in relazione al parametro di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la carenza motivazionale che sia riferita all’interpretazione o all’applicazione di norme giuridiche, giacchè, ove, come nel caso di specie il giudice di merito abbia correttamente deciso le questioni di diritto sottoposte al suo esame, quand’anche la motivazione fosse inadeguata, illogica o contraddittoria, la Corte di cassazione, nell’ambito del potere correttivo di cui all’art. 384 c.p.c., comma 2, dovrebbe limitarsi a sostituire, integrare o emendare la motivazione della sentenza impugnata (cfr., tra le altre, Cass. sez. 6-5, ord. 1 febbraio 2017, n. 2653; Cass. sez. 1, 27 dicembre 2013, n. 28663; Cass. SU 25 novembre 2008, n. 28054).

5.4. In questa sede deve peraltro essere opportunamente precisato che, diversamente da quanto indicato in ricorso (si veda, in particolare, pag. 36), non può convenirsi sull’equipollenza, sul piano della fatturazione, tra i due modelli descritti, quello, predicato dall’Amministrazione finanziaria dell’immediata iscrizione a debiti/crediti verso i soci, laddove fosse stata comprovata la natura strettamente strumentale della società consortile e la sua rispondenza allo scopo mutualistico, e quello dell’imputazione alle transazioni al conto economico della società consortile, atteso che solo nel primo caso avrebbe potuto dirsi correttamente assolto l’obbligo di riaccredito dei ricavi e riaddebito dei costi (c.d. ribaltamento) alle imprese consorziate, di modo che, ai fini IVA, le singole consorziate avrebbero dovuto emettere fattura nei confronti del Consorzio in proporzione della quota consortile per il ribaltamento dei proventi a loro attribuiti, ovvero autofattura, in proporzione della quota consortile, per il ribaltamento dei relativi costi (cfr., tra le altre, Cass. sez. 5, 17 maggio 2019, n. 13360; Cass. sez. 5, 17 dicembre 2014, n. 26480).

6. Il secondo motivo è infondato.

Non ricorre, nella fattispecie in esame, il denunciato vizio di extrapetizione. La sentenza impugnata è, infatti, rimasta nell’ambito del thema decidendum quale rispettivamente delimitato, nel giudizio tributario a carattere impugnatorio, dalla pretesa dell’Amministrazione quale determinata nell’atto impositivo e dai motivi d’impugnazione formulati dal contribuente.

Quanto osservato dalla sentenza impugnata in punto di mancanza di prova della natura strumentale della società consortile rispetto alle attività svolte direttamente dalle consorziate resta pur sempre nell’ambito della causa petendi quale delineata negli atti impositivi, relativa proprio all’equiparazione della ripartizione degli utili alle consorziate non diversamente dal meccanismo distributivo proprio del collegamento tra società di capitali, ove il fine precipuo è quello di lucro.

7. Ugualmente è infondato, oltre che inammissibile, il terzo motivo, nella parte in cui la ricorrente si duole del fatto che la sentenza abbia accertato che la società consortile CO.AL.GI si sarebbe posta come vera e propria società operativa, imputando alla ricorrente di non aver soddisfatto l’onere probatorio riguardo allo svolgimento da parte della società di attività meramente strumentale, di raccordo con il committente, rispetto a quella svolta dalle consorziate.

7.1. Non vi è dubbio che, in relazione a tale profilo, l’allegazione della contabilità delle consorziate avrebbe potuto supportare la tesi della compatibilità dell’attività svolta dalla società consortile con lo scopo mutualistico, disconosciuta dall’Amministrazione in base alla convergenza degli elementi presuntivi sopra richiamati, laddove risulta incomprensibile la doglianza in sè riferita al mancato esercizio da parte dell’Amministrazione di taluni poteri istruttori ad essa riconosciuti in fase di accertamento in tema d’imposte dirette e di IVA.

7.2. Il motivo è ancora inammissibile nella parte in cui la ricorrente si duole, sub specie della violazione o falsa applicazione di norma di diritto, anche quale error in procedendo, nonostante il riferimento al parametro normativo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del fatto che la sentenza impugnata (par. 6.4) ha affermato che la società CO.AL.GI. “non ha prodotto il bilancio” sebbene quest’ultimo, comprensivo della nota integrativa, fosse stato prodotto in all. 3 nel fascicolo di parte depositato in appello in relazione a ciascuna annualità in contestazione.

In tal caso, infatti, avendo la parte assunto che il giudice tributario d’appello abbia errato nel ritenere non prodotto in giudizio il documento che avrebbe potuto avere valenza decisiva, l’errore in cui sarebbe incorso il giudice avrebbe potuto essere dedotto soltanto in sede di revocazione, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, sempre che ne ricorressero le condizioni (cfr. Cass. sez. 2, 11 giugno 2018, n. 15043; Cass. sez. 5, 1 giugno 2007, n. 12904).

8. Il quarto motivo deve infine dichiararsi inammissibile per sopravvenuta carenza d’interesse, per effetto del rigetto dei motivi di ricorso volti a censurare la statuizione della CTR in punto di ritenuta legittimità degli avvisi di accertamento impugnati dai quali origina la cartella oggetto di separata impugnazione.

Va, infatti, osservato – di là dalle questioni che hanno riguardato nel giudizio di merito la legittimità del ruolo straordinario notificato alla società consortile per mezzo della cartella di pagamento anch’essa impugnata, con esito sfavorevole per la società – che deve ritenersi in ogni caso ormai legittima l’iscrizione a ruolo per le intere imposte richieste, stante la definitività della legittimità degli avvisi di accertamento.

9. Il ricorso va pertanto rigettato.

10. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 13.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2020

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