Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10105 del 29/04/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Sent. Sez. L Num. 10105 Anno 2013
Presidente: NAPOLETANO GIUSEPPE
Relatore: MANNA ANTONIO

SENTENZA
sul ricorso 18938-2010 proposto da:
LA ROCCA FRANCESCA GRCNTN49T21H703M, LUCARIELLO LUIGI
LCRLGU39E241720U, GRECO ANTONIO GRCNTN49T21H703M, DE
ROSA DOMENICO DRSDNC47S15L259P, CARRANO ROSA
CRRRS040T70A251K nella qualità di vedova ed erede di
ESPOSITO PAOLO, ESPOSITO SALVATORE SPSSVT38D06C940V,
2013
753

VUOLO CLAUDIO VLUCLD41B16H703Z, FIUME FRANCESCO
FMIFNC40R18F138F, FORMOSA ANDREA FRMNDR42R08C3611,
PIRONTI ASSUNTA PRNSNT51R65F9120 vedova LORIA ALDO,
CERRACCHIO DOMENICO CRRDNC41A01A674T, tutti

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA F. CORRIDONI

Data pubblicazione: 29/04/2013

23, presso lo studio dell’avvocato BALBONI BARBARA,
rappresentati e difesi dall’avvocato TROISI MICHELE,
giusta delega in atti;

– ricorrenti contro

in persona del Ministro pro tempore, AGENZIA DELLE
DOGANE 97210890584 in persona del legale
rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi
dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui
Uffici ex lege domiciliano in ROMA, alla VIA DEI
PORTOGHESI, 12;
– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 683/2009 della CORTE D’APPELLO
di SALERNO, depositata il 07/01/2010 R.G.N. 384/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 27/02/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIO
MANNA;
udito l’Avvocato TROISI MICHELE;
udito l’Avvocato TORTORA ROBERTA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE 80415740580,

R.G. n. 18938/10
Ud. 27.2.2013
Cerracchio + altri c. Ministero dell’Economia e delle Finanze + 1

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza depositata il 7.1.10 la Corte d’Appello di Salerno rigettava il
gravame interposto da Domenico Cerracchio, Domenico De Rosa, Salvatore

Esposito, Francesco Fiume, Andrea Formosa, Antonio Greco, Francesca La Rocca,
Luigi Lucariello, Assunta Pironti, Claudio Vuolo e Rosa Carrano, tutti appartenenti
alla IX qualifica funzionale, Area C, posizione economica C3 di cui ai ruoli del
Ministero dell’Economia e delle Finanze, contro la pronuncia con cui il Tribunale di
Salerno aveva respinto al loro domanda, avanzata anche nei confronti della Agenzia
delle Dogane, intesa ad ottenere l’equiparazione stipendiale al personale del
soppresso ruolo generale ad esaurimento di ispettore generale o di direttore di
divisione, con pagamento delle maturate differenze retributive.
Per la cassazione di tale sentenza ricorrono con unico atto i lavoratori sopra
ricordati affidandosi a tre motivi, poi ulteriormente illustrati con memoria ex art.
378 c.p.c. e, infine, seguiti da note d’udienza in replica alle conclusioni del PG.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Dogane resistono
con unico controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1- Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione
degli artt. 2, 45 e 69 d.lgs. n. 165/01, nonché vizio di motivazione, per avere
l’impugnata sentenza escluso trattamenti discriminatori a loro danno da parte della
contrattazione collettiva, comparto Ministeri — Agenzie fiscali, rispetto al personale
proveniente dall’ex ruolo ad esaurimento (ex qualifiche di ispettore generale e di
direttore di divisione ed equiparate), malgrado l’identità di mansioni e di qualifica.
Il motivo è infondato.
Come questa S.C. ha già statuito (cfr. Cass. 27.10.11 n. 22437; Cass. 28.3.12 n.
4971), la distinzione in termini stipendiali fra il personale appartenente a ruolo ad
esaurimento e gli altri dipendenti della ex IX qualifica funzionale, tutti ormai
inseriti nell’area contrattuale “C” dai CCNL 12.2.99 e 12.6.03, lungi dal
determinare una violazione di legge da parte della contrattazione collettiva,
costituisce, anzi, attuazione della norma transitoria contenuta nell’art. 69 co. 30
1

2

R.G. n. 18938/10
Ud. 27.2.2013
Cerracchio + altri c. Ministero dell’Economia e delle Finanze + 1

dello stesso d.lgs. n. 165/01, in virtù della quale i dipendenti delle qualifiche ad
esaurimento di cui agli articoli 60 e 61 d.P.R. 30.6.72 n. 748 (e successive
modificazioni ed integrazioni) e quelli di cui all’art. 15 legge 9.3.89 n. 88, i cui
ruoli sono contestualmente soppressi a far data dal 21.2.93, conservano le qualifiche

medesime “ad personam”: ciò significa che tali qualifiche costituiscono una
consapevole eccezione legislativa rispetto all’assetto ordinario, eccezione prevista
dallo stesso testo (il d.lgs. n. 165/01) cui appartiene la norma (art. 45) che i
ricorrenti assumono essere stata violata o falsamente applicata.
Dunque, la doverosa interpretazione sistematica impedisce l’invocata estensione
del trattamento stipendiale corrispondente a tali qualifiche sopravvissute “ad

personam”, pena lo svuotamento dello stesso portato precettivo della
summenzionata previsione transitoria, in un capovolgimento del normale rapporto
tra norme transitorie e disposizioni a regime che comporterebbe un sostanziale (e
inedito) allineamento (in termini di conseguenze sul piano retributivo) delle
seconde alle prime.
Sotto ulteriore angolazione visuale, va ricordato che questa S.C. ha già avuto
modo di statuire più volte (cfr. Cass. 18.6.08 n. 16504; Cass. 19.6.08 n. 16676;
Cass. 10.3.09 n. 5726; Cass. 12.3.09 n. 6027; Cass. 27.5.09 n. 12336), con
orientamento cui va data continuità, che l’art. 45 cpv. d.lgs. n. 165/2001 non vieta
ogni trattamento differenziato nei confronti delle singole categorie di lavoratori, ma
solo quelli contrastanti con specifiche previsioni normative, restando escluse dal
sindacato del giudice le scelte compiute in sede di contrattazione collettiva.
In altre parole, il principio di parità di trattamento nell’ambito dei rapporti di
lavoro pubblico, sancito dal cit. art. 45, vieta trattamenti individuali migliorativi o
peggiorativi rispetto a quelli previsti dal contratto collettivo, ma non costituisce
parametro per giudicare delle eventuali differenziazioni operate in quella sede.

A fortiori non sarebbe ipotizzabile nel caso di specie un contrasto della pattuizione
collettiva con il (meno esteso) principio di non discriminazione, inidoneo a vietare
ogni trattamento differenziato nei confronti delle singole categorie di lavoratori,
rilevando sotto tale profilo solo le specifiche previsioni normative contenute
nell’ordinamento.
2

3

R.G. n. 18938/10
Ud. 27.2.2013
Cerracchio + altri c. Ministero dell’Economia e delle Finanze + 1

Nel corso degli anni non ne sono mancati esempi, come avvenuto con gli artt. 15 e
16 Stat., l’art. 4 legge n. 604/66, gli artt. 1 e 3 legge n. 903/77, l’art. 4 legge n.
125/91 (poi modificato dall’art. 8 d.lgs. n. 196/2000 ed ora trasfuso negli artt. 36 e

ss. del Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, vale a dire nel d.lgs.
11.4.2006 n. 198), i d.lgs. nn. 215 e 216/2003 che hanno dato attuazione alle
direttive 2000/43/CE e 2000/78/CE, l’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (approvata
dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10.12.48), le Convenzioni O.I.L.
nn. 111 e 117 (ratificate, rispettivamente, con legge 6.2.63 n. 405 e con legge
13.7.66 n. 657), l’art. 7 del Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali
e culturali (ratificato con legge 25.10.77 n. 881), il patto di New York 16-19.12.66,
l’art. 69 del Trattato istitutivo della CECA, reso esecutivo in Italia con legge
25.6.52 n. 766, l’art. 119 del Trattato istitutivo della CEE del 25.3.57, reso
esecutivo con legge 14.10.57 n. 1203, la Carta sociale europea, approvata il 18.6.61
e resa esecutiva con legge 3.7.65 n. 929.
Né il principio di parità nei termini invocati in ricorso potrebbe essere affermato
sulla base di Corte cost. n. 103/1989 (mera sentenza interpretativa di rigetto), che
all’autonomia organizzativa non illimitata del datore di lavoro contrappone proprio
il potere di classificazione professionale dei lavoratori demandato ai contratti
collettivi, secondo scelte non sindacabili dal giudice, mancando il parametro di
giudizio cui rapportare siffatta verifica.
Alle argomentazioni esposte nei summenzionati arresti di questa S.C. possono
aggiungersi – sempre a conferma della insindacabilità, da parte del giudice, di
clausole del contratto collettivo cui si imputi una violazione del principio di parità
di trattamento contenuto nell’art. 45 cpv. cit. – ulteriori riflessioni sulla scia
dell’esperienza maturata a seguito di Cass. S.U. 17.5.96 n. 4570 (e successive
conformi) e della stessa cit. Corte cost. n. 103/89 (pur entrambe relative al lavoro
alle dipendenze di privati e non di pubbliche amministrazioni).
Orbene, pur a voler leggere nel modo più ampio possibile il principio di parità, se
esso deriva (come affermato dalla cit. sentenza della Corte cost., che — com’è noto,
ipotizzava anche interventi demolitori da parte del giudice sui contratti collettivi)
3

4

R.G. n. 18938/10
Ud. 27.2.2013
Cerracchio + altri c. Ministero dell’Economia e delle Finanze + I

dall’applicazione dell’art. 41 cpv. Cost., discende, come corollario, che è
pregiudicata la pari dignità lavorativa se un dato trattamento economico deriva da
autonome scelte imprenditoriali che siano espressione di quella libertà di iniziativa
economica privata che l’art. 41 Cost. vieta possa svolgersi in contrasto con la

dignità e la sicurezza umana.
E allora, quando la disparità trova titolo non nelle scelte in cui si estrinseca il
potere direttivo del datore di lavoro (sia esso pubblico o privato), ma nelle
pattuizioni dell’autonomia collettiva e in queste non si riscontrano finalità illecite,
bensì mere valutazioni comparative, non ricorre più il conflitto del lavoratore con
l’altrui iniziativa economica (che era alla base della motivazione della cit. sent. n.
103/89 della Corte cost.), ma, semmai, con l’autonomia negoziale delle parti
collettive.
Attraverso quest’ultima si esprime un bisogno di solidarietà che impone il ricorso
a discipline che coinvolgano vaste categorie cui assicurare più vantaggiose
condizioni contrattuali (non solo in campo lavorativo), solidarietà che, in nome del
sostegno alle fasce marginali del gruppo rappresentato, ridistribuisce in maniera
meno differenziata risorse e/o sacrifici, tenendo conto anche delle compatibilità
economico/finanziarie del momento.
Al contrario, la parità di trattamento – al di là delle apparenze – proprio perché
postula uguale trattamento ad uguali fattispecie e, per converso, differente
trattamento per fattispecie diverse (unicuique suum), invece di “compattare” gli
interessi dei rappresentati (come tende a fare, per lo più ed entro certi limiti, la
contrattazione collettiva), finisce con articolarli in una gamma indefinita di
distinguo, in proporzione diretta rispetto alla molteplicità delle situazioni.
In altre parole, il principio di parità nasce storicamente non solo e non tanto
dall’esigenza di recuperare uguaglianza (nell’accezione non solidaristica sopra
evidenziata) o, meglio, esatta giustizia distributiva, quanto dalla necessità di
regolare l’uso d’un potere privato all’interno d’una comunità organizzata.
Questo bisogno si manifesta — cioè – per colmare il vuoto di “contraddittorio” ove
manchi istituzionalmente la possibilità che il soggetto in posizione subalterna faccia
valere le proprie ragioni contro le scelte discrezionali del soggetto in posizione
4

5

R.G. n. 18938/10
Ud. 27.2.2013
Cerracchio + altri c. Ministero dell’Economia e delle Finanze + 1

preminente. Ma ciò non si verifica rispetto alla contrattazione collettiva, in cui le
parti operano su un piano tendenzialmente paritario e sufficientemente
istituzionalizzato.
Da ultimo, si tenga presente che la sede giurisdizionale non è certo la più adatta ad

incidere su discrasie che magari trovano la propria ragion d’essere nella storia delle
relazioni sindacali in un dato settore merceologico o in un determinato comparto
pubblico: ad es., clausole che prevedano forme di disparità potrebbero essere state
convenute per sanare – a loro volta – disparità anteriori, oppure per salvaguardare
livelli retributivi di personale assorbito a seguito di operazioni di mobilità
interaziendale o, ancora, di lavoratori appartenente a ruoli ad esaurimento, come nel
caso in oggetto. In siffatte evenienze il giudice dovrebbe procedere a un’anamnesi
delle relazioni sindacali e delle vicende aziendali o di comparto pubblico tanto
elaborata e a vasto raggio da essere difficilmente compatibile con i margini
dell’accertamento giudiziario, troppo angusti a cagione dei paletti imposti da

petitum e causa petendi.
2- Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano vizio di motivazione, nonché
violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., per mancato rilievo del giudicato
interno formatosi, a seguito della pronuncia di prime cure, in punto di identità di
qualifica e mansioni tra il personale proveniente dalla ex IX qualifica funzionale e
dal ruolo ad esaurimento confluito nella declaratoria dell’Area C del CCNL
comparto ministeri.
La stessa doglianza viene, in sostanza, fatta valere anche con il terzo motivo, sotto
forma di vizio di motivazione e di violazione e falsa applicazione dei contratti
collettivi di lavoro in relazione all’art. 45 d.lgs. n. 165/01.
I due motivi, ancor prima che infondati perché non può aversi giudicato su una
mera affermazione priva di autonoma idoneità decisionale, sono comunque
irrilevanti, atteso che i giudici di primo e secondo grado hanno correttamente
statuito che, a prescindere dall’allegata identità di qualifica e mansioni, nel caso di
specie non può aversi la pretesa equiparazione stipendiale perché, a monte, non si
applica il principio di parità di trattamento nei termini suggeriti dagli odierni
5

6

R.G. n. 18938/10
Ud. 27.2.2013
Cerracchio + altri c. Ministero dell’Economia e delle Finanze + 1

ricorrenti, questione su cui valgano nella presente sede le considerazioni sopra
svolte in relazione al primo motivo.
Quanto ai vizi di motivazione dedotti in tutti e tre i motivi, è appena il caso di
sotto altri profili, nelle argomentazioni di diritto poste a base della prima articolata
doglianza, non denunciando un reale vizio di motivazione da farsi valere ex art. 360
n. 5 c.p.c., noto essendo che il vizio di motivazione spendibile mediante ricorso per
cassazione concerne solo la motivazione in fatto, giacché quella in diritto può
sempre essere corretta o meglio esplicitata ex art. 384 ult. co . c.p.c. senza che la
sentenza impugnata ne debba in alcun modo soffrire.
Invero, rispetto alla questione di diritto ciò che conta è che la soluzione adottata
sia corretta ancorché malamente spiegata o non spiegata affatto; se invece risulta
erronea, nessuna motivazione (per quanto dialetticamente suggestiva e ben
costruita) la può trasformare in esatta e il vizio da cui risulterà affetta la pronuncia
sarà non già di motivazione, bensì di inosservanza o violazione di legge o falsa od
erronea sua applicazione.
3.1. – In conclusione, il ricorso è da rigettarsi.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la
soccombenza.
P.Q.M.

La Corte
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di
legittimità, liquidate in euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre spese
prenotate a debito.
Così deciso in Roma, in data 27.2.2013.

rilevarne l’inammissibilità perché con essi, in sostanza, non si fa altro che insistere,

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA