Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10105 del 09/05/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 10105 Anno 2014
Presidente: VITRONE UGO
Relatore: NAZZICONE LOREDANA

SENTENZA

sul ricorso 19363-2012 proposto da:
SOSTO FEDERICA, in proprio quale socia della
società fallita e nella qualità di ultima
liquidatrice della Assioma in liquidazione s.r.1.,

Data pubblicazione: 09/05/2014

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OSLAVIA 39F, presso l’avvocato SILVIO CARLONI, che la
2014
345

rappresenta e difende, giusta procura a margine del
ricorso;
– ricorrente contro

1

EQUITALIA SUD S.P.A.,
pro

rappresentante
4

in persona del legale
tempore,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA G.P. DA PALESTRINA 19,
presso l’avvocato FRANCO FABIO FRANCESCO, che la
rappresenta e difende, giusta procura in calce al

controricorso;
FALLIMENTO N. 590/2011 DELLA ASSIOMA S.R.L. IN
LIQUIDAZIONE, in persona del Curatore fallimentare
prof avv. ANTONIO MARIA LEOZAPPA, elettivamente
domiciliato in ROMA, CORSO D’ITALIA 19, presso
l’avvocato PAPARELLA FRANCO, che lo rappresenta e
difende, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2969/2012 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 04/06/2012;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 07/02/2014 dal Consigliere
Dott. LOREDANA NAllICONE;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato CARLONI SILVIO
che si riporta;
udito,

per

il

controricorrente

Fallimento,

l’Avvocato BRUNO SED che si riporta;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. SERGIO DEL CORE che ha concluso per
“.

il rigetto del ricorso.

n

2

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

..,

La Corte d’appello di Roma ha respinto il reclamo
proposto, ai sensi dell’art. 18 1. fall., avverso la sentenza
del Tribunale di Roma del 15 novembre 2011, che ha dichiarato
il fallimento della Assioma s.r.l. in liquidazione, cancellata

osservato:

che sussiste, ai sensi dell’art. 10 1. fall., la

legittimazione dell’ultima liquidatrice, pur essendo stata la
società cancellata dal registro delle imprese;
– che il
questa

dies a quo

disposizione,

del termine annuale, previsto da

decorre

dalla

(iscrizione

della)

cancellazione della società dal registro delle imprese, non
dalla relativa domanda;
– che sussiste lo stato di insolvenza, sebbene la società,
posta in liquidazione il 6 ottobre 2009, il successivo 22
dicembre abbia costituito un cd.

trust

liquidatorio, cui ha

conferito l’intera azienda, comprensiva dei debiti e dei
crediti, denominato Assioma e del quale è

trustee la dott.ssa

Sosto, già liquidatrice della società, provvedendo quindi alla
cancellazione della stessa dal registro delle imprese il 19
novembre 2010. Ha ritenuto, invero, la Corte che la Convenzione
dell’Aja del l ° luglio 1985, ratificata con legge 16 ottobre
1989, n. 364, esclude si possa impedire l’applicazione della
lex fori

in tema di protezione dei creditori in caso

d’insolvenza e che tale strumento sia stato utilizzato in
funzione illecita: ciò in quanto l’entità del debito nei
r.g.19363/12

3

Il cons.Jet est.

dal registro delle imprese il 19 novembre 2010. La corte ha

confronti di Equitalia Sud s.p.a. e gli infruttuosi tentativi
di pignoramento, il ridotto attivo residuo, la costituzione del
trust da parte del legale rappresentante della società che ha
pure il ruolo di trustee ed il mancato compimento di qualsiasi
concreta attività di liquidazione (non essendo indicato nel cd.

nei confronti dei creditori sociali) rendono apprezzabile il
pericolo che il trust sia stato di fatto utilizzato per eludere
la disciplina concorsuale, tenuto conto anche della successiva
cancellazione della società dal registro delle imprese; mentre
i beni e crediti conferiti nel trust non consentono comunque il
pagamento dei debiti scaduti.
Ha proposto ricorso avverso questa sentenza Federica
Sosto, nella qualità di ultima liquidatrice della Assioma
s.r.1., articolando otto motivi.
Resistono la curatela ed Equitalia Sud s.p.a. con
controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
l. – I motivi. La società fallita deduce:
/) la violazione degli art. 10 e 15 1. fall., 2495 c.c. e
75 c.p.c., per avere la corte d’appello ritenuto legittimato a
partecipare al procedimento per la dichiarazione di fallimento,
per conto della società, l’ultimo liquidatore, sebbene la
società sia ormai cancellata dal registro delle imprese e
dunque estinta, onde l’istanza per la dichiarazione di
fallimento avrebbe dovuto essere notificata a tutti i soci;

r.g.19363/12

4

Il cons.;. est.

libro degli eventi quali di tali attività siano state avviate

2) la violazione degli art. 156, 257 e 160 c.p.c., per
avere la corte d’appello reputato valida la notificazione
dell’istanza al liquidatore, privo ormai di ogni collegamento
con

la

società

estinta,

trattandosi

di

notificazione

inesistente;
l’omessa o insufficiente motivazione circa la

decorrenza del termine annuale di cui all’art. 10 1. fall.,
dalla corte territoriale individuata nel momento dell’avvenuta
iscrizione della cancellazione nel registro delle imprese, in
luogo che dalla domanda, risalente al giorno 11 novembre 2010,
senza considerare che, invece, l’effetto della cancellazione
deve retroagire a tale data;
4) la violazione degli art. 10 1. fall. e 2495 c.c., per
avere la corte d’appello ancorato la decorrenza del termine in
questione all’effettiva iscrizione nel registro delle imprese
della cancellazione della società,

contro il principio

generale, espresso in tema di notificazioni, secondo cui i
tempi tecnici degli uffici pubblici non possono gravare sulla
parte che presenta l’istanza; e tenuto conto del fatto che il
termine annuale per l’imprenditore persona fisica decorre dal
suo venir meno, non dalla data di registrazione dell’evento,
mentre anche l’ipoteca ha effetto costitutivo sin dalla
domanda;
5) la contraddittoria motivazione in ordine all’esistenza
dello stato di decozione, nonostante la costituzione del

trust

proprio al fine di liquidare l’ingente patrimonio aziendale,
senza tenere conto del fatto che, pur reputando inopponibile od
r.g.19363/12

5

Il cons. el est.

3)

invalido il
società

trust,
del

la conseguenza sarebbe l’attribuzione alla
patrimonio

conferito

l’inesistenza

e

dell’insolvenza;
6) la violazione degli art. 101 e 102 c.p.c., per non
essere stato convocato nel procedimento anche il

trust,

dal

momento che la corte del merito si è pronunciata circa la
validità del medesimo, sia pure incidentalmente;
7) la violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la corte
d’appello affermato l’invalidità del

trust,

sebbene non

domandata dalla creditrice istante Equitalia Sud s.p.a.;
8)

l’omessa o insufficiente motivazione sui fatti

comprovanti la liceità del

trust,

sebbene documentati dalla

società, quali la segregazione dei beni conferiti rispetto al
patrimonio personale del

trustee,

la disponibilità dei beni a

favore dei creditori, che di esso sono i beneficiari, la
condizione risolutiva apposta al

trust

per l’ipotesi di

fallimento della società preponente, il compimento di una serie
di attività in favore della liquidazione e la messa a
disposizione del curatore di tutto quanto in possesso del
trust.
2. –

Società cancellata e fallimento.

Il primo ed il

secondo motivo, da trattare congiuntamente, in quanto fra di
loro connessi, sono infondati.
Come ormai chiarito dalle Sezioni Unite nel 2013 (Sez.
un., 12 marzo 2013, nn. 6070, 6071 e 6072), il legislatore ha
operato una fictio limitata alla procedura fallimentare.

r.g.19363/12

6

Il con r41. est.

t

Hanno precisato le Sezioni unite che alla situazione
processuale della società cancellata dal registro delle imprese
in seguito a liquidazione la legge pone un’eccezione con l’art.
10 1. fall.: ove il fallimento venga dichiarato entro un anno
dalla cancellazione, la società (in persona del legale

dichiarativa e delle successive vicende impugnatorie: è una
fictio iuris che postula la società esistente, ma ai soli fini
del fallimento, nel quale dunque il contradditorio si instaura
con l’ultimo rappresentante legale, ossia l’amministratore o il
liquidatore. Il principio, che in precedenza era stato già
affermato (Cass. 5 novembre 2010, n. 22547) ed in seguito è
stato ribadito in fattispecie del tutto simili alla presente
(Cass., sez. I, 30 maggio 2013, n. 13659; 11 luglio 2013, n.
17208; 26 luglio 2013, n. 18138; 13 settembre 2013, n. 21026;
6 novembre 2013, n. 24968), implica una fictio di esistenza del
soggetto collettivo, ai soli fini dell’istruttoria
prefallimentare e delle successive impugnazioni.
Né è fondata la tesi della ricorrente, secondo cui l’art.
10 1. fall. postulerebbe la notificazione ai soci, e non alla
società, in parallelismo all’ipotesi dell’imprenditore
individuale, dal momento che in quest’ultimo caso i successori
universali sono gli unici soggetti con in quali è ipotizzabile
l’instaurazione del contraddittorio, ma la loro posizione non è
assimilabile

in toto a quella del fallito, tanto che non ne

occorre l’audizione se non abbiano compiuto atti di
prosecuzione
r.g.19363/12

laddove,

dell’impresa;

7

per

le

società,

Il cons r est.

rappresentante) continua ad essere destinataria della sentenza

l’instaurazione del contraddittorio con gli organi sociali è
funzionale, al tempo stesso, alle esigenze dell’istruttoria
prefallimentare e alla difesa dell’impresa (in termini, la
citata Cass., sez. I, 26 luglio 2013, n. 18138).
3. –

Il dies a quo ex art. 10 1. fall.

Il terzo ed il

quanto entrambi vertenti sul

dies a quo

della decorrenza

termine annuale di cui all’art. 10 1. fall., e sono infondati.
Il testo originario dell’art. 10 1. fall. prevedeva che
l’imprenditore, che pure avesse

«cessato l’esercizio

dell’impresa», potesse essere dichiarato fallito entro un anno
(sempre che l’insolvenza si fosse manifestata anteriormente o
nell’anno successivo), con espressione tuttavia non univoca,
potendo riferirsi sia alla cancellazione della società e sia
alla mera disgregazione dell’azienda come iniziativa
imprenditoriale.
L’orientamento dominante in giurisprudenza reputava non
cessata l’impresa collettiva sino a quando esistessero rapporti
pendenti, con conseguente ammissibilità della liquidazione
concorsuale; la sentenza della Corte costituzionale del 21
luglio 2000, n. 319 dichiarò la norma incostituzionale, nella
parte in cui non prevedeva che il termine annuale per la
dichiarazione di fallimento dell’impresa collettiva decorresse,
per le società, dalla cancellazione dal registro delle imprese.
Il nuovo testo dell’art. 10 1. fall., risultante dall’art.
9 d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, con l’espressione
«cancellazione» ha recepito il portato del giudice delle leggi
r.g.19363/12

8

11 co

I. est.

quarto motivo possono essere esaminati congiuntamente, in

divenendo l’iscrizione della cancellazione il

dies a quo del

termine annuale per la fallibilità delle società cancellate.
Nessun elemento autorizza ad interpretare la disposizione
con riferimento alla diversa data di presentazione della
domanda di iscrizione. Il registro delle imprese, per la sua

effetti, impone l’iscrizione dell’evento; e la legge prevede il
prodursi degli effetti proprio dal momento in cui l’iscrizione
è avvenuta (cfr. già gli art. 2193 e 2448 c.c.), a tutela dei
terzi; mentre l’esigenza di seguire un procedimento
amministrativo per giungere all’iscrizione stessa resta
irrilevante i fini predetti, che possono dirsi raggiunti
soltanto con il suo perfezionamento.
Del resto, laddove l’ordinamento ha voluto ammettere
effetti retroattivi dell’iscrizione rispetto a tale momento, lo
ha espressamente previsto (art. 2504-bis c.c., che pone il
criterio generale

ex lege di decorrenza degli effetti dalla

data dell’ultima iscrizione dell’atto di fusione, derogabile,
nel rispetto di determinati presupposti, con pattuizione di una
data antecedente o posteriore e solo riguardo a specifici
profili; art. 2504-decies c.c.).
Né, come assume invece la ricorrente, può operarsi alcuna
analogia, attese le rationes affatto distinte, con gli effetti
della notificazione di un atto del processo, ove vige il
principio della scissione del momento perfezionativo della
notificazione per il richiedente e per il destinatario, o con
l’ipotesi dell’imprenditore persona fisica, ove non è certo
r.g.19363/12

9

Il cons.

est.

funzione pubblicitaria, dichiarativa o costitutiva degli

l’evento formale della iscrizione – a differenza che per le
società di capitali – a produrre l’effetto estintivo.
In modo speculare, questa Corte ha già statuito che la
fallibilità dell’imprenditore purché la dichiarazione pervenga
entro il termine di un anno dalla cancellazione dal registro

tempestivamente presentato istanza di fallimento il rischio
della durata del relativo procedimento, non è in contrasto con
gli art. 3 e 24 cost.: ed ha osservato in particolare come, con
riferimento al diritto di difesa, la previsione di un termine
annuale rappresenta il punto di mediazione nella tutela di
interessi contrapposti, quali, da un lato, quelli dei
creditori, e, dall’altro, quello generale alla certezza dei
rapporti giuridici (Cass., sez. I, 12 aprile 2013, n. 8932).
La stessa esigenza di certezza si pone con riguardo alla
questione all’esame, in ordine alla quale deve, in conclusione,
affermarsi il principio che, ai sensi dell’art. 10 1. fall., ai
fini della decorrenza del termine annuale entro il quale può
essere dichiarato il fallimento di un’impresa svolta in forma
societaria, occorre fare riferimento alla data della sua
effettiva cancellazione dal registro delle imprese, a nulla
rilevando nei confronti dei terzi il diverso momento in cui la
relativa domanda sia stata presentata presso il registro delle
imprese.
4. – Il trust.

I rimanenti motivi, dal quinto all’ottavo,

vertono sull’avvenuta istituzione del cd.

trust liquidatorio e

sulla rilevanza del medesimo, al fine di reputare integro il
r.g.19363/12

10

delle imprese, pur ponendo a carico del creditore che ha

contraddittorio nel procedimento per la dichiarazione di
fallimento e raggiunti gli effetti che con questo istituto la
società ha voluto perseguire.
5. – Insussistenza della soggettività del trust. In ordine
al sesto motivo, da trattare con priorità per ragioni d’ordine

c.p.c. sussiste, per non essere stato convocato nel
procedimento il trust, dal momento che, a tacer d’altro, questo
non costituisce un soggetto a sé stante, ma un insieme di beni
e rapporti con effetto di segregazione patrimoniale.
Secondo l’art. 2 della Convenzione dell’Aja del l ° luglio
1985, relativa alla legge applicabile ai

trust

ed al loro

riconoscimento, resa esecutiva in Italia con 1. 16 ottobre 1989
n. 364, per trust s’intendono «I rapporti giuridici istituiti
da una persona, il disponente – con atto tra vivi o

mortis

causa – qualora del beni siano stati posti sotto 11 controllo
di un trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine
determinato»,

caratterizzato dal fatto che «I

beni in

trust

costituiscono una massa distinta e non sono parte del
patrimonio del trustee» venendo essi «intestati al trustee o ad
un altro soggetto per conto del trustee», che ha il potere e
l’obbligo, «di cui deve rendere conto, di amministrare, gestire
o disporre del beni in conformità alle disposizioni del trust e
secondo le norme imposte dalla legge al trustee».
Come questa Corte ha già ritenuto (Cass., sez. II, 22
dicembre 2011, n. 28363, in tema di sanzioni amministrative
relative alla circolazione stradale), il
r.g.19363/12

11

trust
Il co

non è un
est.

logico-giuridico, nessuna violazione degli art. 101 e 102

soggetto giuridico dotato di una propria personalità ed il
trustee è

l’unico soggetto di riferimento nei rapporti con i

terzi, non quale “legale rappresentante” di un soggetto (che
non esiste), ma come soggetto che dispone del diritto.
L’effetto proprio del

trust

validamente costituito è

unicamente di istituire un patrimonio destinato al fine
prestabilito.
6. – Rilevabilità d’ufficio dell’illiceità. È infondato il
settimo motivo del ricorso, perché la rilevabilità d’ufficio
dell’inefficacia o nullità dell’atto istitutivo del

trust,

su

cui la società fallita pretende fondare l’insussistenza dei
requisiti del fallimento, escluderebbe già la violazione
dell’art. 112 c.p.c. da parte della sentenza impugnata (e si
ricorda qui l’ampiezza della rilevabilità d’ufficio di tale
vizio, secondo Cass., sez. un., 4 settembre 2012, n. 14828);
mentre, più precisamente, di non riconoscibilità si tratta

(v.

infra).
7. – Trust liquidatorio e insolvenza.
motivo possono

essere

trattati

Il quinto e l’ottavo

congiuntamente,

ponendo

entrambi, sotto il profilo del vizio di motivazione di cui
all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., la questione della
liceità ed efficacia del

trust

in esame e degli eventuali

effetti della sua illiceità, ravvisata dalla corte d’appello,
con riguardo al requisito dell’insolvenza della società al fine
di fondare la dichiarazione di fallimento.

r.g.19363/12

12

11 con

. est.

dunque quello non di dar vita ad un nuovo soggetto, ma

7.1. – La Convenzione dell’Aja del l ° luglio 1985, resa
esecutiva in Italia con la citata legge n. 364 del 1989, quale
convenzione di diritto internazionale privato, regola la
possibilità del riconoscimento degli effetti in Italia ad un
particolare strumento di autonomia negoziale proprio dei
common law,

comporta che il

trust

il

trust.

L’eventuale riconoscimento

sia regolato dalla legge scelta dalle

parti o da quella individuata secondo le regole della stessa
convenzione (art. 6-10); l’atto di trasferimento dei beni in
trust resta, invece, regolato dalla lex fori (art. 4).
Peraltro, in ragione della estraneità dello strumento agli
istituti giuridici di molti ordinamenti, la Convenzione
dell’Aja contiene plurimi limiti di efficacia per il

trust

negli art. 13, 15, l° comma, lett. e), 16 e 18.
La prima norma, nell’ambito di quelle deputate proprio a
regolare le condizioni del riconoscimento, prevede:
Stato è tenuto a riconoscere un

trust i

«Nessuno

cui elementi

significativi, ad eccezione della sceltadella legge
applicabile, del luogo di amministrazione o della residenza
abituale

de/ trustee,

siano collegati più strettamente alla

legge di Stati che non riconoscono l’istituto
categoria de/ trust in questione».

de/ trust o la

Essa è dunque rivolta agli

Stati e costituisce una norma di preventiva chiusura.
Le altre, collocate fra le disposizioni generali, a loro
volta prevedono alcune condizioni, e su di esse si tornerà
oltre.

r.g.19363/12

13

11 co

est.

sistemi di

7.2. – Ciò che caratterizza in generale il

trust,

secondo

la definizione dell’art. 2 della Convenzione, è lo scopo di
costituire una separazione patrimoniale in vista del
soddisfacimento di un interesse del beneficiario o del
perseguimento di un fine dato. I beni vengono separati dal

in modo separato dal patrimonio di quest’ultimo.
Quello enunciato costituisce, tuttavia, lo schema generale
(se si vuole, la causa astratta) di segregazione patrimoniale
propria dello strumento in esame, che si inserisce nell’ambito
della più vasta categoria dei negozi fiduciari, e nel quale
quindi un soggetto viene incaricato di svolgere una data
attività per conto e nell’interesse di un altro, secondo un
prestabilito programma ed in misura più continuativa e
complessa rispetto al mandato; di conseguenza, ne sono sovente
oggetto non solo singoli beni, ma anche un complesso di
situazioni soggettive unitariamente considerato, come
l’azienda, che viene intestata ad altri.
Tuttavia, il “programma di segregazione” corrisponde solo
allo schema astrattamente previsto dalla Convenzione, laddove
il programma concreto non può che risultare sulla base del
singolo regolamento d’interessi attuato, la causa concreta del
negozio, secondo la nozione da tempo recepita da questa Corte
(tanto da esimere da citazioni). Quale strumento negoziale
“astratto”, il

trust

può essere piegato invero al

raggiungimento dei più vari scopi pratici; occorre perciò
esaminare, al fine di valutarne la liceità, le circostanze del
r.g.19363/12

14

11 co

. est.

restante patrimonio ed intestati ad altro soggetto, parimenti

caso di

da cui desumere

specie,

la causa concreta

dell’operazione: particolarmente rilevante in uno strumento
estraneo alla nostra tradizione di diritto civile e che si
affianca, in modo particolarmente efficace, ad altri esempi di
intestazione fiduciaria volti all’elusione di norme imperative.

taluni profili dell’istituto: così Cass., sez. I, 13 giugno
2008, n. 16022, sul

trust

familiare, qualificato

munus

di

diritto privato, che si sostanzia non nel compimento di un
singolo atto giuridico, bensì in un’attività multiforme e
continua, peraltro arrestandosi la sentenza su profili di
inammissibilità e riguardando un

trust

internazionale e non

interno; Cass., sez. II, 8 ottobre 2008, n. 24813, che,
nell’escludere ricorresse un patto successorio vietato ex art.
458 e 589 c.c. in ordine alle disposizioni testamentarie poste
in essere da due soggetti e dirette a costituire un’unica
fondazione nominandola erede universale, ha riflettuto sulla
tendenza alla progressiva erosione della portata del divieto
dei patti successori, evidenziata, salvi i diritti dei
legittimari, dal recepimento nella normativa nazionale
dell’istituto di

common law

del

trust;

la già menzionata

sentenza Cass., sez. Il, 22 dicembre 2011, n. 28363, che ne ha
negato la soggettività; Cass., sez. VI-5, ord. 19 novembre
2012, n. 20254, la quale ha ritenuto necessario accertare se,
in caso d’intestazione di beni immobili al

trust, esso risponda

anche a ragioni economico-sociali, o se invece non abbia
l’esclusiva funzione di consentire un risparmio fiscale; sotto
r.g.19363/12

15

11 con r

est.

7.3. – Questa Corte ha avuto occasione di pronunciarsi su

il profilo penale, Cass. pen., sez. V, 24 gennaio 2011, n.
13276 si è occupata della confisca dei beni in trust,

qualora

esso risulti una mera apparenza (il cd. sham trust).
Non si è ancora pronunciata, invece, questa Corte sul
trust liquidatorio.
presso i giudici di merito,

l’orientamento secondo cui il cd.

trust

liquidatorio

_

segregazione patrimoniale di tutto il patrimonio aziendale
istituita per provvedere, in forme privatistiche, alla
liquidazione dell’azienda sociale – è nullo, ai sensi dell’art.
1418 c.c., allorché abbia l’effetto di sottrarre agli organi
della procedura fallimentare la liquidazione dei beni in
contrasto con le norme imperative concorsuali, secondo le
espresse regole di esclusione previste dagli art. 13 e 15,
lett. e), della convenzione dell’Aja del l° luglio 1985.
A questa tesi aderisce anche la sentenza impugnata.
Reputa la Corte che l’orientamento vada condiviso, con le
precisazioni che seguono.
7.4.

intervenga con finalità di

trust

– Ove il

liquidazione del patrimonio sociale segregato, in astratto tre
le situazioni che possono configurarsi:
concluso per sostituire

a)

il

trust

viene

in toto la procedura liquidatoria, al

fine di realizzare con altri mezzi il risultato equivalente di
recuperare l’attivo, pagare il passivo, ripartire il residuo e
cancellare la società;

b) il trust è concluso quale alternativa

alle misure concordate di risoluzione della crisi d’impresa
(cd.

trust endo-concorsuale);

r.g.19363/12

c)

16

il

trust viene a sostituirsi

11 con

est.

È peraltro diffuso,

alla procedura fallimentare ed impedisce lo spossessamento
dell’imprenditore insolvente (cd.

trust anti-concorsuale).

Nel primo caso, potrebbe dirsi lo strumento vietato,
qualora si esiga che esso, per essere riconosciuto nel nostro
ordinamento, assicuri un

quid pluris rispetto a quelli già a

sembra però che l’ordinamento imponga questo limite, alla luce
del sistema rinnovato dalle riforme attuate negli ultimi anni,
che ammettono la gestione concordata delle stesse crisi
d’impresa.
Nelle altre due fattispecie, poi, la causa concreta va
sottoposta ad un vaglio particolarmente attento e, in caso di
esito negativo, il

trust sarà non riconoscibile, non potendo

l’ordinamento fornire tutela ad un regolamento di interessi
che, pur veicolato da negozio in astratto riconoscibile in
forza di convenzione internazionale, in concreto contrasti con
i fini di cui siano espressione norme imperative interne.
La ricerca di soluzioni alternative, che riescano a
scongiurare il fallimento, è vista con favore dal legislatore
degli ultimi due lustri, svolgendosi peraltro pur sempre tali
iniziative negoziate sotto il controllo del ceto creditorio o
del giudice; e qui potrebbe inquadrarsi il fenomeno

sub b),

nella logica di una valorizzazione negoziale, che non
contraddice comunque la natura officiosa della procedura e la
sua funzione di tutelare l’ordine economico, anche perché la
soluzione concordata non investirebbe tutte le fasi
dell’accertamento dei crediti, dell’acquisizione dell’attivo,
r.g.19363/12

17

Il cons

I. est.

disposizione dell’autonomia privata nel diritto interno. Non

del riparto, ma solo taluni momenti specifici e tenuto,
altresì, conto che le novelle fallimentari hanno ampliato
l’ambito dell’autonomia negoziale (escludendo alcuni pagamenti
dall’area di quelli revocabili, mediante i piani di risanamento
attestati di cui all’art. 67, terzo comma, lett.

d), 1.

fall.,

OblieD12/.k.

terzo comma, lett. e), 1. fall., e

prevedere trattamenti

differenziati fra creditori appartenenti a classi diverse
nell’ambito delle proposte di concordato fallimentare e
preventivo ex art. 124, comma secondo, lett.

b)

e 160, comma

primo, lett. d), 1. fall).
Al contrario, l’alternatività degli strumenti lecitamente
utilizzabili va esclusa, qualora – come nel caso sub c) –

non

due istituti privatistici si comparino, ma strumenti di cui
l’uno, quale il trust, ancorato a regole ed interessi comunque
privati del disponente, e l’altro di natura schiettamente
pubblicistica, qual è la procedura concorsuale, destinata a
sopravvenire nel caso di insolvenza a tutela della par condicio
creditorum e che non è surrogabile da strumenti che (ove pure
siano trasferiti al

trustee

anche i rapporti passivi) né

garantiscono tale parità, né escludono procedure individuali,
né prevedono trattative vigilate con i creditori al fine della
soluzione concordata della crisi, né contemplano alcun potere
di amministrazione o controllo da parte del ceto creditorio o
di un organo pubblico neutrale.
Del pari, altro è rispetto alle soluzioni negoziali delle
crisi d’impresa il realizzare un’operazione
r.g.19363/12

18

come il
Il cons. e est.

il concordato e gli accordi di ristrutturazione ex art. 67,

trasferimento in

trust

dell’azienda sociale – elusiva del

procedimento concorsuale e degli interessi più generali alla
cui soddisfazione esso è preposto: operazione che, sotto le
vesti di attribuire ai creditori la posizione di beneficiari,
non permetta loro la condivisione del governo del patrimonio

ragione dell’insindacabile amministrazione del fondo in

trust.

Ove, pertanto, la causa concreta del regolamento in trust
sia quella di segregare tutti i beni dell’impresa, a scapito di
forme pubblicistiche quale il fallimento, che detta dettagliate
procedure e requisiti a tutela dei creditori del disponente,
l’ordinamento non può accordarvi tutela. Il

trust,

sottraendo

il patrimonio o l’azienda al suo titolare ed impedendo una
liquidazione vigilata in quanto rimette per intero la
liquidazione dell’attivo alla discrezionalità del

trustee

determina l’effetto, non accettabile per il nostro ordinamento,
di sottrarre il patrimonio del debitore ai procedimenti
pubblicistici di gestione delle crisi d’impresa ed all’attivo
fallimentare della società settlor il patrimonio stesso.
7.5. – Ciò posto, occorre determinare le conseguenze di
tale contrasto con i richiamati principi e discipline
dell’ordinamento.
Come sopra accennato, secondo la Convenzione dell’Aja il
trust è regolato dalla legge scelta dal disponente (art. 6) o,
ma solo in mancanza di scelta, dalla legge con la quale ha
collegamenti più stretti in dipendenza del luogo di
amministrazione del
r.g.19363/12

trust,

dell’ubicazione dei beni, della

19

Il con

1. est.

insolvente, in una situazione per essi priva di utilità in

residenza o domicilio del trustee e del luogo in cui lo scopo
va realizzato (art. 7), disciplinando la legge così determinata
la validità, l’interpretazione, gli effetti e l’amministrazione
del trust (art. 8).
Ove pertanto, come si desume nella specie dal ricorso, il

validità del medesimo, se lo si vuole riguardare quale atto
istitutivo, andrebbe vagliata alla stregua di quella disciplina
(nata per permettere con una certa ampiezza il ricorso allo
strumento fiduciario).
Ma al vaglio di validità secondo il diritto straniero
prescelto è preliminare la formulazione di un giudizio di
riconoscibilità del trust nel nostro ordinamento, nel raffronto
con le norme inderogabili e di ordine pubblico in materia di
procedure concorsuali. E poiché il

trust –

secondo gli

accertamenti di merito della sentenza impugnata, che ha
ravvisato come esso fu costituito in una situazione di
insolvenza – si palesa oggettivamente incompatibile con queste,
lo strumento, ponendosi in deroga alle medesime, sarà “non
riconoscibile” ai sensi dell’art. 15 della Convenzione.
Tale norma, invero, espressamente prevede che la
Convenzione non possa costituire

«ostacolo all’applicazione

delle disposizioni della legge designata dalle norme del foro
sul conflitto di leggi» in tema di «protezione del creditori in
caso di insolvenza»

(ed applicandosi a società italiana

disponente le disposizioni della legge fallimentare interna), e
«qualora le disposizioni del

l’ultimo comma aggiunge che
r.g.19363/12

20

trust sia regolato dalla legge di Jersey (Channel Islands), la

precedente paragrafo siano di ostacolo al riconoscimento del
trust,

il giudice cercherà di attuare gli scopi del

altro modo»,

trust in

così dunque palesando che proprio al giudice

compete, e proprio per i motivi elencati nel primo comma,
denegare il disconoscimento (e che dar corso alla procedura

l’ordinamento di realizzare il fine liquidatorio).
Non sembra invece potersi fare riferimento all’art. 13,
che si rivolge allo Stato; né all’art. 16, il quale richiama le
norme di «applicazione necessaria», ossia di norme della lex
fori

operanti come limite all’applicazione del diritto

straniero eventualmente richiamato da una norma di conflitto, e
che dunque presuppongono il

trust

già riconosciuto

nell’ordinamento, sebbene in parte regolato comunque da tali
norme

(«onde, in presenza di simili fattispecie, il giudice

deve porre in disparte la regola di conflitto competente e fare
spazio alla norma di applicazione necessaria nei limiti che
essa stabilisce»:

Cass., sez. I, 28 dicembre 2006, n. 27592;

Cass., sez. un., ord. 20 febbraio 2007, n. 3841); lo stesso
quanto all’art. 18, che riguarda specifiche disposizioni della
stessa Convenzione.
La conseguenza è che il giudice che pronuncia la sentenza
dichiarativa del fallimento provvede
disconoscimento del

trust

incidenter tantum

al

liquidatorio, il quale finisce per

eludere artificiosamente le disposizioni concorsuali sottraendo
al curatore la disponibilità dell’attivo societario; una volta
accertata la non riconoscibilità, lo strumento non produce
r.g.19363/12

21

Il con

k,est.

fallimentare costituisce appunto un modo compatibile con

alcun effetto giuridico nel nostro ordinamento, in particolare
non quello di creare un patrimonio separato, restando tamquam
non esset;

in tal caso, posto che la Convenzione ex art. 15

cit. non può costituire

«ostacolo»

all’applicazione della

disciplina dell’insolvenza, è quest’ultima a porsi,

La sanzione della nullità

trust.

(ex art. 1343, 1344, 1345, 1418

c.c.) presuppone che l’atto sia stato riconosciuto dal nostro
ordinamento; il conflitto con la disciplina inderogabile
concorsuale determina invece la stessa inesistenza giuridica
del trust nel diritto interno.
Il trust deve essere disconosciuto dal giudice del merito,
ogni volta che sia dichiarato il fallimento per essere
accertata l’insolvenza del soggetto, ove l’insolvenza
preesistesse all’atto istitutivo. Dalla dichiarazione di
fallimento deriva, quindi, l’integrale non riconoscimento del
trust,

ai sensi dell’art. 15, primo comma, lett. e) della

Convenzione, ponendosi esso oggettivamente in contrasto con il
principio di tutela del ceto creditorio e per il fatto stesso
che non consente il normale svolgimento della procedura a causa
dell’effetto segregativo, il quale impedirebbe al curatore di
amministrare e liquidare l’azienda ed, in generale, i beni
conferiti in trust.
La non riconoscibilità permane, sebbene il

trust indichi

fra i suoi scopi proprio quello di tutelare i creditori
dell’impresa ricorrendo alla segregazione patrimoniale ed alla
liquidazione, per la denegata equivalenza delle due procedure.
r.g.19363/12

22

11 c

all’inverso, come ostacolo al riconoscimento del

Invero, l’insolvenza, come non è nelle fattispecie generali
esclusa dalla mera capienza del patrimonio del debitore, così
non è nella specie scongiurata dalla destinazione di quel
patrimonio al soddisfacimento dei creditori. Ed infatti, ciò
che può evitare la situazione d’insolvenza non è in sé
trust,

ma, semmai, l’attuazione del

programma, con l’avvenuto pagamento dei creditori e la
soddisfazione delle obbligazioni originariamente in capo al
debitore.
Nelle ipotesi in cui, come nel caso in esame, l’atto
istitutivo contenga la clausola (riportata dalle parti) di
risoluzione allorché sopravvenga una vicenda concorsuale nei
confronti della disponente (cd. clausola di salvaguardia), essa
resta 11:1~ inoperante, come tutto il negozio, privo in
via assoluta di effetti in quanto non riconosciuto ab origine.
Ove, inoltre, la società sia stata cancellata dal registro
delle imprese dopo l’istituzione del

trust, essa è estinta ma,

per quanto sopra esposto, ai sensi dell’art. 10 1. fall. opera
la fictio iuris dell’esistenza dell’ente: rispetto a questa va,
pertanto, valutato il requisito dell’insolvenza.
In conclusione, il

trust liquidatorio in presenza di uno

stato preesistente di insolvenza non è riconoscibile
nell’ordinamento italiano, onde il negozio non ha l’effetto di
segregazione desiderato; l’inefficacia non è esclusa né dal
fine dichiarato di provvedere alla liquidazione armonica della
società nell’esclusivo interesse del ceto creditorio (od
equivalenti), né dalla clausola che, in caso di procedura
r.g.19363/12

23

Il con A1. est.

I

l’istituzione del

concorsuale sopravvenuta, preveda la consegna dei beni al
curatore.
7.6. – Se l’atto istitutivo del trust è tamguam non esset,
occorre poi considerare quale sorte abbia il trasferimento dei
beni o dell’azienda operato in favore del trustee.

alle questioni preliminari relative alla validità degli «atti
giuridici in virtù del quali dei beni sono trasferiti al
trustee». Alla stregua, dunque, della legge interna, dal
momento che il negozio istitutivo del

trust

si pone come

antecedente causale (almeno dal punto di vista logicogiuridico, anche qualora contestuale) dell’attribuzione
patrimoniale operata con l’atto di trasferimento dei beni, ove
non riconoscibile il primo diviene privo di causa il secondo
(nullo

ex art. 1418, secondo coma, prima parte, c.c. perché

operato in esecuzione di negozio non riconoscibile).
In tal modo, il curatore, per effetto dello spossessamento
fallimentare che priva il fallito della disponibilità di suoi
beni, tra i quali sono da ricomprendere tutti i diritti
patrimoniali inefficacemente trasferiti, può materialmente
procedere all’apprensione di essi.
7.7. – La corte d’appello ha accertato, in punto di fatto,
che il

trust è

stato costituito dalla società insolvente,

affidando il ruolo di trustee allo stesso liquidatore sociale e
che è mancato il compimento di qualsiasi concreta attività di
liquidazione, non essendo indicate nel cd. libro degli eventi

r.g.19363/12

24

Il cons.

Secondo l’art. 4 della Convenzione, questa non si applica

quali di tali attività siano state avviate in favore dei
creditori sociali.
Sulla base di tali elementi e degli altri rilevati
l’entità del debito nei confronti di Equitalia Sud s.p.a., gli
infruttuosi tentativi di pignoramento, il ridotto attivo

insolvenza,

l’immediata cancellazione della società dal

registro delle imprese – la corte d’appello ha ravvisato il
concreto pericolo che il

trust

sia stato utilizzato al solo

fine di eludere la disciplina imperativa concorsuale.
La ricorrente contrappone (sotto il profilo del vizio
motivazionale) la considerazione secondo cui, al contrario, una
serie di indizl, che assume provati innanzi ai giudici di
merito, rendevano palese la piena liceità del

trust, ovvero: la

segregazione dei beni conferiti rispetto al patrimonio
personale del

trustee e la costituzione del

trust proprio a

beneficio dei creditori; la condizione risolutiva apposta al
trust per il caso di declaratoria di fallimento della società
preponente; il compimento di varie attività liquidatorie;
l’avere il trust posto a disposizione del curatore tutto quanto
in suo possesso. Ne deriva, nell’assunto, che non sussiste lo
stato di decozione, anche tenuto conto della circostanza che,
ove sia invalido e privo di effetti il

trust,

la conseguenza

sarebbe l’attribuzione alla società del patrimonio conferito.
Le censure in esame sono in parte inammissibili, laddove,
sotto la veste del vizio motivazionale, mirano a riproporre un
giudizio sul fatto: come è reso evidente dalla stessa
r.g.19363/12

25

11 cons.

indicato dalla società per contestare il suo stato di

riproduzione, nel corpo del ricorso, di alcuni documenti, da
cui dovrebbe trarsi la prova della liceità del

trust.

L’inammissibilità del sindacato di merito sulla decisione
impugnata impedisce, tuttavia, alla Corte la conoscenza diretta
dei documenti depositati dalle parti nei precedenti gradi,

all’interno del ricorso stesso; mentre il giudice del merito ha
asserito essere rimaste indimostrate le predette circostanze.
Per il resto, alla stregua dei principi esposti, la
sentenza impugnata non si presta a nessuna delle censure
formulate; quanto alla coincidenza della persona del

trustee

con quella del liquidatore, se da un punto di vista formale non
qualifica il

trust

come “autodichiarato” in ragione della

alterità soggettiva, la circostanza è stata però correttamente
assunta dalla corte del merito come indizio significativo della
illiceità dell’atto, mancando nella sostanza un vero
affidamento intersoggettivo dei beni.
8. In conclusione, il ricorso va respinto sotto ogni
profilo. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come
nel dispositivo, ai sensi del d.m. 12 luglio 2012, n. 140.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente
al pagamento delle spese di lite del giudizio di legittimità,
che liquida, in favore di ciascun controricorrente, in E
6.200,00, di cui C 200,00 per esborsi, oltre agli accessori
come per legge.

r.g.19363/12

26

Hco

est.

anche qualora essi vengano riprodotti mediante fotocopia

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 7

febbraio 2014.

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