Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10104 del 16/04/2021

Cassazione civile sez. trib., 16/04/2021, (ud. 26/01/2021, dep. 16/04/2021), n.10104

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. ARMONE Giovanni Maria – rel. Consigliere –

Dott. D’AURIA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5560-2016 proposto da:

EURALCOOL MB SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CALABRIA 56,

presso lo studio dell’avvocato VINCENZO MARIA CESARO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato BRUNO CANTONE;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 10063/2015 della COMM.TRIB.REG. CAMPANIA,

depositata il 13/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/01/2021 dal Consigliere Dott. GIOVANNI MARIA ARMONE;

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. la Euralcool MB s.p.a. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania 10063/15, depositata il 13 novembre 2015, che, in riforma della sentenza di primo grado, ha accolto l’appello dell’Agenzia e rigettato l’originario ricorso della contribuente, proposto avverso un avviso di accertamento in materia di IRES, relativa all’anno 2010;

2. il ricorso è affidato a un unico motivo;

3. l’Agenzia resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. con il primo e unico motivo di ricorso, parte ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 22 e 43, dell’art. 2220 c.c., della L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 8, della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 62, della L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 421, della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, con riferimento alla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, comma 3, nonchè difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia;

2. il motivo è per alcuni versi inammissibile, per altri infondato;

3. anzitutto va osservato che, nell’ambito dell’unico motivo, vengono accorpate e sovrapposte, in termini a tratti oscuri e comunque non consequenziali, questioni tra loro eterogenee;

4. in primo luogo, la ricorrente sostiene che, in caso di disconoscimento del credito d’imposta previsto dalla L. n. 388 del 2000, l’Amministrazione debba procedere alla comunicazione dell’avvio del procedimento di revoca secondo quanto stabilito dalla L. n. 178 del 2002 e dalla L. n. 289 del 2002, in ossequio al principio generale positivizzato nella L. n. 212 del 2000, art. 6, che prevede la partecipazione del contribuente alla formazione dell’atto amministrativo tributario; la necessità di non seguire tali procedure potrebbe venir meno, secondo la ricorrente, solo ove l’atto di mancato riconoscimento del credito sia adeguatamente motivato;

5. sotto il primo profilo, non è chiaro a quale speciale e obbligatoria procedura di revoca, diversa da quella disciplinata dalla L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 421, e seguita nella specie, si riferisca la contribuente, atteso che, della L. n. 178 del 2002, non viene citato neanche l’articolo, mentre la L. n. 289 del 2002, art. 8, non disciplina il procedimento di revoca del credito d’imposta previsto dalla L. n. 388 del 2000;

6. del resto, la giurisprudenza di questa S.C. ha più volte osservato che la procedura di cui all’art. 1, comma 421, volta a recuperare il credito d’imposta indebitamente compensato o comunque non spettante, è legittima, assolvendo l’atto di recupero motivato anche una funzione informativa (v. Cass. 29/07/2015, n. 16006, Cass. 20/12/2013, n. 28543), ossia proprio la funzione che la L. n. 212 del 2000, art. 6, invocato dalla contribuente, impone all’Amministrazione in termini generali;

7. sotto il secondo profilo, inerente alla motivazione dell’atto impugnato, la sentenza della CTR ha accolto l’appello dell’Agenzia soffermandosi proprio sulle motivazioni dell’atto di recupero (v. in particolare pag. 3 della sentenza);

8. ne consegue che la censura prospettata dalla ricorrente si risolve in un inammissibile invito a sindacare il giudizio di fatto, espresso dal giudice di merito in ordine all’adeguatezza della motivazione dell’atto dell’Amministrazione, riservato al giudice di merito;

9. se a questo si aggiunge che nè nella narrativa nè nel corpo del motivo di ricorso per cassazione sono riportati i brani dell’atto di recupero, che consentirebbero al Collegio di verificare la carenza di motivazione e sussistenza del vizio denunciato, in violazione dunque del principio di autosufficienza, non può che scaturirne l’inammissibilità della prima parte del motivo;

10. passando poi all’esame delle altre violazioni denunciate, in disparte ogni considerazione sulla ammissibilità della relativa censura (in effetti, dalla stessa narrativa del ricorso per cassazione della contribuente si evince che la stessa aveva impugnato l’originario avviso di accertamento sulla base di due motivi, diversi da quelli riguardanti l’omessa conservazione delle scritture contabili, questione che sembra dunque profilarsi proposta per la prima volta nel giudizio di cassazione), va osservato che la lettura data dalla contribuente del combinato disposto del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 22, e dell’art. 2220 c.c., non è corretta;

11. è certamente vero che il citato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 22, comma 2, laddove prevede che “le scritture contabili obbligatorie ai sensi del presente decreto, di altre leggi tributarie o di leggi speciali devono essere conservate sino a quando non siano definiti gli accertamenti relativi ai corrispondente periodo di imposta, anche oltre il termine stabilito dall’art. 2220, o da altre leggi tributarie”, non può essere inteso nel senso che l’obbligo di conservazione, scaduto il periodo decennale, si protrarrebbe sino alla scadenza dei termini anzidetti per una durata che dipende esclusivamente dalla volontà dell’ufficio, rispetto alla quale il contribuente non avrebbe altra difesa che conservare le scritture “sine die” (come condivisibilmente affermato da Cass. 13/05/2016, n. 9834);

12. la norma non può tuttavia essere neppure interpretata nel senso di derogare all’art. 2220, prevedendo cioè un obbligo di conservazione per un tempo più limitato dei dieci anni previsti dal codice civile, coincidente con il termine attribuito all’Amministrazione per l’espletamento dell’accertamento (ai sensi del citato D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43);

13. essa stabilisce piuttosto un’ultrattività dell’obbligo di conservazione, quando e a condizione che, nei dieci anni stabiliti dall’art. 2220 c.c., e dalla L. n. 212 del 2000, art. 8, comma 5, per la materia tributaria, abbia avuto legittimamente inizio l’accertamento (Cass. 13/05/2016, n. 9834);

14. nella specie, per ammissione della stessa contribuente, l’accertamento ha avuto inizio nel 2011, le agevolazioni rispetto alle quali vi era l’obbligo di conservazione della documentazione contabile si riferiscono all’anno 2003 e le dichiarazioni che risultano omesse riguardano gli anni 2005-2009;

15. ne consegue che tutta la documentazione mancante si riferisce ad anni rientranti nel decennio antecedente l’inizio dell’accertamento e che per essa perdurava dunque l’obbligo di conservazione;

16. il ricorso va in definitiva rigettato;

17. le spese seguono la soccombenza e si liquidano nella misura indicata in dispositivo;

18. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono altresì i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidandole in complessivi Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2021

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