Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10102 del 29/04/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 10102 Anno 2013
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: FERNANDES GIULIO

SENTENZA
sul ricorso 7725-2009 proposto da:
CALANDRINI MAURIZIO CLNMRZ62E12C745T, domiciliato in
ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE
SUPREMA

DI

dall’avvocato

CASSAZIONE,
CALDERANO

rappresentato
BIAGIO,

giusta

e

difeso
procura

speciale notarile in atti;
– ricorrente –

2013 .
741

contro

FRATELLI RAGNI S.N.C. DI RAGNI MAURO E PIO, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA RODI 32, presso lo studio

Data pubblicazione: 29/04/2013

dell’avvocato CHIOCCI MARTINO UMBERTO, rappresentata e
difesa dall’avvocato MONACELLI MARIO, giusta delega in
atti;
– controrícorrente –

avverso la sentenza n. 562/2008 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 27/02/2013 dal Consigliere Dott. GIULIO
FERNANDES;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIULIO ROMANO che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

di PERUGIA, depositata il 03/11/2008 R.G.N. 107/2006;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Calandrini Maurizio, con ricorso depositato in data 15.2.2000, conveniva
innanzi al Tribunale di Perugia, in funzione di giudice del lavoro, la Fili
Ragni s.n.c., di cui era stato dipendente in qualità di autotrasportatore,
chiedendone la condanna al pagamento di lire 83.312.675 per differenze
retributive e TFR. Con sentenza n. 121/05 l’adito giudice, in parziale
accoglimento della domanda, condannava la F.11i Ragni al pagamento della
somma di euro 11.000,000 oltre accessori di legge.

La Corte di appello di Perugia, con decisione del 3.11.2008, accogliendo il
gravame proposto dalla menzionata società dichiarava la nullità del ricorso
introduttivo del giudizio e di tutti gli atti conseguenti perché il difensore che
lo aveva proposto e sottoscritto non era a ciò abilitato in quanto solo con
delibera in data 28.4.2000 era stato iscritto all’Albo degli Avvocati.
Precisava la Corte che l’art. 7 della L. 16.12.1999 n. 479 elencava
dettagliatamente e tassativamente le materie in cui i praticanti awocati,
una volta conseguita l’abilitazione al patrocinio, potevano esercitare la
professione innanzi al Tribunale ed evidenziava che tra queste non erano
incluse le controversie in materia di lavoro e previdenza che, a seguito
della riforma cd. del giudice unico, non erano state assegnate al Giudice di
Pace ma erano di esclusiva competenza del Tribunale civile in
composizione monocratica in funzione di giudice del lavoro.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il Calandrini affidato
a tre motivi.
Resiste con controricorso la Fili Ragni s.n.c. che ha anche depositato
memoria ex art. 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e/o falsa applicazione
della norma di cui all’art. 8 RDL 27 novembre 1933 n. 1578 convertito in
legge 22 gennaio 1934 n. 36 in relazione all’art. 7 legge 16 dicembre 1999
n. 479 per aver ritenuto la Corte di merito il difetto di “ius postulandi” in
capo ai praticanti avvocati abilitati nelle cause di lavoro sulla scorta di una
restrittiva ed errata interpretazione dell’art. 7 cit.. In particolare, si assume:
che l’inciso contenuto nel primo comma “dopo il conseguimento
dell’abilitazione al patrocinio” debba ritenersi riferito solo a coloro che,
all’entrata in vigore della legge, non erano abilitati al patrocinio e non anche
ai praticanti avvocati abilitati; che le cause di lavoro erano cosa ben diversa
dagli “affari civili” in riferimento ai quali erano state dettagliatamente
1

indicate le materie in cui era ammesso il patrocinio innanzi al Tribunale da
parte del praticante avvocato abilitato e che in nessuna parte del citato art.
7 le controversie di lavoro erano state espressamente sottratte al
patrocinio dei praticanti avvocati.
Con il secondo motivo di ricorso viene dedotta la nullità della sentenza per
omessa, apparente, contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e
decisivo per il giudizio “…in relazione all’applicazione nel tempo dell’art. 8
RDL n. 1578/1933 sull’ordinamento della professione forense a seguito

della entrata in vigore dell’art. 7 della legge n. 479 del 16 dicembre 1999 —
applicabilità della teoria dei diritti quesiti o dei fatti compiuti secondo
dottrina a giurisprudenza”.
Si assume che la L. n. 479/1999 in quanto emanata nell’ambito delle
norme correttive e di coordinamento previste dal decreto legislativo n.
51/1998 istitutivo del Giudice Unico di primo grado non avrebbe potuto
incidere sulla validità e la efficacia della norma di cui all’art.8 del RDL n.
1578/1933 come modificato dall’art. 246 del D. Igs n. 51/1998 che avrebbe
dovuto trovare applicazione “fino a quando non sarà attuata la complessiva
riforma della professione forense”. E, quindi, il citato articolo 7 non avrebbe
potuto privare i praticanti avvocati già abilitati a patrocinare le cause di
lavoro innanzi alle Preture dello “ius postulandi” nelle medesime cause
innanzi al Tribunale.
Con il terzo motivo si deduce la violazione o falsa applicazione della
norma di cui agli artt. 8 e 70 RDL n. 1578/1933 , omessa, apparente o
contraddittoria motivazione in ordine ad un fatto decisivo per il giudizio per
non aver la Corte di mento considerato la natura costitutiva della iscrizione
nel registro dei praticanti avvocati. Si assume che fino alla cancellazione
dell’albo il praticante avvocato abilitato conserva lo “ius postulandi” , anche
nella cause di lavoro innanzi al Tribunale in virtù del disposto del citato art.
8.
Tutti i tre motivi si concludono con quesito di diritto.
I tre motivi da trattare congiuntamente sono infondati.
Va , in primo luogo, rilevato che la legge 16 dicembre 1999 n. 479 — cd.
legge Carotti – fonte di pari grado del D.Lgs n. 51/1998 , istitutivo del
Giudice Unico di primo grado, ben poteva introdurre modifiche al disposto
dell’art. 8 RDL n. 1578/1933 così come modificato dall’art. 246 D.Lgs n.
51/1998 cit..

2

Inoltre, osserva il Collegio che la Corte di merito, nell’applicare il disposto
dell’art.7 L. n.. 479/1999 cit. non ha violato l’art.11 delle disposizioni sulla
legge in generale – e cioè il principio secondo cui la legge non dispone che
per l’avvenire – in quanto il ricorso introduttivo del giudizio, ritenuto nullo
perché sottoscritto da difensore non abilitato al patrocinio innanzi al
Tribunale, era stato depositato in data 15.2.2000 nella vigenza del citato
art. 7.
Riguardo al rilievo del ricorrente secondo cui l’inciso” I praticanti avvocati,

dopo il conseguimento dell’abilitazione al patrocinio..” contenuto nel detto
art. 7 si rivolgerebbe solo a chi non ha ancora conseguito detta abilitazione,
si osserva che non è fondato essendo in contrasto con il tenore letterale
della norma che ha inteso riferirsi ai praticanti awocati in genere, senza
distinguere tra quelli già abilitati e coloro che detta abilitazione non avevano
ancora conseguito.
Quanto alle cause nelle quali il citato art. 7 co.1° lett. a) ha previsto, per il
praticante avvocato abilitato, la possibilità di esercitare l’attività
professionale con riferimento agli ” affari civili” il Collegio ritiene che tra
quelle indicate al n. 1) “cause, anche se relative a beni immobili, di valore
non superiore a lire cinquanta milioni” – diversamente da quanto affermato
dalla Corte di merito — debbono ricomprendersi anche quelle in materia dì
lavoro e previdenza ed assistenza che, prima della istituzione del giudice
unico di primo grado, rientravano nella competenza pretorile. Ed infatti,
laddove il Legislatore ha inteso far riferimento alla materia della causa lo ha
espressamente detto come ai punti 2) e 3) della lettera a) del citato art. 7
co.1°. Peraltro, la distinzione delle cause di lavoro e in materia di
previdenza ed assistenza obbligatoria nell’ambito degli affari civili potrebbe
derivare dalla diversità del rito ma il criterio del rito è estraneo all’art.7 co.1
lettera a).
Purtuttavia, la decisione della Corte di merito va confermata in quanto il
difensore del Calandrini era carente dello “ius postulandi” in relazione alla
causa introdotta con ricorso depositato il 15.2.2000 il cui valore eccedeva i
cinquanta milioni di lire essendo stata chiesta la condanna della convenuta
F.11i Ragni s.n.c. al pagamento della somma di lire 83.312.675.
L’impugnata sentenza il cui dispositivo risulta , comunque, conforme a
diritto va confermata anche con motivazione corretta in applicazione
dell’art. 384 u.c. c.p.c..
3

Vale precisare , con riferimento al terzo motivo, che nel caso in esame non
viene in rilievo la natura costitutiva della iscrizione nel registro di praticanti
avvocati – che ben può permanere anche senza l’abilitazione al patrocinio (
Cass. n. 17761 del 30 giugno 2008) – in quanto l’art. 7 cit. disciplina
diversamente l’abilitazione al patrocinio dei praticanti awocati.
Infine, il ricorso sollecita questa Corte a sollevare questione di legittimità
costituzionale del citato art 7 per violazione degli artt. 3 e 24 Cost.

norma: a) crea una disparità di trattamento tra cittadini che in tempi diversi
rispetto alla successione della legge intervenuta si rivolgano allo stesso
praticante avvocato abilitato; b) viola il diritto di difesa in danno del cittadino
che, per fatti indipendenti dalla sua volontà, subisce lo spoglio della facoltà
difensiva del proprio difensore.
Trattasi di questione manifestamente infondata in quanto si finisce con il
censurare il criterio cronologico nella individuazione della legge applicabile
tra fonti di pari rango e tra loro non in rapporto di specialità. E, comunque,
la Corte Costituzionale, con specifico riferimento alla dedotta disparità di
trattamento, ha più volte affermato che il criterio di discrimine nella
applicazione di diverse discipline normative basato su dati cronologici non
può dirsi, a meno che non sia affetto da manifesta arbitrarietà intrinseca,
fonte di ingiustificata disparità di trattamento, poiché lo stesso naturale
fluire del tempo è valido elemento diversificatore delle situazioni giuridiche
(fra le ultime si vedano le sentenze n. 273 del 2011 e n. 197 del 2010
nonché le ordinanze n. 31 del 2011 e n. 61 del 2010).
Per quanto esposto il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, cedono
a carico del ricorrente e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, condanna il ricorrente alle spese del presente
giudizio liquidate in euro 50,00 per esborsi ed in euro 3.000,00 per
compensi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 27 febbraio 2013
Il Consigliere est.

Il Presidente

evidenziandone la rilevanza e la manifesta infondatezza in quanto detta

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