Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1010 del 17/01/2011

Cassazione civile sez. II, 17/01/2011, (ud. 07/10/2010, dep. 17/01/2011), n.1010

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

T.L. e T.R., rappresentate e difese per procura

in calce al ricorso, dall’Avvocato Fanci Franco, elettivamente

domiciliate in Roma, via di Pietrapapa n. 37, presso lo studio

dell’Avvocato Rina Tosti;

– ricorrenti –

contro

S.U.M.C., rappresentata e difesa, per procura

in calce al controricorso, dall’Avvocato Geniola Teresa,

elettivamente domiciliata in Roma, via Flaminia n. 56, presso lo

studio dell’Avvocato Mara Fiocca;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di cassazione n. 4677/09, depositata

in data 26 febbraio 2009.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 7

ottobre 2010 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che il Tribunale di Lanciano ha accolto la domanda proposta da S.U.M.C. nei confronti di T.G., volta ad ottenere sentenza costitutiva ex art. 2932 cod. civ. in riferimento ad un terreno oggetto di preliminare che il T. si era impegnato a vendere;

che la Corte d’appello de L’Aquila, con sentenza depositata il 22 dicembre 2003, ha rigettato l’appello proposto da T.L., in proprio e quale tutrice provvisoria dell’originario convenuto;

che la Corte territoriale ha ritenuto non provata la dedotta incapacità naturale di T.G. all’epoca della stipulazione del preliminare, nè la malafede della promissaria acquirente;

che la Corte di cassazione, con sentenza n. 4677 del 2009, ha rigettato il ricorso proposto avverso tale sentenza da T. L. e T.R., quali eredi di T.G., deceduto nel corso del giudizio di appello;

che la Corte di legittimità, dopo aver affermato la tempestività della proposizione del controricorso, ha rigettato il primo motivo di ricorso, rilevando che con esso le ricorrenti proponevano un diverso accertamento di fatto in ordine alla dedotta situazione di incapacità del loro dante causa;

che, con riferimento al secondo motivo di ricorso – con il quale le ricorrenti avevano lamentato violazione e falsa applicazione della L. n. 47 del 1985, art. 18 e del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30, dolendosi che la Corte d’appello non avesse pronunciato la nullità del preliminare per mancanza del certificato di destinazione urbanistica -, la Corte di cassazione ha rilevato che nessuna doglianza sul punto era stata dedotta in sede di appello e che le stesse ricorrenti avevano ammesso che la questione era stata proposta solo con la memoria finale di replica alla Corte d’appello;

che si trattava, quindi, di mera sollecitazione rivolta al giudice del gravame, e il mancato accoglimento di essa non integrava il vizio processuale di omessa pronunzia, non essendo il giudice di appello tenuto a pronunciarsi su un rilievo della parte attinente alla (im)possibilità di emettere la sentenza ex art. 2932 cod. civ., che era estraneo ai motivi di impugnazione;

che, osservava ancora la Corte di cassazione, la insussistenza di un vizio di omessa pronuncia, non consentiva poi l’accesso agli atti, al fine di verificare la decisività o meno della questione;

che la Corte rigettava infine il terzo motivo, concernente la denunciata mancata compensazione delle spese del giudizio di primo grado;

che avverso questa sentenza T.L. e T.R. hanno proposto ricorso per revocazione, cui ha resistito, con controricorso, l’intimata S.U.M.C., la quale ha altresì depositato memoria;

che le ricorrenti, dopo aver evidenziato la apoditticità dell’affermazione della sentenza impugnata in ordine alla ritualità del controricorso, concentrano le proprie censure sulla risposta data al secondo motivo del ricorso per cassazione; che le ricorrenti, sul rilievo che l’esistenza del certificato di destinazione urbanistica è questione che il giudice è tenuto a rilevare anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, sostengono che la sentenza impugnata abbia errato nel giustificare la omessa pronuncia sul punto da parte della Corte d’appello, giacchè questa era tenuta a pronunziarsi su un rilievo attinente alla impossibilità di emettere la sentenza ex art. 2932 cod. civ. e nel l’affermare che il giudice d’appello non era tenuto a pronunciarsi sul punto;

che, in realtà, osservano le ricorrenti, la Corte di cassazione non avrebbe considerato che il certificato di destinazione urbanistica non era stato tempestivamente prodotto nel giudizio di primo grado e sarebbe invece stato inserito nel fascicolo di controparte allorquando era già pendente il giudizio di cassazione;

che le ricorrenti concludono l’esposizione del motivo con la formulazione dei seguenti quesiti di diritto: “Dica la Eccellentissima Corte Suprema adita se, nel caso in esame, la Suprema Corte di Cassazione Civile Sezione Seconda, con la sentenza n. 4677/09, depositata il 26 febbraio 2009: 1) ratificando l’omissione di motivazione da parte della Corte territoriale Aquilana, ha errato nel non ritenere obbligatorio l’esame della mancata e tempestiva produzione del certificato di destinazione urbanistica, omettendo consequenzialmente una idonea motivazione al riguardo; 2) essendo stata sollevata in secondo grado la eccezione di mancata produzione del certificato urbanistico, la Corte di Legittimità possa sottrarsi dall’esaminare il punto, contrariamente a tutte le precedenti decisioni che hanno ritenuto che la mancata esibizione del certificato di destinazione urbanistica possa essere rilevata ex officio, anche in sede di legittimità; 3) dagli atti acquisiti e depositati – aliunde – avanti alla Suprema Corte di cassazione non risulti una omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5; 4) ai sensi dei combinati disposti dell’art. 391-bis c.p.c., correlato all’art. 395 c.p.c., comma 1, nn. 1) e 4), la sentenza emessa e gravata di revocazione, sia (o, non) l’effetto del dolo di una delle parti in danno dell’altra”;

che è stata redatta relazione ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., che è stata notificata alle parti e comunicata al pubblico ministero.

Considerato che il relatore designato, nella relazione depositata il 17 giugno 2010, ha formulato la seguente proposta di decisione:

“(…) Il ricorso è inammissibile.

Il ricorso per revocazione delle sentenze della Corte di cassazione e delle ordinanze pronunciate ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5 (e ora anche di quelle pronunciate ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 1: v. Corte cost., sentenza n. 207 del 2009) , è ammissibile solo per errore di fatto, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4. Secondo tale ultima disposizione, ricorre errore di fatto quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciarsi.

Nel ricorso per revocazione, la formulazione del motivo deve, pertanto, risolversi nell’indicazione specifica, chiara ed immediatamente intelligibile, del fatto che si assume avere costituito oggetto dell’errore e nell’esposizione delle ragioni per cui l’errore presenta i requisiti previsti dall’art. 395 cod. proc. civ. (Cass., n. 5075 e n. 5076 del 2008).

Nel caso di specie, escluso che possa formare oggetto della domanda di revocazione il dolo della parte, previsto dall’art. 395 cod. proc. civ., n. 1, non richiamato dall’art. 391-bis per le sentenze della Corte di cassazione, deve altresì escludersi la sussistenza del denunciato errore di fatto. La Corte di cassazione, invero, si è limitata ad evidenziare come in sede di gravame le appellanti non avessero proposto un motivo di gravame specifico in ordine alla questione della mancata produzione del certificato di destinazione urbanistica dell’immobile del quale si chiedeva il trasferimento ai sensi dell’art. 2932 cod. civ.. E tale circostanza è ammessa dalle stesse ricorrenti, le quali in realtà si dolgono del fatto che la Corte d’appello avrebbe dovuto rilevare la mancanza di detto certificato d’ufficio. La sentenza impugnata non ha, invece, svolto alcun accertamento in ordine alla esistenza del detto certificato e non ha fatto alcuna affermazione sul punto, se non quella di ritenere che il giudice di appello non era tenuto “a pronunziarsi su un rilievo della parte attinente alla (im)possibilità di emettere la sentenza ex art. 2932 cod. civ., che era estraneo ai motivi di impugnazione”.

Rispetto al contenuto della decisione impugnata risultano quindi del tutto incongrui i quesiti n. 1 e n. 2, atteso che la Corte di cassazione ha pronunciato nei limiti della impugnazione proposta, e le ricorrenti non deducono che la Corte abbia errato nel non esaminare un motivo di impugnazione effettivamente proposto. Si deve solo aggiungere che i quesiti n. 3 e n. 4 non appaiono in alcun modo idonei ad evidenziare un errore revocatorio. Il ricorso risulta pertanto inammissibile”.

che il Collegio condivide la richiamata proposta di decisione, alla quale non sono state rivolte critiche di sorta, e ritiene tuttavia opportuno evidenziare ulteriormente come la sentenza impugnata non contenga accertamenti che potrebbero contrastare con fatti rilevanti desumibili dagli atti e che le questioni dedotte hanno formato oggetto specifico di decisione, il che costituisce ragione ulteriore per escludere che, nella specie, sia configurabile un errore revocatorio;

che il ricorso va quindi dichiarato inammissibile;

che le ricorrenti devono conseguentemente essere condannate al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna le ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 7 ottobre 2010.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2011

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