Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10098 del 09/05/2011

Cassazione civile sez. III, 09/05/2011, (ud. 26/11/2010, dep. 09/05/2011), n.10098

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Consigliere –

Dott. LEVI Giulio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 31689/2006 proposto da:

MAXCOM PETROLI S.P.A. (già MAXCOM PETROLI S.R.L.) (OMISSIS), in

persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale

rappresentante Sig. J.G., elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA XXIV MAGGIO 43, presso lo studio dell’avvocato

BUSSOLETTI Mario, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato LA MARCA ERMANNO giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

SANTA RITA S.R.L. (OMISSIS), in persona del suo legale

rappresentante Dott. D.F., F.LLI DELLEA S.R.L.

(OMISSIS), in persona del suo legale rappresentante D.

G., elettivamente domiciliate in ROMA, VIA CAPOSILE 2, presso

lo studio dell’avvocato ANZALDI Antonina, che le rappresenta e

difende unitamente all’avvocato LEVI EMANUELA giusta delega in calce

al controricorso;

– controricorrenti –

e contro

FLLI LEVA S.P.A.;

– intimati –

sul ricorso 32425/2006 proposto da:

FLLI LEVA S.P.A. (OMISSIS), in persona del suo Consigliere

Delegato Rag. L.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

ATTILIO REGOLO 12-D, presso lo studio dell’avvocato CASTALDI ITALO,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARELLI GIUSEPPE

giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

SANTA RITA S.R.L., in persona del suo legale rappresentante Dott.

D.F., F.LLI DELLEA S.R.L., in persona del suo legale

rappresentante D.G., elettivamente domiciliate in ROMA,

VIA CAPOSILE 2, presso lo studio dell’avvocato ANZALDI ANTONINA, che

le rappresenta e difende unitamente all’avvocato LEVI EMANUELA giusta

delega in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 905/2006 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

Sezione Prima Civile, emessa il 22/03/2006, depositata il 05/04/2006

R.G.N. 249/C/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

26/11/2010 dal Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;

udito l’Avvocato PANTELLINI ANDREA (per delega dell’Avv. BUSSOLETTI

MARIO);

udito l’Avvocato LEVI EMANUELA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso con il rigetto previa

riunione di entrambi i ricorsi e condanna alle spese.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

1. Le s.r.l Santa Rita e F.lli Dellea, nel convenire in giudizio dinanzi al tribunale di Varese le s.p.a. Covencom (poi Maxcom) e F.lli Leva, ne chiesero la condanna al risarcimento dei danni derivanti dal mancato rispetto dell’obbligo di non concorrenza assunto dalla Covencom in favore della S. Rita con riguardo al ramo di azienda ceduto dalla prima alla F.lli Leva.

2. Il giudice di primo grado, con sentenza non definitiva, dichiarò l’efficacia della convenzione con la quale era stata stabilita la temporanea limitazione dell’attività territoriale di impresa.

3. La corte di appello di Milano confermò tale pronuncia.

4. La Maxcom e la F.lli Leva hanno impugnato la sentenza di appello con ricorso per cassazione sorretto rispettivamente da 2 e 3 motivi.

Resiste con controricorso la srl S. Rita. In atti sono depositate memorie per la Maxcom.

5. I ricorsi (che vanno riuniti sì come proposti avverso un’unica sentenza) sono inammissibili.

6. Con il primo motivo, la Maxcom Petroli denuncia errata e/o falsa applicazione degli artt. 74 e 81 disp. att. c.p.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3. Con il secondo motivo, la predetta ricorrente denuncia ancora violazione e falsa applicazione degli artt. 2558, 2555 e 2082 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3.

I motivi sono entrambi inammissibili.

Il primo di essi (anche) sotto l’aspetto dell’erroneo richiamo all’art. 360 n. 3 del codice di rito, atteso che la doglianza, se accolta, si sarebbe risolta in una declaratoria di nullità della sentenza e del procedimento, ai sensi del successivo n. 4 del medesimo articolo. Erroneo richiamo che, come già affermato anche di recente da questa corte regolatrice, si risolve in un vizio di inammissibilità del motivo di ricorso.

Entrambi sotto l’aspetto dell’erronea formulazione del quesito, in violazione dei principi più volte affermato da questa corte regolatrice (Cass. 25-3-2009, n. 7197), secondo i quali, da un canto, il quesito di diritto deve essere formulato, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., in termini tali da costituire una sintesi logico- giuridica della questione, cosi da consentire ai giudice di legittimità di enunciare una “regula iuris” suscettibile, di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata, con la conseguenza che è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione sia del tutto inidonea ad assumere rilevanza ai fini della decisione del motivo e a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia;

dall’altro (Cass. 19.2.2009 n. 4044), il quesito di diritto prescritto dall’art. 366 bis cod. proc. civ., a corredo del ricorso per cassazione non può mai risolversi nella generica richiesta rivolta alla Corte di stabilire se sia stata o meno violata una certa norma, nemmeno nel caso in cui il ricorrente intenda dolersi dell’omessa applicazione di tale norma da parte del giudice di merito, ma deve investire la “ratio decidendi” della sentenza impugnata, proponendone una alternativa e di segno opposto. Nella specie la ricorrente, in aperto contrasto con tali condivisibili e condivisi principi, chiede alla corte “se possa ammettersi come rituale e comunque valida la produzione di un documento non avvenuta secondo le modalità di cui alle norme del codice di rito e segnatamente degli artt. 74 e 87 disp. att. c.p.c.”, proseguendo il proprio iter logico/argomentativo con la proposizione dell’ulteriore (e altrettanto inammissibile) quesito “se conseguentemente possa essere utilizzato ai fini della decisione un documento prodotto senza il rispetto delle medesime norme”.

Con il primo motivo, la s.p.a. F.lli Leva denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1372 e 2558 c.c. e art. 41 Cost., in relaziona all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Il motivo è inammissibile.

Per inammissibilità del quesito di diritto con cui esso si conclude.

Questa corte regolatrice ha, dìfatti, già avuto modo di predicare (Cass. sez. un. 2-12-2008, n. 28536) il principio della inammissibilità per violazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ., del ricorso per cassazione nel quale l’illustrazione dei singoli motivi sia accompagnata dalla formulazione di un quesito di diritto che si risolve in una tautologia o in un interrogativo circolare, che già presuppone la risposta (ovvero la cui risposta non consenta di risolvere il caso “sub iudice”), quesito, in altri termini, che non consenta in alcun modo (come nel caso di specie, avendo il ricorrente posto alla corte l’inestricabile interrogativo se abbia natura personale e quindi non sia oggetto di subentro ex lega a norma dell’art. 2558 c.c., da parte del cessionario di azienda il contratto transattivo stipulato dal venditore cedente dell’azienda con il proprietario di un ramo aziendale goduto in affitto e fatto oggetto di restituzione a suo favore da parte del cedente prima della vendita dell’azienda, per effetto del quale il venditore s’era obbligato nei confronti del proprietario concedente del ramo d’azienda restituito ad astenersi da ogni futura attività d’impresa nell’ambito territoriale nel quale operava il ramo d’azienda restituito e compreso in quello, più ampio, nel quale si svolge l’attività d’impresa del cessionario) alla corte di addivenire, alfine, alla formulazione di un principio di diritto applicabile in via generale, anche al di là e a prescindere dal caso concreto di cui si chiede la soluzione.

Con il secondo motivo, la Leva s.p.a. denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2558 c.c. e art. 100 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

1 motivo è del pari inammissibile, essendo rappresentata a questa corte vizio de iure procedendo disciplinato dalla norma di cui all’art. 360, n. 3 quello afferente al (preteso) difetto di legitimatio ad causam delle attrici, doglianza che (al di là ed a prescindere dalla correttezza della sua formulazione in diritto, quanto alla configurabilità della questione in termini di difetto di legitimatio ad causam piuttosto che non di titolarità del rapporto sostanziale dedotto in giudizio) comporterebbe, se accolta, una pronuncia fondata sul disposto del successivo n. 4 del medesimo art. 360, ciò che (come già affermato a più riprese da questa corte regolatrice) si risolve in un motivo di inammissibilità della doglianza.

Con il terzo motivo, si denuncia, infine, un vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio.

La censura è anch’essa inammissibile, mancando patentemente, a conclusione dell’esposizione del motivo, il necessario momento di sintesi del fatto controverso la cui decisività avrebbe condotto, se diversamente interpretato, a diversa soluzione in sede di merito.

La disciplina delle spese segue come da dispositivo, giusta il principio della soccombenza.

P.Q.M.

La corte, riuniti i ricorsi, li dichiara entrambi inammissibili e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 9.200,00 di cui Euro 200,00 per spese generali.

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2011

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