Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10097 del 16/04/2021

Cassazione civile sez. trib., 16/04/2021, (ud. 13/10/2020, dep. 16/04/2021), n.10097

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. FANTICINI Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. NOVIK Adel Toni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16055-2014 proposto da:

IMMOBILIARE PELLICCIA SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, Piazza

Cavour, presso la cancelleria della Corte di Cassazione

rappresentata e difesa dall’avvocato FABRIZIO GRANATA;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, DIREZIONE PROVINCIALE I NAPOLI, in persona del

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

EQUITALIA POLIS SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 339/2013 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI,

depositata il 12/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/10/2020 dal Consigliere Dott. GIOVANNI FANTICINI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– la PE.DO. Costruzioni S.a.s. (poi Immobiliare Pelliccia S.r.l.) impugnava la cartella di pagamento notificatale il 30/11/2010 per importi fondati sull’avviso di accertamento, definitivo per omessa impugnazione, per IVA e IRAP dell’anno di imposta 2005; affermava la società che l’atto impositivo presupposto non le era mai stato notificato, dato che l’individuato luogo di notificazione era costituito dalla residenza dell’amministratore ( P.D.), in quel periodo sottoposta a sequestro penale, con correlata apposizione di sigilli e impossibilità di accesso all’immobile;

– la C.T.P. di Napoli accoglieva il ricorso, basando la decisione sul motivo, ritenuto assorbente, relativo all’invalidità della notifica degli atti presupposti per violazione degli artt. 139 e 140 c.p.c.;

– con la sentenza n. 339/3/13 del 4/12/2013, la C.T.R. della Campania – dopo aver dato atto della tardiva costituzione della società ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 23 – accoglieva l’appello dell’Agenzia delle Entrate, osservando che a) l’avviso di accertamento non impugnato risultava notificato in data 29/10/2009, b) il luogo della notifica – domicilio fiscale dell’amministratore coincideva con la residenza anagrafica del P., attestata da certificato di residenza, c) dalla relata emergeva l’impossibilità di reperire l’amministratore presso l’indirizzo e d), stante l’inapplicabilità degli artt. 138 e 139 c.p.c., la notificazione era stata eseguita con le modalità prescritte dall’art. 140 c.p.c., e, cioè, con deposito presso la casa comunale, affissione dell’avviso di deposito alla porta dell’abitazione del P. e spedizione dell’avviso di deposito a mezzo di raccomandata;

– ritenuta la conformità della notificazione al disposto dell’art. 140 c.p.c., e rilevata la mancanza di querela di falso avverso le attestazioni del messo notificatore, il giudice d’appello rigettava le doglianze della contribuente;

– avverso la predetta sentenza la Immobiliare P. S.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, basato su tre motivi;

– resiste l’Agenzia delle Entrate con controricorso, mentre l’agente della riscossione (l’intimata Equitalia Sud S.p.A.) non ha svolto difese in questo giudizio.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Col primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) degli artt. 139,140,145 e 148 c.p.c., per non avere la C.T.R. rilevato “la violazione dell’obbligo per il notificatore di indicare l’impossibilità di consegna dell’atto nei luoghi, alle persone e alle condizioni prescritte dalla legge”; in particolare, la Immobiliare P. lamenta di non aver potuto proporre querela di falso avverso le risultanze della relata di notifica poichè questa non era stata depositata in originale dalla controparte e, inoltre, che l’apposizione di un timbro prestampato non era sufficiente a dare conto dell’attività svolta dal messo notificatore.

Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

La censura, incentrata sul contenuto della relata (che nella tesi della ricorrente sarebbe inidonea ad illustrare le attività di ricerca compiute dall’addetto alla notificazione), presuppone – in ossequio al principio di autosufficienza e a pena di inammissibilità (art. 366 c.p.c.) – che nell’atto introduttivo del giudizio di legittimità si riporti (oppure si trascriva) la relata stessa, al fine di consentire a questa Corte di esaminare l’atto sul quale si fonda la doglianza.

In ogni caso, già dalle scarne indicazioni del ricorso (ma soprattutto dalla più puntuale esplicazione nella sentenza impugnata) risulta che il messo notificatore ha dato atto – nelle relate – di aver eseguito ricerche per reperire P.D., non rinvenuto all’indirizzo di residenza per temporanea irreperibilità, e di aver compiuto tutte le attività prescritte dall’art. 140 c.p.c..

La contestazione di tali circostanze, emergenti da relate di notifica (atti pubblici fidefacenti), doveva essere avanzata attraverso la proposizione di querela di falso (accertamento pregiudiziale demandato al giudice ordinario D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 39), senza che assuma alcun rilievo la mancata produzione degli originali, sia perchè la falsità dedotta dalla ricorrente è ideologica (attenendo al contenuto) e non materiale (concernente il profilo estrinseco del documento), sia perchè dall’art. 223 c.p.c., si evince che il deposito del documento in originale non costituisce presupposto indefettibile per la proposizione della querela ed è, anzi, rimesso alla discrezionalità del giudice.

Peraltro, come già statuito da questa Corte, “La mancata produzione del documento in originale non esonera la parte dall’onere di proporre querela avverso la fotocopia non disconosciuta, salvi il grado di probatorietà che gli accertamenti in tal caso possono raggiungere e la possibilità di acquisire l’originale, ove ritenuto necessario, in relazione alla natura del falso dedotto” (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 32219 del 13/12/2018, Rv. 651950-01).

2. Col secondo motivo si lamenta (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) vizio della motivazione della sentenza impugnata per omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che erano stati oggetto di discussione tra le parti, “essendosi la C.T.R. basata su una errata interpretazione della documentazione allegata dal ricorrente ed avendo ritenute valide presunzioni inammissibili in tema di prova”; la ricorrente lamenta che “la sentenza si appalesa del tutto irragionevole sotto il profilo della coerenza con i fatti dedotti e con la documentazione riversata in atti”.

La ricorrente propone – oltretutto in maniera lacunosa (e, quindi, irrispettosa dell’art. 366 c.p.c.), dato che il ricorso non riporta il contenuto degli atti e dei documenti che il giudice di merito avrebbe ignorato o erroneamente interpretato – una rilettura del materiale probatorio incompatibile col giudizio di legittimità: ne è prova la contestazione delle conclusioni della sentenza d’appello, che è mossa “per evidente errore nella lettura e nella valutazione delle prove” (così a pag. 28 del ricorso).

Parimenti inammissibili, per quanto già esposto con riguardo al primo motivo, sono le censure riguardanti le risultanze della relata di notifica, dotata di fede privilegiata.

3. Il terzo motivo contiene una censura (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) della motivazione per omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che erano stati oggetto di discussione tra le parti, per avere la C.T.R. omesso di pronunziarsi sugli ulteriori motivi dell’originario ricorso della contribuente alla C.T.P., rimasti assorbiti in primo grado, ma riproposti con le deduzioni in appello.

Anche prescindendo dall’erronea deduzione del motivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, anzichè come vizio del procedimento ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per violazione dell’art. 112 c.p.c., il motivo è infondato.

Il giudice d’appello ha dato atto della tardiva costituzione in giudizio della parte appellata ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 23; in conformità coi precedenti di questa Corte, si rileva che “nel processo tributario, improntato a criteri di speditezza e concentrazione, la volontà dell’appellato di riproporre le questioni assorbite, pur non occorrendo a tal fine alcuna impugnazione incidentale, deve essere espressa, a pena di decadenza, nell’atto di controdeduzioni da depositare nel termine previsto per la costituzione in giudizio, e non può essere manifestata in atti successivi, che esplicano una funzione meramente illustrativa” (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 26830 del 18/12/2014, Rv. 634237-01; nello stesso senso, Cass., Sez. 6-5, Ordinanza n. 12937 del 22/06/2016, Rv. 640074-01, e Cass., Sez. 5, Sentenza n. 17950 del 19/10/2012, Rv. 623996-01).

Conseguentemente, la tardiva costituzione impediva all’appellata di riproporre le doglianze rimaste assorbite dalla pronuncia di prima cure, favorevole alla Immobiliare P., sicchè nessuna censura di minuspetizione può essere rivolta alla sentenza della C.T.R..

4. In conclusione, il ricorso è respinto.

Alla decisione fa seguito la condanna della ricorrente alla rifusione, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese di questo giudizio di cassazione, che sono liquidate nella misura indicata nel dispositivo secondo i vigenti parametri.

5. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso;

condanna la ricorrente a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese di questo giudizio, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre a spese prenotate a debito;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Quinta Sezione Civile, il 13 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2021

 

 

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