Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10097 del 09/05/2011

Cassazione civile sez. III, 09/05/2011, (ud. 26/11/2010, dep. 09/05/2011), n.10097

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – rel. Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. LEVI Giulio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 18596/2006 proposto da:

ISTITUTO VIGILANZA LA NUOVA LINCE S.R.L. (OMISSIS), in persona

dell’amministratore unico R.N., elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA BERTOLONI 14, presso lo studio dell’avvocato FERRARO

FABIO, rappresentata e difesa dall’avvocato FERRARO Giuseppe giusta

delega a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

S.A. (OMISSIS), in proprio e in qualità di

legale rappresentante del minore V.C., e V.

F. elettivamente domiciliati in Roma, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dagli Avvocati

ROMANELLI Francesco e FILOMENA MUTO giusta procura speciale del Dott.

Notaio ENRICO TROISI in NAPOLI, del 4/11/2010, REP. N. 6233;

– controricorrenti –

e contro

BANCA POPOLARE ANCONA S.P.A., MILANO ASSICURAZIONI S.P.A.;

– intimati –

sul ricorso 22416/2006 proposto da:

BANCA POPOLARE ANCONA S.P.A., in persona del legale rappresentante

pro tempore e Direttore Generale Dott. G.L., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA DI S. COSTANZA 46, presso lo studio

dell’avvocato MANCINI LUIGI, rappresentata e difesa dall’avvocato

SABBATINO EDOARDO giusta delega in calce al controricorso e ricorso

incidentale;

– ricorrenti –

contro

S.A., elettivamente domiciliato in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli

Avv. ROMANELLI FRANCESCO e Avv. MUTO FILOMENA, giusta procura

speciale del Dott. NOTAIO ENRICO TROISI, in NAPOLI, del 4/11/2010,

REP. N. 6233;

– controricorrenti –

e contro

MILANO ASSICURAZIONI S.P.A., ISTITUTO VIGILANZA LA NUOVA LINCE

S.R.L.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3778/2005 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

Sezione Quarta Civile, emessa il 10/10/2005, depositata il 30/12/2005

R.G.N. 4156/2002;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

26/11/2010 dal Consigliere Dott. MARIA MARGHERITA CHIARINI;

udito l’Avvocato CASAMASSIMA ARNALDO (per delega dell’Avv. FERRARO

GIUSEPPE);

udito l’Avvocato ROMANELLI FRANCESCO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, previa riunione, rigetto dei ricorsi e

condanna alle spese.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 30 dicembre 2005 la Corte di appello di Napoli premesso: a) S.A., nel 1992, aveva convenuto in giudizio la s.r.l. Nuova Linee, la Banca Popolare di Napoli e la Previdente Assicurazioni s.p.a., in proprio e nella qualità di legale rappresentante dei figli minori, chiedendone la condanna al risarcimento per i danni conseguiti all’omicidio del proprio marito, V.L., guardia giurata dipendente dalla società Nuova Linee, commesso il (OMISSIS), alle ore 8, a (OMISSIS), da ignoti nel tentare una rapina nella fase di apertura della Banca Popolare di Napoli, il cui sistema di videoregistrazione non era attivo da alcuni giorni, alla cui vigilanza egli eccezionalmente quel giorno era stato addetto dall’Istituto Nuova Linee, benchè in continuazione con quello già prestato per due notti di pattugliamento su strada – e perciò stanco, ragion per cui aveva chiesto, inutilmente, di essere esonerato – e benchè egli fosse inesperto di tale servizio; 2) inoltre l’Istituto non gli aveva fornito nè fatto pervenire il giubbotto antiproiettile – circostanza accertata in base ai testi escussi – dotazione a cui detto datore di lavoro era obbligato a norma sia di contratto collettivo che intercorso con la banca, nè era rilevante che tale strumento di protezione fosse reperibile all’interno dei locali dell’Istituto ovvero della banca, ma anzi ne provava la disorganizzazione, poichè il servizio mattutino di vigilanza iniziava allorchè i primi erano ancora chiusi, mentre, per i locali della seconda tale cautela protettiva era necessaria anche nella fase di apertura della banca, tant’è che allora era accaduto l’omicidio; 3) pertanto doveva esser ribadita la responsabilità solidale dell’Istituto e della banca per gravi e colpose omissioni di elementari, consolidate e generalizzate misure di sicurezza, come i suddetti obblighi contrattuali (art. 73 C.C.N.L. richiamato anche dagli artt. 5 e 19 del contratto intercorso con la Banca) del primo di fornire il giubbotto antiproiettile per garantire la sicurezza delle condizioni di lavoro del dipendente, e della seconda quale committente “del contratto di appalto del servizio con l’Istituto di Vigilanza, di garantire la funzionalità dell’impianto di videoripresa quale elementare misura di sicurezza – il cui consenso si era formato, ancorchè tacitamente, anche con i vigilanti sulla sua effettiva esistenza, considerato anche l’obbligo contrattuale della guardia di ispezionare la banca prima dell’accesso in essa dei dipendenti – nonchè per la banca quale obbligo extracontrattuale, derivante dalla natura dell’attività svolta, nell’adempimento di obblighi di solidarietà sociali minimi e per la tutela di diritti inviolabili e personalissimi, costituzionalmente tutelati (art. 2 Cost.); 4) il nesso causale tra l’inadempimento all’obbligo contrattuale dell’Istituto di vigilanza di fornire il giubbotto ed il colpo mortale alla nuca del V., zona non protetta dal giubbotto, era sussistente ai sensi dell’art. 40 cod. pen., comma 2, poichè il colpo di arma da fuoco alla testa era successivo a quello alla schiena, che lo aveva abbattuto a terra mettendolo in totale balia dei rapinatori, non riusciti a sopraffarlo nella colluttazione;

5) il concorso causale del comportamento della Banca era dovuto alla circostanza, acclarata dal verbale dei CC, che l’impianto non era funzionante dal 4 aprile 1991, data dell’ultima registrazione, la cui negligente disattivazione, o il cui mancato ripristino della funzionalità, costituì incentivo alla perpetrazione della rapina e dell’omicidio, tant’è che i rapinatori agirono a viso scoperto, e di conseguenza eliminarono l’unico “i teste oculare – e dunque erano consapevoli del non funzionamento dell’impianto – per sorprendere la guardia giurata, che infatti non aveva avuto la possibilità di una più efficace e tempestiva difesa; 6) il danno morale subito dal coniuge e dai figli minori era rilevantissimo stante: il pieno vigore del vigilante al momento della morte e quindi la irrimediabile perdita del forte punto di riferimento per la famiglia; il dolore di costoro per l’efferatezza e la particolare malvagità degli assassini che lo avevano colpito alla testa allorchè egli era già a terra, gravemente ferito; la consapevolezza che l’omicidio era stato commesso per il concorso di negligenti inadempienze da parte del datore di lavoro e della banca che non avevano adeguatamente tutelato l’incolumità del V., che peraltro era stato addetto alla sorveglianza dopo due notti consecutive di servizio. Pertanto equitativamente doveva esser riconosciuto in complessivi Euro 250.000,00 di cui Euro 100.000 al coniuge ed Euro 75,000 a ciascuno dei figli.

Ricorre in via principale l’Istituto di Vigilanza la Nuova Linee s.r.l. ed in via incidentale la Banca Popolare di Ancona. S. A. in proprio e nella qualità resiste ad entrambi i ricorsi.

L’Istituto di Vigilanza ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., i ricorsi devono essere riuniti.

1.1- Con il primo motivo di ricorso principale la s.r.l. Istituto di Vigilanza Nuova Linee lamenta: “Violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2087 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3). Violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3). Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia” perchè la Corte di merito ricostruendo arbitrariamente la dinamica dell’omicidio ha addossato la responsabilità all’Istituto di Vigilanza per la mancata dotazione – contestata del giubbotto antiproiettile al V. – a cui peraltro era rimessa l’autonomia e responsabilità di indossarlo o meno, tanto più in fase di apertura della banca – mentre in ogni caso tra tale omissione e l’uccisione di detto dipendente non è ravvisabile alcun nesso di causalità perchè i tre rapinatori avevano agito a volto scoperto, sapendo, come la stessa sentenza impugnata ipotizza, che il sistema di videosorveglianza non era funzionante da alcuni giorni, e perciò deliberatamente avevano eliminato l’unico testimone della tentata rapina, sì che nessuna protezione sarebbe stata sufficiente ad evitare il tragico evento tra tre contro uno, senza tacere che il giubbotto a distanza ravvicinata poteva addirittura intralciare la difesa corpo a corpo. Inoltre nessuna prova vi era della precedenza del colpo alla schiena del V. rispetto a quello mortale alla nuca, ed anzi era stato ipotizzato che dopo esser stato colpito alla testa era caduto e a terra era stato nuovamente colpito. Nè la gravosità del turno richiestogli dopo due turni notturni consecutivi già svolti aveva avuto incidenza alcuna poichè era provato che egli si era difeso strenuamente prima di soccombere.

1.2 – Con il secondo motivo deduce: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 40 c.p., comma 2 (art. 360 c.p.c., n. 3). Violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2087 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3). Violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., artt. 2697, 2727 e 2729 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3). Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5)” con cui lamenta l’omessa valutazione sull’interruzione di ogni nesso causale tra la mancanza del giubbotto antiproiettile – la cui dotazione era ancora discussa a livello sindacale e che comunque il dipendente poteva richiedere alla centrale operativa – e l’omicidio che sarebbe comunque avvenuto pur se il V. l’avesse indossato ovvero se fosse stato addetto un altro vigilante al suo posto o se non fosse reduce dal servizio di guardia notturna per due notti consecutive poichè la causa esclusiva del tragico evento era l’omessa riparazione, protrattasi per diversi giorni, da parte della banca dell’impianto di videosorveglianza, omissione più grave di quella di non installarlo perchè la presenza di esso ingenera l’affidamento dell’Istituto di vigilanza e dei suoi dipendenti sulla sua efficienza, mentre la responsabilità di cui all’art. 2087 c.c., non è oggettiva e non implica l’obbligo del datore di lavoro di eliminare rischi insiti nell’attività svolta, salva la prova a carico del prestatore di lavoro di comportamenti anomali del datore di lavoro.

I motivi, congiunti, inammissibili nella parte in cui propongono una diversa valutazione della ricostruzione della dinamica del sinistro e del nesso causale, accertati dai giudici di merito con compiuta e logica argomentazione, è infondato nella censura concernente le denunciate violazioni di legge.

Infatti la decisione impugnata è conforme al principio, da ribadire, secondo cui risponde di omicidio colposo il responsabile di una polizia o istituto di vigilanza privata che consente a un dipendente di esercitare funzioni di sorveglianza in una banca senza essere munito di giubbotto antiproiettile, qualora il detto dipendente rimanga ucciso a seguito di uno scontro a fuoco con rapinatori (Cass. Pen. 3255/1989), poichè il datore di lavoro è responsabile degli infortuni occorsi ai dipendenti non solo per violazione degli obblighi imposti in via preventiva dall’art. 2087 cod. civ., secondo cui deve predisporre cautele adeguate, secondo la comune prudenza e la normativa tecnica di settore, a proteggerli in concreto dai rischi connessi allo specifico tipo d’attività esercitata, ma deve anche disporre ed esigere che i singoli lavoratori osservino le norme di sicurezza ed usino i mezzi di protezione a loro disposizione D.P.R. n. 547 del 1955, art. 4, lett. c) dall’inizio alla fine del servizio, ed anche nella zona circostante il luogo di lavoro, se ugualmente pericolosa, poichè le prescrizioni dirette a tutelare il lavoratore sono volte anche a prevenire gli effetti derivanti da suoi comportamenti disattenti, imperiti, negligenti o imprudenti, a meno che sia provata l’assoluta abnormità, atipicità ed eccezionalità del suo comportamento.

Correttamente quindi alla luce di tali principi, nonchè delle norme contrattuali, collettive ed individuali, indicate dalla Corte di merito e riassunte in narrativa, i giudici di merito hanno ritenuto concausa dell’omicidio del V. non avere l’Istituto di Vigilanza al momento in cui lo ha assegnato all’ulteriore servizio di vigilanza alla banca, messo a sua disposizione il giubbotto antiproiettile, e controllato che lo indossasse quale misura cautelare minimale per la prevenzione delle conseguenze derivabili da una rapina a mano armata, pericolo insito, come afferma lo stesso Istituto, e perciò assolutamente prevedibile, nell’attività di vigilanza sulla incolumità dei dipendenti e dei clienti di una banca nonchè sul patrimonio di questa, ed aggravato nella specie dall’obbligo prescritto dall’art. 19 del contratto di sorveglianza con la banca, dallo stesso Istituto richiamato, secondo cui il vigilante deve ispezionare la porta e gli androni della banca prima dell’ingresso dei dipendenti onde scongiurare agguati.

2.- Con il terzo motivo l’Istituto deduce: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 1218 c.c., e segg., art. 2043 c.c., e segg., artt. 2087, 1225 e 1227 c.c. (art. 360 c.c., n. 3). Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5).

Con tale motivo lamenta la ricorrente che, incontroverso che nella guardiola della banca vi era un giubbotto antiproiettile, l’Istituto non poteva fare altro che raccomandarne l’uso ai dipendenti, non potendo controllare l’effettività di esso da parte di costoro essendo inesigibile un controllo personale di tutti i lavoratori.

Conseguentemente la Corte di merito aveva ignorato gli artt. 1218 e 1227 c.c., stante la notoria, riluttanza dei vigilanti ad indossare tale ingombrante strumento protettivo, spesso inutile e di impaccio.

Il motivo, da rigettare per le considerazioni innanzi esposte in relazione all’obbligo del datore di lavoro di controllare l’osservanza delle misure cautelari prescritte, è inammissibile nella parte in cui non censura le logiche ed argomentate considerazioni della sentenza impugnata sull’irrilevanza della reperibilità del giubbotto all’interno dei locali della banca stante l’obbligo contrattuale del vigilante di controllo, nella fase di apertura di essa, della zona di ingresso alla medesima, mentre d’altro canto la questione del concorso di colpa del danneggiato non può farsi valere per la prima volta in cassazione se non è stato proposto appello (Cass. 24080/2008).

4.- Con il quarto motivo lamenta: “Violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2059 c.c. e art. 40 c.p. (art. 360 c.p.c., n. 3).

Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5)” contestando il riconoscimento del danno morale malgrado la non configurabilità del reato di omicidio colposo a carico dell’Istituto di Vigilanza e comunque l’arbitrarietà della sua liquidazione.

Il motivo è parte infondato, parte inammissibile.

Ed infatti, in aggiunta alle considerazioni espresse nell’esame dei motivi che precedono, per la configurabilità dell’omicidio colposo anche a carico dell’Istituto la Corte di merito si è conformata al principio secondo il quale in materia penale si applica il principio dell’equivalenza delle cause, si che l’omicidio perpetrato dai rapinatori non è sufficiente ad interrompere il rapporto di causalità tra la violazione della norma precauzionale commessa dall’Istituto di Vigilanza e l’evento, poichè il reato non ha fatto venir meno la situazione di pericolo originariamente determinata.

Quanto poi alla personalizzazione del danno morale e alla liquidazione in via equitativa, la lamentela, generica, è inammissibile.

5.- Con il quinto motivo lamenta: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 1655 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3). Violazione e falsa applicazione dell’art. 2 Cost. e degli artt. 1175 e 1375 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3). Violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., e segg. (art. 360 c.p.c., n. 3). Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5)” per non avere la Corte di merito rilevato la ben più grave condotta della banca che ha omesso per molti giorni di riparare il servizio di videocamera senza avvertire l’Istituto di Vigilanza e quindi violando i doveri di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto di appalto del servizio di vigilanza poichè se l’Istituto fosse stato messo al corrente avrebbe adottato tutte le cautele del caso come per il servizio di trasporto portavalori.

La censura è inammissibile in base al consolidato principio secondo il quale nel giudizio avente ad oggetto l’accertamento della responsabilità per il danno da fatto illecito imputabile a più persone il giudice del merito adito dal danneggiato può e deve pronunciarsi sulla graduazione delle colpe solo se uno dei condebitori abbia esercitato l’azione di regresso nei confronti degli altri, o comunque, in vista del regresso abbia chiesto tale accertamento in funzione della ripartizione interna. Invece, se colui che è convenuto in giudizio unitamente ad l’altri, perchè ritenuto responsabile, in solido con questi, dell’evento dannoso lamentato dall’attore nega la propria responsabilità in ordine al verificarsi dell’evento denunziato, non propone perciò, nei confronti degli altri convenuti, alcuna domanda, ma si limita a svolgere ancorchè assuma che, in realtà, gli altri convenuti sono responsabili esclusivi del fatto – delle mere difese, al fine di ottenere il rigetto, nei suoi confronti, della domanda attrice. Affinchè quindi tali argomentazioni esulino dall’ambito delle mere difese ed integrino, ai sensi dell’art. 99 cod. proc. civ., e segg., delle “domande” nei riguardi degli altri presunti responsabili, con il conseguente instaurarsi tra costoro di un autonomo rapporto processuale (diverso e distinto rispetto a quello tra il danneggiato e i singoli danneggiati) è pertanto indispensabile che il suddetto convenuto richieda espressamente, ancorchè in via gradata e subordinatamente al rigetto delle difese svolte in via principale, l’accertamento della percentuale di responsabilità propria e altrui in relazione al verificarsi del fatto dannoso, domanda questa che, non potendosi ritenere implicita nella mera richiesta svolta nei confronti del solo attore di rigetto della sua domanda, non può essere introdotta, all’evidenza, per la prima volta in giudizio in grado di appello, nè, a maggior ragione, in sede di giudizio di legittimità (Cass. 8105/2006).

6.- Con un unico motivo la Banca Popolare di Ancona s.p.a. lamenta:

“Violazione e falsa applicazione delle disposizioni normative contemplate dall’art. 2043 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3). Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e un punto decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5)” in quanto la Corte di merito ha immotivatamente ritenuto che l’impianto non fosse funzionante da oltre quindici giorni allorchè si verificò la rapina mentre da un canto esso era apposto in un armadio blindato chiuso a chiave che il preposto apriva periodicamente per controllarne la funzionalità e solo dopo la rapina era stato verificato che non funzionava; dall’altro non è un sistema antirapina e comunque la Corte non ha considerato che l’omicidio era avvenuto nella zona antistante i locali adibiti ad agenzia mentre gli sportelli erano ancora chiusi sì che non vi era alcun nesso di causalità con la mancata videoregistrazione dei rapinatori e l’omicidio del V., ed invece la responsabilità, unica e gravissima, era dell’Istituto sia per aver disposto che il servizio fosse svolto dal vigilante, stanco e inesperto, sia per non averlo dotato del giubbotto antiproiettile.

Il motivo, volto ad una diversa valutazione del rapporto di causalità, valutato con motivazione compiuta ed immune da vizi giuridici, è inammissibile.

Concludendo vano respinti i ricorsi e le ricorrenti principale ed incidentale vanno condannate a pagare alla controricorrente S. A., in proprio e nella qualità, le spese del giudizio di cassazione, mentre si compensano di esse.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta; condanna la ricorrente principale e la ricorrente incidentale a pagare, in solido tra loro, alla controricorrente S.A., in proprio e nella qualità, Euro 10.200,00 di cui Euro 200,00 di spese, oltre spese generali ed accessori di legge. Compensa le spese del giudizio di cassazione tra ricorrente principale ed incidentale.

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2011

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