Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10090 del 28/05/2020

Cassazione civile sez. I, 28/05/2020, (ud. 15/11/2019, dep. 28/05/2020), n.10090

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8602/2014 proposto da:

POLISPORTIVA TRAPANI Società Cooperativa a r.l. in liquidazione, in

persona del liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in

Roma, Via Appia Pignatelli n. 362, presso lo studio dell’avvocato

Carlo Selmi, rappresentata e difesa dall’avvocato Antonella Orlando,

giusta procura in calce al ricorso

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) S.p.a., in persona del curatore avv. Vincenzo

Milazzo, elettivamente domiciliato in Roma, Via Lucullo n. 3, presso

lo studio dell’avvocato Nicola Adragna, rappresentata e difesa

dall’avvocato Massimo Piacentino, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

e contro

D.S.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 553/2013 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 25/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/11/2019 dal consigliere Paola Vella.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 9351 del 19/04/2007, questa Corte, accogliendo il primo motivo del ricorso principale proposto dal Fallimento (OMISSIS) S.p.a. e respingendo il ricorso incidentale proposto dalla Polisportiva Trapani Società Cooperativa a r.l., cassò la sentenza della Corte di appello di Palermo, recante la conferma della sentenza con cui il Tribunale di Trapani aveva rigettato le domande di simulazione assoluta, o in subordine di simulazione relativa del prezzo e di risoluzione per inadempimento dell’acquirente, avuto riguardo al contratto del 6 giugno 1990 mediante il quale l’Associazione Sportiva (OMISSIS) (poi trasformatasi in (OMISSIS) S.p.a.) aveva venduto alla Polisportiva Trapani soc. coop. a r.l. l’impianto sportivo denominato “(OMISSIS)”, al prezzo di oltre tre miliardi di Lire (che, secondo l’assunto di parte attrice, doveva essere pagato mediante accollo dei debiti contratti dall’associazione venditrice per la sua realizzazione), condannando la curatela al pagamento delle spese di lite anche in favore del terzo D.S.G., intervenuto volontariamente sostenendo di aver pagato il debito della convenuta nei confronti del Banco di Sicilia e chiedendo comunque, in caso di accoglimento della domanda, la conferma dell’ipoteca concessagli dalla Polisportiva sull’impianto compravenduto.

2. Con la sentenza qui impugnata la Corte di appello di Palermo, quale giudice di rinvio, ha accertato la simulazione relativa del contratto de quo “in ordine al pagamento del prezzo di vendita e alle modalità di corresponsione dello stesso” e ha dichiarato risolto il contratto medesimo per inadempimento dell’acquirente, ordinandone l’annotazione a margine della relativa trascrizione nei registri immobiliari, senza pregiudizio per l’ipoteca volontaria sul complesso immobiliare rilasciata dall’acquirente al D.S., a garanzia di quanto dovutogli in seguito all’escussione dei titoli da lui costituiti in pegno a garanzia del credito del Banco di Sicilia, che lo aveva surrogato nei propri diritti verso la venditrice.

3. Avverso detta decisione la Polisportiva Trapani Società Cooperativa a r.l. in liquidazione ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi, cui la Curatela del Fallimento (OMISSIS) S.p.a. ha resistito con controricorso, corredato da memoria. L’intimato D.S. non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Con il primo motivo si lamenta la violazione degli artt. 354 e 394 c.p.c., per avere la corte d’appello ritenuto inammissibile la produzione documentale e la prova testimoniale articolata dalla Polisportiva in sede di rinvio, nonostante la Corte di Cassazione avesse “ritenuto che sulla Polisportiva gravasse l’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa (l’adempimento delle obbligazioni assunte)”, sicchè “il Giudice del rinvio, al fine di indagare, per la prima volta, stante il precetto indicato dalla Suprema Corte “se sussisteva o meno il dedotto inadempimento costituito dal mancato pagamento dei debiti accollati”, avrebbe dovuto ritenere ammissibile sia il nuovo documento prodotto (viepiù in considerazione del valore confessorio di esso, risultando sottoscritto dai soci di entrambe le società) che i capitolati di prova, siccome riformulati, essendo la “novità” consentita in ragione della mutata prospettiva giuridica della questione”.

4.1. Con il secondo mezzo si denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2721 e 2726 c.c. (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) nonchè “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia” (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per avere la corte d’appello omesso di considerare, nella valutazione ex art. 2721 c.c., comma 2, “una serie di circostanze che avrebbero assunto valore dirimente ai fini dell’ammissibilità del mezzo istruttorio richiesto”.

4.2. Il terzo motivo prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 183,189, 345 e 346 c.p.c., per avere la corte d’appello erroneamente ritenuto rinunciate le istanze istruttorie della Polisportiva, in conseguenza della loro mancata riproposizione al momento della precisazione delle conclusioni e in sede di gravame, quando invece esse erano state richiamate e formulate nella comparsa del 18.02.1998.

4.3. Con il quarto mezzo ci si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e degli artt. 2720 e 2734 c.c., nonchè della “contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., n. 5”, per avere la corte palermitana “preso in esame il verbale assembleare del Consiglio di Amministrazione della (OMISSIS) del 10.11.94 attribuendo al suo contenuto valore confessorio circa un pagamento effettuato in favore dell’Istituto di credito Banca Sicula”, mentre “il documento esaminato ha un evidente valore ricognitivo”.

4.4. Il quinto motivo lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1203 c.c., n. 3 e art. 1299 c.c. e dell’art. 62 L. Fall., per avere la corte territoriale “ritenuto che il debito vantato dal Banco di Sicilia non fosse stato onorato dalla Polisportiva, nonostante quanto dichiarato dall’interveniente (il solvens) e dalla stessa Polisportiva, e ciò in considerazione del contenuto di una lettera inviata dal Banco di Sicilia, che aveva surrogato il D. in tutti i diritti spettanti al banco nei confronti della Pallacanestro”, applicando erroneamente “la disciplina propria dell’art. 1203 c.c. piuttosto che quella dell’art. 1299 c.c.”, dal momento che “la domanda di ammissione al passivo depositata dal D. (…) è stata formulata ai sensi dell’art. 62 della legge fallimentare, articolo che riproduce nelle procedure concorsuali (…) il principio generale sulla obbligazione solidale passiva contenuto nell’art. 1299 c.c., che consente al solvens di ripetere dai coobbligati la parte gravante su ciascuno di essi”.

4.5. Con il sesto mezzo si deduce infine la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 1455 c.c., nonchè la “contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., n. 5”, avuto riguardo al giudizio di “non scarsa importanza” dell’inadempimento, poichè “l’oggetto di indagine della Corte territoriale avrebbe dovuto essere considerato il pagamento del debito vantato dal Banco di Sicilia e non anche quello relativo agli altri debiti” in quanto non contestati, “non essendo sufficiente che la Corte di Cassazione, in relazione alla natura del giudizio rescindente, abbia parlato di “prova del pagamento dei debiti accollati””.

5. Tutti i motivi non meritano accoglimento.

6. In primo luogo, il ricorso presenta un’impropria commistione dei mezzi di impugnazione, poichè i vizi di motivazione sono inestricabilmente prospettati con gli errores in iudicando, in contrasto con la tassatività dei motivi di ricorso e con l’orientamento di questa Corte per cui una simile tecnica espositiva riversa impropriamente sul giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure (ex plurimis, Cass. 26874/2018, 11222/2018, 27458/2017, 21016/2016, 5964/2015, 26018/2014).

7. In secondo luogo, tutte le censure motivazionali non tengono conto del fatto che il sindacato di legittimità sulla motivazione si è ridotto alla verifica del rispetto del “minimo costituzionale”, nel senso che “l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce – con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza” – nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”” (Cass. Sez. U, 8053/2014). Tali gravi vizi non sono riscontrabili nella motivazione della sentenza impugnata, mentre deve radicalmente escludersi la possibilità che ne sia denunziata in questa sede l’insufficienza o contraddittorietà (Cass. Sez. U, 33017/2018).

7.1. Inoltre, le censure motivazionali non rispettano i nuovi canoni del vigente art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) (applicabile ratione temporis) che rende l’apparato argomentativo sindacabile in sede di legittimità solo entro precisi limiti, onerando il ricorrente di indicare, nel rispetto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), il “fatto storico” – ossia un accadimento o una circostanza in senso storico-naturalistico, non già mere questioni o argomentazioni (Cass. 22397/2019), nè un “fatto processuale” (Cass. 18328/2019, 7024/2020) – il cui esame sia stato omesso, nonchè il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e, soprattutto, la sua “decisività” (Cass. Sez. U, nn. 8053 e 8054 del 2014; conf., ex multis, Cass. Sez. U, n. 1241 del 2015; Cass. nn. 19987 e 7472 del 2017; n. 27415 del 2018; nn. 7024, 6735, 6485 e 6383 del 2020).

8. I primi tre motivi sono inammissibili anche con riguardo agli errores in iudicando ivi lamentati, in quanto essi non attingono una delle varie rationes decidendi addotte dalla corte d’appello a sostegno della mancata ammissione dei mezzi istruttori richiesti dalla odierna ricorrente in sede di rinvio, segnatamente quella sulla assoluta genericità della “prova con oltre 50 testi, articolata nella memoria ex art. 184 c.p.c. (non contenente alcuna indicazione degli importi corrisposti nè delle date dei pagamenti), ampliata (…) con riferimento alle somme indicate in un riepilogo contabile” a sua volta ritenuto inammissibile perchè prodotto per la prima volta in sede di rinvio; così come inammissibile è stata ritenuta la richiesta di c.t.u. contabile “in assenza della documentazione sulla quale l’indagine dovrebbe essere espletata”.

8.1. Resta comunque fermo, in diritto, che nel giudizio di rinvio, secondo il consolidato insegnamento di questa Corte, “il giudice è investito del potere-dovere di riesaminare il merito della causa sulla base di quanto acquisito sino al momento della emissione della sentenza cassata, fermo restando, per le parti, il limite posto dall’art. 394 c.p.c., con conseguente impossibilità di richiedere nuove prove (salvo il deferimento del giuramento decisorio), di depositare nuovi documenti (ad eccezione di quelli che era stato impossibile produrre prima per causa di forza maggiore) o di prendere nuove conclusioni” (Cass. 8872/2014, 14101/2012, 9542/2003, 2085/2002). In particolare, è stato ripetutamente precisato che solo “quando la sentenza d’appello sia stata annullata per vizio di violazione o falsa applicazione di legge, che reimposti secondo un diverso angolo visuale i termini giuridici della controversia, così da richiedere l’accertamento dei fatti, intesi in senso storico o normativo, non trattati dalle parti e non esaminati dal giudice di merito perchè ritenuti erroneamente privi di rilievo, sono ammissibili anche le nuove prove che servano a supportare tale nuovo accertamento, non operando rispetto ad esse la preclusione di cui all’art. 345 c.p.c., comma 3” (Cass. 16180/2013; conf. Cass. 9768/2017, 27823/2018, 11178/2019).

8.2. Occorre altresì considerare che i motivi in disamina difettano anche di specificità, non fornendo tutti gli elementi di giudizio necessari per dare in ipotesi attuazione all’orientamento di questa Corte per cui, “in tema di giudizio di rinvio, l’efficacia preclusiva della sentenza di cassazione con rinvio opera solo con riferimento ai fatti che il principio di diritto enunciato presuppone come pacifici o come già accertati definitivamente in sede di merito. In caso diverso, quando la cassazione avvenga sia per vizi di violazione di legge che per vizi di motivazione, essa non incide sul potere del giudice di rinvio non solo di riesaminare i fatti, oggetto di discussione nelle precedenti fasi, non presupposti dal principio di diritto, ma anche nei limiti in cui non si siano già verificate preclusioni processuali o decadenze – di accertarne di nuovi da apprezzare in concorso con quelli già oggetto di prova” (Cass. 26108/2018, 22989/2018, 2652/2018, 16660/2017, 19424/2015).

9. Anche i vizi di violazione di legge veicolati con il quarto, il quinto e il sesto motivo sono inammissibili, poichè, sebbene prospettati come errores in iudicando, veicolano in realtà contestazioni sul merito della vicenda e sulla valutazione del materiale probatorio, così tendendo ad una rivisitazione degli apprezzamenti di fatto, riservati al giudice del merito. Al riguardo, le Sezioni Unite di questa Corte hanno di recente ribadito come sia “inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito” (Cass. Sez. U, 34476/2019).

10. Al rigetto del ricorso segue la condanna alle spese in favore del controricorrente, liquidate in dispositivo.

11. Sussistono i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, (Cass. Sez. U, 23535/2019).

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 22.000,00 per compensi, oltre a spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi liquidati in Eur6 200,00 ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 15 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2020

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