Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10090 del 18/05/2015


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Civile Sent. Sez. U Num. 10090 Anno 2015
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: AMENDOLA ADELAIDE

Data pubblicazione: 18/05/2015

SENTENZA

sul ricorso 22111-2014 proposto da:
DELUCA

STEFANO,

elettivamente

domiciliato

in

ROMA,

2015

LUNGOTEVERE

142

dell’avvocato ADRIANA COLTRIOLI, rappresentato e difeso

DEI

MELLINI

12,

presso

lo

studio

dagli avvocati GIUSEPPE PELLEGRINO, MARIA ALESSANDRA
PISANO, per delega in calce al ricorso;
I.

– ricorrente –

contro

CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI MILANO,
PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;

intimati

avverso la sentenza n. 81/2014 del CONSIGLIO NAZIONALE

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 24/03/2015 dal Consigliere Dott. ADELAIDE
AMENDOLA;
uditi

gli

avvocati

Giuseppe

PELLEGRINO,

Maria

Alessandra PISANO;
udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott.
UMBERTO APICE, che ha concluso per il rigetto del
ricorso.

FORENSE, depositata il 10/06/2014;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Milano inflisse all’avvocato Stefano De
Luca la sanzione della sospensione dall’attività professionale per mesi quattro,
ritenendolo colpevole di inosservanza dei doveri di lealtà e correttezza in relazione
alla notifica, per conto di Luca Ventura, di due atti di precetto a Massimo La Greca,

Propose gravame il professionista al Consiglio nazionale forense che, in data 10
giugno 2014, con la sentenza ora impugnata, lo ha accolto, per quanto di ragione,
riducendo la sanzione irrogata a due mesi di sospensione dall’esercizio della
professione.
Il ricorso del De Luca avverso detta pronuncia è affidato a sei motivi, articolati in più
profili.
Non si è difeso il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Milano.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1 Premette l’esponente che, in data 17 settembre 2008, all’esito del giudizio penale
svoltosi a carico di Massimo La Greca, per il reato di lesioni in danno di Luca
Ventura, venne affermata la penale responsabilità dell’imputato con conseguente
condanna dello stesso al risarcimento dei danni e al pagamento di una provvisionale
di euro 50.000,00, oltre euro 5.000,00 per spese legali.
Il successivo 3 ottobre 2008 il De Luca ricevette da Banca SAI s.p.a. un assegno
‘ bancario, emesso su ordine di Milano Assicurazioni s.p.a. (che, quale responsabile
,.
civile, non era stata citata, né era intervenuta nel processo penale), per l’importo di
euro 56.120,00, a titolo di risarcimento di tutti i danni subiti nel sinistro.
Rispose il legale precisando che la somma sarebbe stata trattenuta a titolo di mero
acconto su quanto effettivamente dovuto, contestualmente concedendo sette giorni di
tempo per l’eventuale richiesta di restituzione, ove la nuova imputazione di
pagamento non fosse stata accettata, di talché, decorso inutilmente il predetto
termine, l’assegno fu consegnato al cliente per l’incasso.

1

dopo che il suo assistito aveva già incassato la somma dagli stessi portata.

In data 23 gennaio 2009, e successivamente, in data 16 settembre 2009, l’avvocato
De Luca notificò al La Greca il titolo esecutivo e due distinti atti di precetto per
l’importo di euro 58.434,16. A entrambi si oppose il precettato.
Nel giudizio conseguente alla prima opposizione, con ordinanza del 25 novembre
2009, il giudice designato dispose la sospensione della efficacia esecutiva del titolo,

,

evidenziando l’apposizione della dicitura provvisionale, sopra l’atto di quietanza
spedito insieme all’assegno.
Aggiunge il deducente che entrambi i giudizi di opposizione si conclusero con
sentenza di accoglimento e condanna dell’opposto alle spese e ai danni per lite
temeraria. Precisa altresì che il giudizio civile tra il Ventura, il La Greca e Milano
Assicurazioni s.p.a. si è definitivamente concluso in data 7 maggio 2013 con una
transazione in base alla quale la società assicuratrice ha corrisposto al danneggiato un
residuo risarcimento nella misura di euro 1.200.000,00, oltre euro 127.000,00 per
spese.
Evidenzia infine che nella parte finale della sua motivazione il giudice disciplinare
aveva dato atto delle gravissime scorrettezze della società assicuratrice, consistite nel
tentativo di liberarsi dalla propria responsabilità debitoria mediante un’offerta a saldo
e stralcio di un importo risibile nonché nell’alterazione del quadro istruttorio,
costituito dalla produzione di una quietanza che recava la dicitura provvisionale, mai
I a lui inviata.
i
2.1 Tanto premesso, con il primo motivo l’impugnante denuncia violazione degli 13
C.E.D.U., 2043, 1183 e 1460 cod. civ., 6 del codice deontologico, nonché eccesso di
potere giurisdizionale.
Dedotto che nessuno degli illeciti di cui al Titolo IV del codice deontologicgvigente
al momento della commissione del fatto, era stato da lui consumato, di talché il
Consiglio circondariale nella contestazione aveva dovuto richiamare
necessariamente, ancorché implicitamente, l’art. 6 della predetta fonte, e cioè una
delle norme introduttive, poste a tutela degli interessi generali dell’avvocatura,
2

in ragione del già avvenuto pagamento delle somme dovute, segnatamente

l’esponente contesta che il predetto precetto, per la sua genericità, possa essere fonte
di responsabilità disciplinare; in ogni caso — assume — la sua condotta, innestatasi nel
contesto di rapporti con un avversario tutt’altro che corretto, non aveva leso
l’interesse al leale svolgimento della professione forense.
In particolare l’addebito ascrittogli — di non avere imputato il pagamento ricevuto alla

,

del credito vantato dal suo assistito e il palese tentativo della società assicuratrice di
liberarsi da ogni responsabilità con il versamento di una somma irrisoria. Ribadisce
all’uopo che la quietanza recante la dicitura provvisionale, esibita in giudizio, non gli
era mai stato inviata.
2.2 Con il secondo mezzo il ricorrente lamenta violazione degli artt. 1180 e 2909 cod.

civ.
Oggetto delle critiche è il diniego della qualificazione del pagamento effettuato dalla
società assicuratrice in termini di adempimento del terzo, ex art. 1180 cod. civ.,
laddove nessuna delle parti del rapporto in contestazione aveva mai parlato, in
relazione allo stesso, di esecuzione della sentenza di condanna al pagamento della
provvisionale. Deduce, sul punto, che Milano Assicurazioni, – neppure aveva
partecipato al processo penale, di tal ché, essendo ad essa inopponibile il giudicato
formatosi in quella sede, il pagamento spontaneamente effettuato non poteva essere
qualificato come esecuzione della stessa. Rileva che, in ogni caso, egli si era limitato
‘ ad intimare il pagamento della somma precettata, ma non aveva mai proceduto in via
esecutiva.
23 Con il terzo motivo, lamentando violazione degli artt. 2043 e 2044 cod. civ., 6 e 7

codice deontologico ed eccesso di potere giurisdizionale, l’esponente evidenzia che il
pagamento dell’importo precettato, quand’anche indebito, sarebbe stato ripetibile,
laddove per la sussistenza di un illecito disciplinare occorre la violazione di una
norma deontologica, sostenuta da un adeguato elemento psicologico. Aggiunge che,
in ogni caso, nella fattispecie, il suo comportamento doveva ritenersi scriminato dalle
scorrettezze della società assicuratrice.
3

provvisionale liquidata dal giudice penale — era insussistente a sol considerare l’entità

2.4 Con il quarto mezzo, deducendo violazione dell’ari 2043 cod. civ. ed eccesso di
potere per manifesta illogicità, il ricorrente sostiene che, mentre il primo atto di
precetto era stato deliberatamente volto a indurre la compagnia assicuratrice a versare
una somma che si sommasse al primo acconto già corrisposto, il secondo costituiva
null’altro che la prosecuzione della precedente iniziativa giudiziaria, sull’erroneo

all’art. 481 cod. proc. civ.

2.5 Con il quinto motivo, prospettando violazione degli artt. 2043 e 2044 cod. civ., il
ricorrente lamenta l’illogicità della decisione impugnata per non aver tenuto conto
della slealtà della condotta della società assicuratrice.
3 Ragioni di ordine logico consigliano di partire dall’esame del secondo, del quarto e
del quinto motivo di ricorso,nei quali sono esposte critiche che, articolate attraverso
argomentazioni strettamente connesse, appaiono preliminari rispetto a quelle
formulate negli altri mezzi.
Occorre muovere dalla considerazione che il Consiglio Nazionale Forense, da un lato,
ha dato atto che l’assegno spedito dalla società assicuratrice in adempimento della
condanna pronunciata dal giudice penale, era accompagnato da una quietanza in cui
si specificava che la somma veniva versata a titolo di “risarcimento di tutti i danni
subiti” dal Ventura, e, dall’altro, ha ritenuto indimostrato che sulla stessa fosse
apposta la scritta a mano “provvisionale”, segnatamente evidenziando che l’esistenza
i di due diciture contrastanti sul medesimo plico era fatto di per sé inverosimile.
Ora, le esposte censure, valorizzando gli esiti della ricostruzione dei fatti di causa
operata dalla Corte territoriale, ruotano intorno alla plausibilità della imputazione
della somma di euro 56.120,00, versata da Milano Assicurazioni, non già all’importo
liquidato dal giudice penale, ma alla maggiore somma pretesa dall’infortunato, con
conseguente qualificabilità in termini di mero acconto di quel pagamento e
persistente azionabilità del titolo esecutivo costituito dalla provvisionale. Secondo la
linea difensiva del ricorrente, cioè, proprio il tentativo della società assicuratrice di
chiudere il sinistro con il versamento di questo importo soltanto — palesato dall’invio
4

presupposto che la proposizione dell’opposizione non sospendesse il termine di cui

di una quietanza nella quale la causale del pagamento era indicata nel risarcimento di
tutti i danni subiti dal Ventura — insieme alla mancata risposta della società alla

richiesta di chiarimenti avanzata dal professionista, avrebbe legittimato la mancata
imputazione della somma corrisposta alla penale e, conseguentemente, l’autonoma
precettabilità della stessa.

il primo, sarebbe poi stato frutto di un mero errore processuale che, insieme alla
rilevata estinzione del credito azionato, era già stato pesantemente sanzionato dal
giudice civile con l’accoglimento delle opposizioni proposte dall’ingiunto e la
condanna del precettante alle spese e ai danni per lite temeraria.
4 Le critiche sono tuttavia prive di pregio.

E invero, la pur abile prospettazione difensiva del’incolpato non vale a scalfire
l’ineccepibile rigore logico del rilievo, svolto dal giudice disciplinare, secondo cui la
circostanza che il pagamento della società assicuratrice era intervenuto ad oltre tre
anni dal sinistro, ma a pochi giorni dalla pronuncia della sentenza penale, con un
importo del tutto corrispondente a quanto liquidato per capitale, spese legali e
accessori, imponeva senz’altro di imputarlo alla provvisionale colà liquidata, di
talché la pretesa di agire in executivis per riscuotere quest’ultima, non poteva ritenersi
improntata a lealtà. A ciò aggiungasi che neppure può tacciarsi di irragionevolezza la
ritenuta implausibilità di un’erronea ricognizione del disposto dell’art. 481 cod. proc.
! civ. come fattore determinante della notifica della seconda intimazione di pagamento,
considerato che la regola della sospensione del termine di efficacia del precetto, ove
contro lo stesso venga presentata opposizione, segue immediatamente la
determinazione in novanta giorni della sua durata.
Infine il richiamo all’istituto di cui all’art. 1180 cod. civ. costituisce un’arma
spuntata, posto che l’adempimento del terzo comporta comunque l’estinzione
dell’obbligazione, come del resto ben mostrò di sapere l’opponente, allorché
comunicò alla società assicuratrice la diversa imputazione che intendeva dare al
pagamento.
5

Nell’ambito di siffatta strategia difensiva, l’invio di un secondo atto di precetto, dopo

5 Quanto sin qui esposto consente di meglio cogliere le ragioni della infondatezza
anche dell’assunto, segnatamente svolto nel primo e nel terzo motivo, di inidoneità
del disposto dell’art. 6 del codice deontologico, nel testo vigente ratione temporis, a
essere fonte di responsabilità disciplinare.
È sufficiente al riguardo considerare che l’obbligo dell’avvocato di ispirare la propria

preciso e speculare riscontro nel disposto dell’art. 88 cod. proc. civ., che non solo
sancisce il dovere delle parti e dei loro difensori di comportarsi in giudizio con lealtà
e probità, ma impone altresì al giudice, ove il patrocinatore lo infranga, di riferirne
all’autorità disciplinare.
A ciò aggiungasi che il primo comma dell’art. 92 prevede la trasgressione del dovere
di cui all’art. 88 cod. proc. civ. — sovrapponibile, si ripete, all’art. 6 del codice
deontologico — come autonoma ragione di rimborso delle spese, anche non ripetibili.
Trattasi di indici normativi che inequivocabilmente danno tono e rilevanza
disciplinare alla violazione del dovere deontologico innanzi richiamato. Ne deriva,
venendo al caso di specie, che correttamente il Consiglio dell’Ordine ha negato alle
indubbie opacità delle condotte della società assicuratrice efficacia scriminate di
scelte processuali che, provenendo da un tecnico del diritto, potevano e dovevano
essere diversamente orientate.
Il ricorso è respinto.
! Nulla va disposto in ordine alle spese processuali, non avendo gli intimati svolto
attività difensiva.
La circostanza che il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30
gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1 quater,
d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24
dicembre 2012, n. 228. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il
rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore
contributo unificato costituisce un atto dovuto, poiché l’obbligo di tale pagamento
aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo — ed
6

condotta all’osservanza dei doveri di probità, dignità e decoro, colà sancito, ha un

altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione — del rigetto integrale
o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione,
muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro
dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione
delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione.

La Corte, pronunciando a sezioni unite, rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso /m:int:rate,
a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13.
Roma, 24 marzo 2015

P.Q.M.

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