Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10089 del 18/05/2015


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Civile Sent. Sez. U Num. 10089 Anno 2015
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: AMENDOLA ADELAIDE

Data pubblicazione: 18/05/2015

SENTENZA
sul ricorso 25554-2013 proposto da:
LANZANI CARLO, OLIVARI MAFALDA MARIA, elettivamente
2015

domiciliati in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 71, presso lo

141

studio dell’avvocato ANDREA DEL VECCHIO, che li
rappresenta e difende unitamente all’avvocato PIERLUIGI
TIRALE, per delega a margine del ricorso;
– ricorrenti –

contro

CONDOMINIO IL PORTO DI TOSCOLANO MADERNO, in persona
dell’Amministratrice pro-tempore, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA ANTONIO BOSIO 2, presso lo
studio dell’avvocato LORENZO GRISOSTOMI TRAVAGLINI, che

ENRICO BERTONI, ENZO BARILA 1 , per delega in calce al
controricorso;
controrlcarrenti nonché contro

AGENZIA DEL DEMANIO, REGIONE LOMBARDIA, MINISTERO
DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;
– intimati –

avverso la sentenza n. 123/2012 del TRIBUNALE SUPERIORE
DELLE ACQUE PUBBLICHE, depositata il 28/09/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 24/03/2015 dal Consigliere Dott. ADELAIDE
AMENDOLA;
uditi gli avvocati Andrea DEL VECCHIO, Enzo BARILA’;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIOVANNI GIACALONE, che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Carlo Lanzani e Mafalda Maria Olivari in Lanzani, con citazione notificata il 20
giugno 2010, convennero innanzi al Tribunale di Brescia, sezione distaccata di Salò,
il Condominio D Porto, ubicato in Toscolano Maderno, l’Agenzia del Demanio, il
Ministero dell’Economia e delle Finanze e la Regione Lombardia, esponendo che

un canaletto, ad uso darsena, prospiciente il lago di Garda, accessibile, dalla
terraferma, da un fabbricato di antica costruzione, l’ex palazzo Fioravanti, frazionato
in più unità immobiliari costituenti il predetto Condominio; che al canaletto si
accedeva da una porta esistente sul lato nord dell’edificio principale, eretto sopra il
mappale 920 del folio 33, di loro proprietà esclusiva; che, invero, solo nell’atto con
cui essi avevano acquistato era menzionata la cessione della suddetta area.
/
Sulla base di tali premesse, chiesero gli attori che il convenuto venisse condannato a
rimuovere la scaletta che, sin dagli anni ’80, aveva apposto sul greto.
Nel contestare la domanda, la controparte sostenne la natura demaniale della
superficie in contestazione di talché il giudice adito rimise la decisione della
questione pregiudiziale così sollevata al Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche
di Milano, dichiarandosi incompetente in ordine alla stessa e sospendendo il giudizio
in corso.
„ Con sentenza del 30 giugno 2010 il Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche
„ presso la Corte d’appello di Milano dichiarò la natura demaniale del canaletto.
In motivazione il decidente, premesso che era estranea al thema decidendum la
verifica, chiesta dai ricorrenti, della linea di confine tra il demanio lacuale e la loro
proprietà, rilevò che il greto era parte inscindibile dall’alveo, del quale costituiva, in
sostanza, la spiaggia.
Proposto gravame dai soccombenti, il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche,
con la sentenza ora impugnata, emessa in data 28 settembre 2012, lo ha respinto.
Il ricorso di Carlo Lanzani e di Mafalda Maria Olivari in Lanzani è affidato a un solo,
articolato motivo, illustrato anche da memoria.
i

Immobiliare Garda Invest s.r.1., loro dante causa, aveva ad essi ceduto tutti i diritti su

Ha risposto con controricorso il Condominio Il Porto, mentre non si sono difesi gli
altri intimati Regione Lombardia, Ministero dell’Economia e delle Finanze, Agenzia
del Demanio.

MOTIVI DELLA DECISIONE
I Con l’unico motivo gli impugnanti denunciano violazione dell’art. 22, legge n.

discussione tra le parti nonché mera apparenza della motivazione.
Le critiche si appuntano contro l’affermazione del giudice a quo secondo cui
correttamente era stata ritenuta la natura demaniale del greto, tenuto conto che è a tal
fine sufficiente la possibilità di accesso, di approdo e di sosta, sull’area interessata, da
parte della collettività; che, nello specifico, il canaletto era fruibile da parte degli
utenti mediante approdo dal lato est del lago; che peraltro era ancora esistente un
vicolo di collegamento con la via Madonnina del Porto, la cui destinazione, tenuto
conto del disposto dell’art. 22 della legge n. 2248 del 1865, non poteva ritenersi
venuta meno per la costruzione di un muro che impediva l’ingresso, fatto inidoneo a
provare la volontà del Comune di rinunciare al ripristino del collegamento.
Sostengono per contro gli esponenti che la decisione, richiamando la nozione di

astratta accessibilità del sito, farebbe malgoverno dell’affermazione del Supremo
Collegio secondo cui, con riferimento alle strade comunali, la presunzione di
demanialità sancita dall’art. 22 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. F), non si
riferisce ad ogni area contigua e/o comunicante con la strada pubblica, ma solo a quelle
aree che per l’immediata accessibilità, assolvano una funzione integratrice della viabilità,
così da costituire una pertinenza della strada stessa (confr. Cass. civ. 18 aprile 2011, n.
8876).
La sentenza impugnata sarebbe altresì viziata nella parte in cui si era immotivatamente
discostata dalle conclusioni del consulente tecnico, che aveva escluso l’idoneità all’uso
pubblico dell’area, in quanto isolata dalla strada da un muro di antica costruzione e
accessibile solo dai privati, attraverso porte situate all’interno degli edifici; nonché nella
parte in cui aveva desunto la demanialità anche dalla circostanza che, una porzione,
ancorché piccola, della stessa, era collocata a livello inferiore al limite dell’alveo ed era
2

2248 del 1865, all. F, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di

perciò sommergibile durante le piene ordinarie, senza considerare che, secondo gli
accertamenti dell’ausiliario, solo una superficie pari all’I% del canaletto versava in dette
condizioni.
2 Le critiche sono, per certi aspettynammissibili, per altri infondate.
Occorre muovere dalla considerazione che il Tribunale Superiore, dopo avere esplicitato
gli elementi in base ai quali andava riconosciuta la possibilità di uso pubblico del

Madonnina del Porto, ha evidenziato che, in base agli accertamenti del consulente
tecnico, una porzione dell’area utilizzata dai ricorrenti per l’alaggio del natante e dal
Condominio per l’installazione della scaletta si trovava in riva al lago, mentre altra parte
della stessa, ancorché piccola, era inferiore al limite demaniale dell’alveo ed era perciò
sommergibile durante le piene ordinarie, così confermando la decisione di prime cure in
punto di demanialità della superficie in contestazione in ragione della sua qualificabilità,
parte in termini di spiaggia e parte in termini di alveo.
3 Ora, a fronte di tale percorso argomentativo, gli impugnanti incentrano le loro
doglianze sul preteso malgoverno del disposto dell’art. 22, legge n. 2248 del 1865C2, ali.
F, nella parte in cui dispone che nell’interno delle città e dei villaggi fanno parte del
demanio comunale le pia7ze, gli spazi e i vicoli ad esse adiacenti e aperti sul suolo
pubblico, senza considerare che il giudice a quo non si è affatto occupato della
demanialità del vicolo di collegamento con la via Madonnina del Porto ma,
menzionandone l’esistenza e l’attuale condizione di inutilizzabilità a causa della
costruzione di un muro, ha ribadito l’inidoneità della tolleranza di un’opera antropica
che finiva per interdire il libero e generalizzato accesso al greto del lago dalla terraferma,
a determinarne la sdemanializzazione, in continuità con la consolidata giurisprudenza di
queste Sezioni unite, secondo cui la sdemanializzazione tacita non può desumersi dalla
sola circostanza che un bene non sia più adibito anche da lungo tempo ad uso pubblico,
ma è ravvisabile solo in presenza di atti e fatti che evidenzino in maniera inequivocabile
la volontà della P.A. di sottrarre il bene medesimo a detta destinazione e di rinunciare
definitivamente al suo ripristino (confr. Cass. sez. un. 26 luglio 2002, n. 11101).

3

canaletto, richiamando all’uopo anche l’esistenza del vicolo di collegamento con la via

4 Ne deriva che la denunciata violazione di legge è inammissibile, perché eccentrica
rispetto alla ratio decidendi della sentenza impugnata, che, senza occuparsi della natura
giuridica del vicolo di collegamento con la via Madonnina del Porto, ha confermato la
demanialità in ragione della natura, per una piccola parte, di alveo, e, per la restante
parte, di spiaggia, del greto, sul presupposto, quanto alla prima, dell’essere la stessa

all’approdo, e quindi alla sosta e alla fruizione da parte degli utenti provenienti dal lago.
5 Va qui invero ribadito che il demanio lacuale, analogamente al demanio marittimo,
comprende non solo l’alveo, e cioè l’estensione che viene coperta dal bacino idrico
con le piene ordinarie, ma anche la spiaggia, e cioè il tratto di terra contiguo all’alveo
e necessario per i pubblici usi del lago, quali il trasporto delle persone e delle cose da
una sponda all’altra, il diporto, l’esercizio della pesca: in particolare, ai predetti fini,
l’alveo va determinato con riferimento alle piene ordinarie allo sbocco del lago, e,
quindi, mediante dati emergenti da rilevamenti costanti nel tempo, i quali siano
idonei a identificare la normale capacità del bacino idrografico, al di fuori di
perturbamenti provocati da cause eccezionali; mentre la spiaggia, alla stregua della
suindicata natura, deve essere individuata mediante accertamenti specifici, per ogni
singolo tratto della riva, rivolti a stabilire, in relazione alle caratteristiche dei luoghi,
la porzione di terreno coinvolta dalle menzionate esigenze generali.
Né è poi superfluo evidenziare che alla sostanziale equiparazione dei criteri di
rilevamento del demanio marittimo e di quello lacuale (confr. Cass. civ. sez. un. 13
novembre 2012, n. 19703; Cass. civ. sez. un. 14 dicembre 1981, n. 6591) —
equiparazione peraltro già presente nel diritto romano (confr. Dig. 50, 16, fr. 112, che,
dopo l’affermazione della natura pubblica del litorale marino, aggiunge: idem iuris est
in lacu, nisi is totus privatus est) — queste Sezioni unite sono pervenute sia sulla base del
rilievo, di ordine logico, che l’estensione della demanialità alla spiaggia lacuale è
giustificata dalle stesse esigenze che determinano la demanialità in genere, posto che la
limitazione della proprietà pubblica all’alveo, ne renderebbe illusoria l’utilizzazione da
parte della collettività; sia sull’abbrivio dei testi normativi che presuppongono la
demanialità delle spiagge lacuali, quali il r. d. 10 dicembre 1985, n. 726 (Approvazione
4

posta al di sotto delle piene ordinarie, e, quanto alla seconda, della sua sicura idoneità

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del regolamento per la vigilanza e per le concessioni delle spiagge dei laghi pubblici
e delle relative pertinenze: segnatamente artt. 1, 4, 5-33), il r.d. 25 luglio 1904, n. 523
(Testo unico delle disposizioni di legge intorno alle opere idrauliche delle diverse
categorie: art. 97), il r.d. 18 maggio 1931, n. 544 (Concentramento nel Ministero dei
lavori pubblici di servizi relativi alla esecuzione di lavori pubblici per conto dello
6 Quanto ai denunziati vizi motivazionali, le critiche, pur astrattamente parametrate sul

nuovo testo dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., sono volte a sostenere l’esistenza di
pretese incongruenze e lacune dell’apparato argomentativo con il quale il decidente
ha giustificato la sua decisione, laddove la norma, per come novellata dal d.l. n. 83
del 2012, conv. con modif. in 1. n.134 del 2012 (applicabile ai ricorsi avverso le
sentenze pubblicate, come quella in esame, successivamente al 11 settembre 2012),
limita il sindacato della Corte di cassazione sulla motivazione all’omesso esame circa
un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Ciò
significa che la norma postula la denuncia di una motivazione graficamente assente o
meramente apparente, cui va equiparata quella articolata in affermazioni tra loro
radicalmente e insanabilmente contraddittorie. In particolare, nel rigoroso rispetto
delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod.
proc. civ., il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il
dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto
sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando
che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame
di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso
in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le
risultanze probatorie (confr. Cass. civ. sez. un. 7 aprile 2014 n. 8053): il che non è
certamente riscontrabile nella decisione impugnata, la quale, per quanto innanzi detto,
ha argomentatamente escluso la sussistenza dei presupposti per negare la demanialità
dell’area.
Il ricorso deve in definitiva essere integralmente rigettato.
Segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio.

Stato: art. 2, comma 2).

La circostanza che il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30
gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1 quater,
d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24
dicembre 2012, n. 228. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il
rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore

aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo — ed
altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione — del rigetto integrale
o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione,
muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro
dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione
delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione.
P.Q.M.
La Corte a sezioni unite rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese di giudizio, liquidate in complessivi euro 5.200,00 (di cui euro 200,00 per
esborsi), oltre spese generali e accessori, come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ~,
a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13.
Roma, 24 marzo 2015

contributo unificato costituisce un atto dovuto, poiché l’obbligo di tale pagamento

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