Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10088 del 09/05/2011

Cassazione civile sez. I, 09/05/2011, (ud. 09/02/2011, dep. 09/05/2011), n.10088

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso iscritto al n. 22522 del R.G. anno 2005 proposto da:

G.R., G.A., G.F., C.

L., elettivamente domiciliati in ROMA, Via Val di Lanzo 79

presso l’avvocato IACONO QUARANTINO Giuseppe e rappresentati e difesi

dall’avvocato medesimo giusta procura speciale 22.3.2011;

– ricorrenti –

contro

Comune di Palermo, in persona del Sindaco in carica dom.to presso la

cancelleria della Cassazione con l’avv. CRISCUOLI di Palermo;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1066 della Corte d’Appello di Palermo

depositata il 29.09.2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

14.4.2011 dal Consigliere Dott. Luigi MACIOCE;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato Iacono Quarantino che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LETTIERI Nicola, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

G.S., proprietario di un immobile (appartamento di mq. 140 e circostante terreno di mq. 139) sito nel Comune di Palermo ed occupato dal Comune, per la realizzazione dell’opera pubblica stradale (raccordo circonvallazione – strada (OMISSIS)), convenne l’Ente in data 16.3.1994 innanzi al Tribunale di Palermo per il risarcimento del danno patito per effetto della irreversibile trasformazione dell’immobile, occupato, demolito ma non espropriato.

Il Tribunale adito, con sentenza 28.12.2002, condannò il Comune a pagare la somma di Euro 51.645,69 oltre interessi e spese.

La Corte di Palermo con sentenza 29.9.2004, ha affermato: che in ordine alla pretesa autonoma e separata risarcibilità, in vicenda di occupazione appropriativa, del fabbricato e dell’area di sedime sottostante, essa doveva essere esclusa essendosi correttamente determinato il valore dell’immobile demolito, secondo il parametro del costo di ricostruzione, e quindi un valore unitario del bene perduto; che era stata poi anche riconosciuta la risarcibilità dell’area pertinenziale all’immobile; che, con riguardo alla domanda afferente l’indennità di occupazione legittima, nessuna domanda era stata espressamente posta innanzi alla Corte, giudice competente in unico grado al proposito, e neanche come capo autonomo dell’atto di appello.

Per la cassazione di tale sentenza i sigg.ri G. – C., quali eredi del G.S., hanno proposto ricorso con tre motivi in data 16.9.2005, resistito dal Comune di Palermo con controricorso.

I ricorrenti hanno depositato memoria finale e procura speciale relativa alla costituzione del nuovo difensore, il quale ha illustrato oralmente le sue difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti si dolgono del fatto che, pur ammessa ed in diritto indiscutibile la non separata risarcibilità dell’area di sedime, essa doveva essere comunque risarcita in sede di valutazione del valore unitario del fabbricato demolito e che, contraddittoriamente, la Corte aveva valutato solo il fabbricato alla stregua del calcolo del CTU fatto sul solo costo di ricostruzione del manufatto nella errata prospettiva della futura restituzione dell’area agli aventi diritto (perchè non ancora irreversibilmente trasformata alla data delle operazioni peritali).

Con il secondo motivo si censura la non liquidazione della indennità da occupazione legittima.

Con il terzo motivo ci si duole della parziale compensazione delle spese, ingiustificata ed immotivata.

Ritiene il Collegio che, inammissibile il secondo motivo, meriti piena condivisione la censura contenuta nel primo motivo, nel correlato effetto rescindente restando assorbita la cognizione del terzo mezzo (afferente le spese del giudizio di merito).

E’ dunque inammissibile la censura di cui al secondo mezzo – per la quale si sarebbe dovuta liquidare l’indennità di occupazione legittima e per tutto il tempo di durata della occupazione stessa, quale prorogata: la censura neanche si avvede della specifica ratio deciderteli posta dalla Corte di merito a base della sua decisione di non ricevere la pretesa indennitaria articolata in appello; la Corte, infatti, ha rammentato che invece di proporre in primo grado, e quindi a giudice non competente, una generica domanda di pagamento dei frutti persi per la indebita demolizione dell’appartamento, si sarebbe dovuta proporre nella citazione in appello domanda, al giudice competente in unico grado, relativa alla indennità di occupazione legittima e che, non proposta tal domanda, la censura afferente i suddetti “frutti” era priva di plausibilità. Tale statuizione non risulta nè impugnata nè tampoco compresa sì che il motivo va respinto.

Piena condivisione merita invece la censura volta alla decisione della Corte di convalidare il risarcimento liquidato in primo grado alla stregua del criterio del “costo di ricostruzione” dell’immobile sull’assunto che, essendo l’area di sedime insuscettibile di separata valutazione indennitaria, comunque il criterio peritale del costo di ricostruzione avrebbe attinto risultati incongrui.

Reputa il Collegio che l’errore commesso, nell’escludere, rettamente, una separata valutazione dell’area ma non procedendo ad adottare un corretto criterio di valutazione di essa inclusivo, sia evidente e che il generico richiamo ad un risultato comunque “congruo” non fornisca alcuna base logica alla valutazione operata.

Sotto il primo profilo è ben certo che l’area di sedime non è suscettibile di separata valutazione da quella afferente il fabbricato demolito ed espropriato che su di essa si erigeva, tale area dovendo essere semplicemente compresa nella valutazione del valore venale del medesimo fabbricato (Cass. 5528 del 2006, 7981 del 2007, 12472 del 2008 e n. 1488 del 2011).

Ed è dunque evidente che, come in altra e recente occasione rilevato (Cass. n. 13686 del 2010), le volte in cui si verta in tema di valutazione del danno da irreversibile trasformazione di un’area in parte occupata da un fabbricato, è del tutto fuorviante fare capo al criterio estimativo del costo di “ricostruzione” dei manufatti demoliti atteso che tale criterio appare plausibile per apprezzare il danno da mera demolizione a carico di un soggetto che, permanendo nella proprietà dell’area, debba o possa procedere alla ricostruzione stessa ma non appare plausibile e congruo ove si tratti di valutare il danno da irreversibile perdita della proprietà dell’immobile, danno costituito inscindibilmente dalla perdita dell’area e del sovrastante manufatto.

Sotto il secondo profilo appare di totale evidenza la illogicità dell’affermazione per la quale il valore stimato secondo il criterio di ricostruzione sia “congruo” in termini di globale satisfattività atteso che tale criterio, per definizione, non può includere sotto alcuna voce o titolo il valore dell’area sulla quale si ricostruisce.

Va pertanto, in accoglimento del motivo, cassata la sentenza e va disposto il rinvio alla stessa Corte per la valutazione del valore nei termini sopra indicati, per l’esame del motivo qui dichiarato assorbito, ed infine per regolare le spese anche del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei termini esposti in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Palermo in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 14 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2011

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