Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10087 del 27/04/2010

Cassazione civile sez. lav., 27/04/2010, (ud. 02/03/2010, dep. 27/04/2010), n.10087

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

T.C. e S.M., elettivamente domiciliati

in ROMA, viale DELLE MILIZIE n. 38, presso lo studio dell’avvocato

GALLEANO SERGIO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

ZEZZA LUIGI per procura a margine del ricorso introduttivo;

– ricorrenti –

contro

POSTE ITALIANE SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, via L.G. FARAVELLI n. 22, presso

lo studio dell’avvocato MARESCA ARTURO, che la rappresenta e difende

per procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 9783/2009 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il

27/05/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

02/03/2010 dal Consigliere Dott. MAMMONE Giovanni;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO E DIRITTO

Con ricorso al giudice del lavoro di Roma, T.C. e S.M. impugnavano il licenziamento loro intimato da Poste Italiane s.p.a. per essersi allontanati ingiustificatamente dal servizio dal (OMISSIS), nonostante una richiesta di concessione di ferie per il periodo in questione fosse stata rigettata.

Costituitasi giudizio, la convenuta deduceva che i licenziamenti erano stati impugnati anche da un sindacato dinanzi al giudice del lavoro di Cremona ex art. 28 statuto lavoratori, sul presupposto che la sanzione irrogata ai due dipendenti costituisse condotta antisindacale, atteso che gli stessi si erano allontanati dal lavoro per svolgere attività sindacale.

Considerato che, rigettata la domanda cautelare, contro il decreto di rigetto il sindacato aveva proposto opposizione, Poste Italiane eccepiva la continenza tra le due cause e chiedeva che fosse dichiarata la competenza del giudice del lavoro di Cremona, in quanto preventivamente adito.

Il giudice del lavoro di Roma, con sentenza ex art. 281 sexies c.p.c. depositata il 27.5.09, rilevato che i due giudizi erano interdipendenti e che esisteva la continenza, dichiarava competente il giudice di Cremona che era stato preventivamente adito.

Proponevano ricorso per regolamento di competenza i due dipendenti.

Poste Italiane ha depositato memoria ex art. 47 c.p.c..

Il consigliere relatore ha depositato relazione ex art. 380 bis c.p.c., che è stata comunicata al Procuratore generale ed è stata notificata ai difensori costituiti.

I ricorrenti hanno depositato memoria.

Il ricorso è inammissibile.

Il procedimento in questione cade sotto il regime processuale del giudizio di legittimità introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, ai sensi dell’art. 27 dello stesso decreto legislativo, di modo che deve riscontrarsi se il ricorso possegga i requisiti richiesti dal nuovo rito.

L’art. 42 c.p.c. prevede che “la sentenza che, pronunciando sulla competenza anche ai sensi degli artt. 39 e 40 non decide il merito della causa e i provvedimenti che dichiarano la sospensione del processo ai sensi dell’art. 295 c.p.c. possono essere impugnati soltanto con istanza di regolamento di competenza”, la quale, per il successivo art. 47, “… si propone alla Corte di cassazione con ricorso sottoscritto ecc…. “. Tale richiamo, impone una valutazione circa i requisiti che il ricorso deve possedere all’atto della sua presentazione, in particolare con riferimento alle modalità di formulazione dei quesiti previste dall’art. 366 bis c.p.c., per il quale “nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3, 4, l’illustrazione di ciascun motivo si deve concluderti, a pena d’inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto”.

Il regolamento di competenza (necessario o facoltativo, artt. 42 – 43 c.p.c.) ha natura di mezzo di impugnazione (art. 323 c.p.c.) e, pertanto, il ricorso è sul piano funzionale accomunato al ricorso ordinario presentato ai sensi dell’art. 360 c.p.c.. Il n. 2 di questo articolo, nel prevedere che le sentenze pronunziate in appello o in unico grado possono essere impugnate con ricorso per Cassazione “per violazione delle norme sulla competenza, quando non è prescritto il regolamento di competenza”, intende riaffermare la specificità del regolamento ma non distinguerlo dal ricorso ordinario per quanto riguarda il regime processuale del mezzo di impugnazione. Consegue, pertanto, che anche il ricorso per regolamento di competenza debba possedere i requisiti di contenuto previsti dagli artt. 366 e 366 bis c.p.c., di modo che, per quanto qui rileva, il ricorso che impugna la sentenza per questione di competenza, anche in sede di regolamento, deve contenere la formulazione del quesito di diritto.

Con la memoria depositata in occasione della discussione, parte ricorrente sostiene che il quesito potrebbe essere facilmente estrapolato dal contesto del ricorso.

Al riguardo va sottolineato che l’art. 366 bis c.p.c. impone che l’illustrazione di ciascun motivo si debba concludere con la formulazione del quesito di diritto non per un puntiglioso formalismo, ma allo scopo di circoscrivere in termini concisi la questione di diritto che viene sottoposta al collegio in relazione al vizio denunziato. Non può, invece, “ritenersi sufficiente il fatto che il quesito di diritto può implicitamente desumersi dal motivo di ricorso, perchè, una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma di cui all’art. 336 bis c.p.c. che ha introdotto… il rispetto del requisito formale che deve esprimersi nella formulazione di un esplicito quesito di diritto, tale da circoscrivere la pronunzia del giudice nei limiti di un accoglimento o di un rigetto del quesito formulato dalla parte” (Cass.. S.u., 16.11.07 n. 23732).

Non avendo i due ricorrenti sottoposto alla Gatte alcun quesito, nonostante i rilevanti aspetti di diritto toccati dalla loro richiesta di regolamento, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese di giudizio, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese, che liquida in Euro 30,00 per onorari ed in Euro 2.000,00 (duemila/00) per onorari, oltre spese generali, Iva e Cpa.

Così deciso in Roma, il 2 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2010

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