Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10087 del 18/05/2015


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 10087 Anno 2015
Presidente: CECCHERINI ALDO
Relatore: DIDONE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 9431-2009 proposto da:
CONTRINO

ANGELO

Cc. f.

CNTNGL71P19D960P),

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FEDERICO CESI
21, presso l’avvocato PATRIZIA PARENTI, che lo

Data pubblicazione: 18/05/2015

rappresenta e difende, giusta procura a margine del
ricorso;
– ricorrente –

2015
625

contro

FALLIMENTO AURELIA IMMOBILIARE S.R.L.;

intimato

1

avverso il provvedimento del TRIBUNALE di MONZA,
depositato il 04/03/2009th-11)0g
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 09/04/2015 dal Consigliere Dott. ANTONIO
DIDONE;

riporta agli atti;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUIGI SALVATO che ha concluso per
l’inammissibilità del terzo motivo, accolti il primo
e secondo motivo.

t

4

udito, per il ricorrente, l’Avvocato PARENTI che si

a

.,

2

Ragioni in fatto e in diritto della decisione
3

1.- Con contratto preliminare sottoscritto in data 2 aprile
..

2007, registrato in data 13 aprile 2007, l’avvocato Angelo
Contrino si è impegnato ad acquistare dalla s.r.l. Aurelia

versando contestualmente la somma di euro 19.000 a titolo
di caparra confirmatoria. Il contratto prevedeva che
l’ulteriore somma di euro 13.000, oltre IVA, sarebbe stata
versata dal promissario acquirente entro il 30 luglio 2007,
mentre il saldo di euro 6.000, oltre IVA, sarebbe stato
erogato al momento della stipula del contratto definitivo,
cioè entro il 28 febbraio 2008.
Il contratto preliminare è stato successivamente confermato
e rinnovato ai fini della trascrizione con atto in data 29
ottobre 2007, autenticato dal notaio.
Con atto notificato in data 3 marzo 2008, trascorso
inutilmente il termine del 28 febbraio 2008 per la
stipulazione del rogito, Angelo Contrino ha esercitato il
diritto di recesso, ai sensi dell’articolo 1385, secondo
comma, cod. civ., chiedendo la restituzione dell’importo di
euro 38.000, pari al doppio della caparra versata, nonché
della somma di euro 14.300 relativa all’acconto prezzo.
Intervenuto il fallimento della società promittente
venditrice, il Contrino ha insinuato al passivo il proprio
credito che è stato ammesso per la somma corrispondente
alla caparra confirmatoria ed all’acconto prezzo mentre –

,
.g(,,2,
7———

Immobiliare un’autorimessa per il prezzo di euro 38.000,

per quanto ancora interessa – è stato escluso dal giudice
delegato il credito di euro 19.000, pari al danno
predeterminato conseguente alla dazione della caparra.
Con il provvedimento impugnato (depositato il 4.3.2009) il
Tribunale di Monza ha rigettato l’opposizione proposta dal

Contrino.
In estrema sintesi il giudice del merito ha rilevato che la
pronuncia di risoluzione contrattuale ex articolo 1456 cod.
civ. è, infatti, opponibile ,
al fallimento solo quando sia stata “quesita” prima della
relativa dichiarazione, attraverso la trascrizione della
domanda giudiziale per effetto del combinato disposto degli
articoli 2915 cod. civ. e 45 legge fallimentare (Cass. 9
dicembre 1998 n. 12396).
Nella fattispecie, la pretesa risarcitoria fondata sul
presupposto dell’avvenuta risoluzione del contratto
anteriormente al fallimento era stata proposta non nei
confronti della società in bonis e poi proseguita contro il
fallimento, bensì direttamente verso quest’ultimo dopo la
dichiarazione di fallimento, sia pur in relazione ad un
inadempimento anteriore. L’esercizio del recesso ex art.
1385 cod. civ., effettuato prima della sentenza
dichiarativa di fallimento, era privo di effetti rispetto
ai creditori in quanto non posto a base di una successiva
domanda giudiziale, trascritta prima della dichiarazione di

4

fallimento, o di un altro atto seguito dalle formalità
necessarie per renderlo opponibile ai terzi.
1.1.- Contro il decreto del tribunale il Contrino ha
proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
Non ha svolto difese la curatela intimata.

Nel termine di cui all’art. 378 c.p.c. parte ricorrente ha
depositato memoria.
2.1.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione
di norme di diritto e formula – ai sensi dell’art. 366 bis
c.p.c., applicabile ratione temporis un pertinente
quesito. Deduce che, allorquando in un contratto a
prestazioni corrispettive sia pattuita la caparra
confirmatoria ai sensi dell’art. 1385 c.c., l’effetto
risolutorio del contratto previsto nel secondo comma
dell’art. 1385 c.c. deriva dalla legge per effetto della
dichiarazione della parte non inadempiente rivolta ad
avvalersi del diritto di recesso ex art. 1385, secondo
coma, c.c., come pure nel caso in cui sia pattuita
clausola risolutiva espressa l’effetto risolutorio consegue
di diritto alla dichiarazione della parte che intende
avvalersi della clausola risolutiva espressa ai sensi
dell’art 1456, secondo comma, c.c., pertanto la domanda
della parte non inadempiente rivolta ad ottenere il doppio
della caparra confirmatoria versata è da qualificarsi quale
domanda di condanna, mentre non è necessaria la
proposizione di domanda giudiziale al fine di determinare
5

la risoluzione del contratto, che si produce per effetto
del recesso.
2.2.- Con il secondo motivo denuncia violazione di norme di
diritto e deduce, in sintesi, che, nel caso di recesso ex
art. 1385 c.c., come nel caso di dichiarazione rivolta ad

avvalersi della clausola risolutiva espressa ex art. 1456
c.c., gli effetti costitutivi rappresentati dallo
scioglimento del vincolo contrattuale sono da ricollegarsi
all’atto stragiudiziale con il quale la parte non
inadempiente comunica all’altra parte lo scioglimento del
vincolo.
Formula un pertinente quesito ai sensi dell’art. 366 bis
c.p.c. e deduce che le disposizioni degli artt. 2915 c.c. e
45 1. fall. comportano che allorché il promissario
acquirente di un immobile in possesso del promissario
venditore fallito abbia esercitato il recesso ex art 1385
c.c., la pretesa alla restituzione del doppio della caparra
versata è opponibile ai creditori concorrenti nel
fallimento del promissario venditore a condizione che
l’atto di recesso abbia data certa anteriore al fallimento,
mentre non è necessaria la trascrizione di domanda di
risoluzione in quanto tale trascrizione non è prevista
dall’art. 2652 c.c.
2.3.- Con il terzo motivo il ricorrente denuncia vizio di
motivazione senza formulare la prescritta sintesi del fatto
controverso ex art. 366 bis c.p.c.
6

3.- Osserva la Corte che, mentre il terzo motivo deve
essere dichiarato inammissibile per violazione dell’art.
4

366 bis c.p.c.,

i primi due motivi – esaminabili

congiuntamente – sono fondati.
Invero, secondo la più recente giurisprudenza di questa

Corte, l’azione di risoluzione del contratto ex art. 1456
cod. civ. tende ad una pronuncia di mero accertamento
dell’avvenuta risoluzione di diritto a seguito
dell’inadempimento di una delle parti previsto come
determinante per la sorte del rapporto, in conseguenza
dell’esplicita dichiarazione dell’altra parte di volersi
avvalere della clausola risolutiva espressa, differendo
tale azione da quella ordinaria di risoluzione per
inadempimento per colpa ex art. 1453 cod. civ., che ha
natura costitutiva. Ne consegue che, in caso di fallimento
,.
del locatario, l’effetto risolutivo del contratto (nella
specie, di locazione finanziaria) deve ritenersi già
verificato ove la volontà di avvalersi della clausola
risolutiva espressa sia stata comunicata anteriormente alla
data della sentenza di fallimento, spettando il relativo
accertamento al giudice delegato in sede di verifica dello
stato passivo (Sez. l, Sentenza n. 9488 del 18/04/2013).
Il medesimo principio è indubbiamente applicabile
all’ipotesi di recesso esercitato ai sensi del secondo
r

coma dell’art. 1385 c.c. prima della dichiarazione di
fallimento.

7

Invero, le Sezioni unite hanno ritenuto inammissibile la
I

domanda di risoluzione giudiziale introdotta dopo essersi
avvalsi della tutela speciale ex art. 1385 c.c., comma 2,
proprio «perché,

dopo

aver esercitato il diritto di

recesso, il contratto è già risolto» (Sez. U, Sentenza n.

553 del 14/01/2009).
La soluzione accolta dalla più recente giurisprudenza,
invero, è conforme all’orientamento prevalente della
dottrina, la quale ha evidenziato che la natura di mero
accertamento dell’azione comporta che della legittimità del
recesso intimato ai sensi dell’art. 1385, coma 2, c.c. ben
possa conoscere, sia pure incidenter tantum, anche il
giudice fallimentare richiesto dell’ammissione al passivo
del credito, conseguente al recesso medesimo, di
restituzione del doppio della caparra.
Invero, una domanda di risoluzione contrattuale correlata
ad una richiesta risarcitoria contenuta nei limiti della
caparra non è altro <

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