Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10078 del 09/05/2011

Cassazione civile sez. I, 09/05/2011, (ud. 09/03/2011, dep. 09/05/2011), n.10078

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – rel. Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.S. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA BARBERINI 86, presso l’avvocato ILARIA SCATENA,

rappresentato e difeso dall’avvocato DEFILIPPI CLAUDIO, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministre pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositato il

06/11/2008; n. 111/08 R.V.G.;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/03/2011 dal Consigliere Dott. RENATO BERNABAI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per

quanto di ragione.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto emesso il 6 novembre 2008 la Corte d’appello di Torino rigettava la domanda di equa riparazione ex art. 6, part. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, proposta da S. S. per la violazione del termine ragionevole della procedura fallimentare riguardante la s.n.c. Officine Meccaniche e Fonderie Mordenti di Sauro e Lido Mordenti, nel cui passivo era stato ammesso il suo credito da lavoro dipendente.

Condannava lo S. alla rifusione delle spese di giudizio sostenute dal Ministero della giustizia, costituitosi per resistere alla domanda.

Motivava:

– che il fallimento appariva di non comune complessità, messa in evidenza sia dal numero delle istanze di insinuazione (315), dall’entità dello Stato passivo (Euro 19.363.874), dalla necessità di alienare n. 15 immobili – alcuni dei quali con destinazione industriale e di notevole dimensioni, previo condono degli abusi edilizi – nonchè di liquidare partecipazioni societarie; sia, dalla presentazione di due proposte di concordato, rimaste senza esito, e dall’affitto di azienda, caldeggiato da autorità pubbliche e dagli stessi sindacati dei lavoratori dipendenti per salvaguardare la continuità produttiva;

– che nel corso della procedura erano stati effettuati quattro riparti parziali, cosicchè il credito privilegiato dello S. era stato in gran parte soddisfatto in tempi ragionevoli entro i primi sei anni di procedura.

Avverso il provvedimento lo S. proponeva ricorso per cassazione affidato ad unico motivo ed ulteriormente illustrato con successiva memoria ex art. 378 cod. proc. Civ., con cui censurava la violazione dei parametri consolidati nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo nell’escludere che la durata di 11 anni tre mesi, compresa tra la insinuazione al passivo del credito, in data 22 marzo 1996, e la soddisfazione integrale del suo credito da lavoro, in data 5 giugno 2007, integrasse un ritardo irragionevole.

Resisteva con controricorso il Ministero della Giustizia. All’udienza del 9 marzo 2011 il Procuratore generale precisava le conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso è fondato nei limiti di cui appresso.

Il giudice di merito, valutando ragionevole un periodo di 11 anni per la conclusione di un processo fallimentare, non si è attenuto ai principi enunciati in più riprese da questa Corte, secondo cui la durata di una procedura concorsuale particolarmente complessa – quale senza dubbio appare, nella specie, il fallimento della s.n.c. Officine Meccaniche e Fonderie Mordenti di Sauro e Lido Mordenti, per le ragioni analiticamente elencate dalla Corte d’appello di Torino – non deve protrarsi per oltre sette anni (Cass., sez. 1, 4 gennaio 2011 n.136; Cass., sez. 1, 30 novembre 2010 n. 24.294; Cass., sez. 1, 4 novembre 2010, nn. 22508, 22509, 22510).

Il decreto impugnato deve essere quindi cassato.

In assenza della necessità di ulteriori accertamenti di merito, l’equo indennizzo del danno non patrimoniale conseguito alla violazione, per anni quattro e mesi tre, del termine ragionevole può essere liquidato in questa sede (art. 384 c.p.c., comma 2) in Euro 3.500,00, di cui Euro 750,00 per ognuno dei primi tre anni ed Euro 1000,00 annui per il ritardo successivo.

Le spese dei due gradi di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, sulla base del valore della causa e del numero è complessità delle questioni trattate.

P.Q.M.

– accoglie ricorso nei limiti di cui motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Giustizia al pagamento della somma di Euro 3.500,00, con gli interessi legali della domanda;

– condanna il Ministero della Giustizia alla rifusione delle spese di giudizio, liquidate in Euro 873,00, di cui Euro 378,00 per diritti ad Euro 445,00 per onorari, per il giudizio di merito ed in Euro 700,00, di cui Euro 600,00 per onorari, per la fase di legittimità; oltre le spese generali e gli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 9 Marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2011

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