Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10075 del 28/05/2020

Cassazione civile sez. II, 28/05/2020, (ud. 14/11/2019, dep. 28/05/2020), n.10075

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14785-2018 proposto da:

T.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VITTORIO COLONNA

40, presso lo studio dell’avvocato GAIA SANZARELLO, rappresentato e

difeso dall’avvocato ROBERTO MAVIGLIA;

– ricorrente –

contro

CONSOB, elettivamente domiciliata in ROMA, V. MARTINI GIOVANNI

BATTISTA 3, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE PROVIDENTI, che

la rappresenta e difende unitamente agli avvocati GIANFRANCO

RANDISI, ELISABETTA CAPPARIELLO;

– controricorrente –

e contro

PROCURA GENERALE PRESSO CORTE CASSAZIONE PROCURA GENERALE PRESSO

CORTE APPELLO FIRENZE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2497/2017 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 10/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/11/2019 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE;

Udito il P.G., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

Uditi gli Avvocati ROBERTO MAVIGLIA ed ELISABETTA CAPPARIELLO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con Delib. 11 aprile 2015, n. 19390, la Consob addebitava a T.M., in qualità di membro del collegio sindacale di Banca Monte dei Paschi di Siena (d’ora in poi MPS) di aver omesso di segnalare alcune irregolarità rilevate in ordine all’operatività e all’assetto organizzativo di MPS in violazione dell’art. 149, comma 3, TUF e irrogava, ai sensì dell’art. 193 TUF, una sanzione amministrativa di Euro 30.000.

2. T.M. proponeva opposizione avverso la suddetta Delib. dinanzi la Corte d’Appello di Firenze.

3. La Corte d’Appello di Firenze rigettava l’opposizione.

In particolare, la Corte adita riteneva infondato il motivo di impugnazione relativo alla decadenza della Consob dal potere sanzionatorio per effetto del decorso del termine di 180 giorni di cui all’art. 195 TUF per la contestazione degli illeciti decorrente dall’accertamento sulla base della giurisprudenza della Suprema Corte secondo la quale: il termine di decadenza per la contestazione degli illeciti non coincide automaticamente con il giorno in cui l’attività ispettiva è terminata, nè con quello in cui è depositata la relazione, ma occorre individuare, secondo la particolarità dei casi, il momento in cui ragionevolmente la contestazione avrebbe potuto tradursi in accertamento, momento dal quale deve farsi decorrere il termine per la contestazione medesima.

3.1 Secondo tale orientamento l’opportunità degli atti istruttori deve essere valutata ex ante non in base al loro esito e il giudice non può sostituirsi all’amministrazione nel valutarne l’opportunità e, solo in caso di attività istruttoria che appaia ex ante, palesemente inidonea ad acquisire elementi utili all’accertamento della violazione e che, dunque, sia stata pretestuosamente utilizzata per evitare il decorso del termine, può affermarsi la tardività della contestazione sul rilievo che vi è stata un’ingiustificata inerzia dell’amministrazione.

Nel caso di specie, le indagini erano state molto complesse, e avevano fatto progressivamente emergere problematiche bisognevoli di approfondimento, d’altra parte la chiusura dell’attività istruttoria in relazione alla violazione contestata si era avuta solo con la ricezione, in data 10 ottobre 2013, della memoria dei componenti del collegio sindacale contenente, su richiesta della Consob, documentazione interna di MPS relativa alla tematica delle linee di riporto della direzione auditing, con particolare riguardo alla tempistica con la quale il rapporto audit 460 era stato messo a disposizione degli organi sociali, circostanza affermata dall’opposta, non contraddetta dall’opponente e del resto risultante dall’indicazione degli allegati alla memoria. Non rilevava il fatto che a tale documentazione il provvedimento impugnato non facesse alcun riferimento proprio perchè la valutazione doveva farsi ex ante.

3.2 Secondo la Corte d’Appello, doveva ritenersi infondato anche il secondo motivo di opposizione relativo al merito della contestazione. I sindaci avevano omesso di comunicare alla Consob quanto segnalato nell’audit sopra citato e i successivi accertamenti e le attività disposti in conseguenza. Secondo la tesi difensiva non si trattava di irregolarità da segnalare alla Consob, ai sensi dell’art. 149, comma 3, TUF ma di carenze operative e organizzative che dovevano essere rappresentate agli organi societari di MPS affinchè questi potessero intervenire per migliorare la realtà aziendale. Tale tesi era esclusa in radice dalla estrema ampiezza del dettato normativo che non poteva ritenersi limitato alle sole condotte degli amministratori non conformi alla legge o all’atto costitutivo o ai principi di corretta amministrazione o a quello di adeguatezza della struttura organizzativa della società e del sistema di controllo interno. In proposito la Corte d’Appello richiamava la giurisprudenza di legittimità che aveva interpretato in tal senso il D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 149, comma 3.

I principi di comportamento del collegio sindacale delle società quotate non rappresentavano una fonte normativa e non era possibile ritenere che i sindaci avessero una discrezionalità fondata sulla rilevanza dell’irregolarità nel valutare se trasmettere o meno alla Consob la comunicazione di cui all’art. 149, comma 3. Peraltro nella specie le irregolarità erano relative a un asset primario della banca ed erano assolutamente rilevanti per l’accertamento dell’inadeguatezza della struttura organizzativa.

3.3 La Corte d’Appello riteneva infondato anche il terzo motivo di opposizione relativo all’elemento soggettivo dell’illecito contestato. La tesi difensiva, richiamando la L. n. 689 del 1981, art. 3, si fondava sul fatto che l’operato del collegio sindacale era stato corretto, diligente e conforme al paradigma normativo, avendo promosso un continuativo confronto con l’organo esecutivo e il management della banca, e monitorato le iniziative assunte.

Il giudice del merito richiamava ancora una volta la giurisprudenza di legittimità in materia di responsabilità del collegio sindacale secondo la quale l’omissione della comunicazione non è punibile solo nel caso in cui i sindaci provino che la inosservanza di tale obbligo sia dovuto ad un’impossibilità di riscontrare l’irregolarità conseguente a caso fortuito o forza maggiore e che le attività endo-societarie poste in essere in conseguenza dell’audit non potevano incidere sull’omessa comunicazione alla Consob come anche l’errore sull’illiceità del fatto che per essere incolpevole deve trovare causa in un fatto scusabile, situazione che non poteva rinvenirsi nella mera asserita incertezza del dettato normativo, causata da una sua errata soggettiva percezione, trattandosi di condizione superabile anche mediante una richiesta di informazioni alla pubblica amministrazione. Tanto più ove l’ignoranza interessi un operatore professionale, dunque, un soggetto nei cui confronti il dovere di conoscenza e di informazione è particolarmente intenso.

3.4 Infine, la Corte d’Appello rigettava anche il motivo di impugnazione proposto in via subordinata con il quale l’opponente aveva contestato la misura della sanzione, ritenendo del tutto congrua la sua determinazione in Euro 30.000 considerato che la sanzione applicabile andava dal minimo di Euro 5000 al massimo di Euro 500.000 e quella irrogata era largamente inferiore anche alla media delle due e molto vicina al minimo edittale.

4. T.M. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di tre motivi.

5. La Consob si è costituita con controricorso

6. Entrambe le parti con memorie depositate in prossimità dell’udienza hanno insistito nelle rispettive richieste.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 149 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Secondo il ricorrente i rilievi e le evidenze segnalate dall’audit 460/2009 non erano irregolarità riconducibili nell’alveo delle previsioni di cui all’art. 149, comma 3, del TUF e, dunque, non dovevano essere comunicate alla Consob. Il suddetto rapporto di audit, infatti, consisteva in una mera elencazione di diversi ambiti di intervento volti al miglioramento strategico del business, ad un miglioramento dello stile di gestione, nonchè nell’indicazione di misure volte al miglioramento dei sistemi di controllo sul processo. Il ricorrente riporta integralmente le conclusioni rassegnate nell’allegato rapporto di audit e evidenzia come la stessa Consob avesse escluso che tale rapporto potesse avere un nesso con la grave crisi della banca Monte dei Paschi.

Il rapporto di audit è per definizione un documento che contiene evidenze, rilievi critici, che individua punti di debolezza dei processi aziendali con l’obiettivo di pervenire ad un miglioramento dell’efficacia),dell’efficienza delle azioni di controllo, nonchè al fine di realizzare delle aree di miglioramento e rientra nelle attività di indagine periodica e nella fisiologica organizzazione aziendale. Peraltro, la tardività con la quale tale rapporto era stato trasmesso al collegio sindacale, attinente ad una seconda contestazione di omessa segnalazione di tale ritardo alla Consob, rientrava invece in una fisiologica dialettica tra organi sociali e non poteva certo costituire un’irregolarità da segnalare alla Consob, ai sensi dell’art. 149 TUF.

Il rapporto di audit era stato approvato il 26 novembre 2009 ed era stato trasmesso al collegio sindacale nel gennaio del 2010; in quell’occasione il presidente del collegio sindacale aveva lamentato l’eccessiva ampiezza del lasso temporale tra l’emissione del rapporto e la trasmissione dello stesso.

In ogni caso il collegio sindacale di una società quotata non ha l’obbligo di comunicare alla Consob ogni punto di attenzione, focus informativo, aree di miglioramento e conclusioni cui giungono normalmente e fisiologicamente le funzioni di controllo interno in ogni rapporto di audit, circostanza che, com’è noto non trova alcun riscontro nella prassi delle società.

Il ricorrente evidenzia poi che il precedente citato nel provvedimento impugnato aveva ad oggetto una diversa fattispecie (Cass. sent. n. 3251 del 2009). In quel caso, infatti, l’omissione di comunicazione alla Consob riguardava comportamenti gravissimi posti in essere dal consiglio di amministrazione o dall’amministratore delegato, mentre non si formulava alcuna interpretazione dell’art. 149, con riferimento al concetto di irregolarità riscontrate e se nello stesso rientrassero anche le carenze organizzative o le aree di miglioramento e di efficientamento evidenziate fisiologicamente dalle funzioni di controllo interno nei propri rapporti periodici.

In proposito il ricorrente cita numerosa dottrina che ha interpretato tale concetto di irregolarità riscontrate in senso restrittivo come limitate alle più gravi lacune riscontrate e previo espletamento di una dialettica interna alla società. In tal senso erano anche i principi di comportamento del collegio sindacale nelle società di capitali con azioni quotate nei mercati regolamentati elaborati dall’organismo professionale dei dottori commercialisti. Il punto 21 di tale documento, all’epoca dei fatti contestati prevedeva espressamente che la significatività delle irregolarità ai fini della comunicazione a Consob ex art. 149, comma 3, TUF deve essere valutato tenendo presente l’incidenza delle irregolarità sul corretto funzionamento degli organi della società, le cause che le hanno determinate e l’entità delle perdite che ne possano conseguire. Il punto 29, inoltre, espressamente dedicato agli adempimenti previsti dall’art. 149, comma 3, TUF, prevedeva che le irregolarità oggetto della comunicazione dovevano essere provate e documentate e non dovevano riferirsi a mera eventualità o sospetti.

Dunque la nozione di irregolarità si sostanzia nella violazione di un dovere o nell’inadempimento ad un dovere che la legge pone a carico degli amministratori e sul quale deve vigilare il collegio sindacale, l’altra parte se così non fosse si adotterebbe un’interpretazione della norma nel senso di imporre un obbligo indifferenziato di comunicazione alla Consob da parte del collegio sindacale di ogni e qualsiasi criticità sollevata e segnalata dalla funzione di audit agli amministratori e sindaci di una società in via pressochè continuativa senza alcun limite, temporale e di oggetto, tale da comportare la paralisi della operatività del collegio sindacale e l’impossibilità per gli amministratori di condurre attività sociali e l’insensato trasferimento alla Consob di una massa di competenze e di adempimenti che minerebbero l’efficacia della funzione di vigilanza.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 1 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

A parere del ricorrente l’adozione di una nozione estensiva di irregolarità sostanzialmente coincidente con quella di criticità o area di miglioramento comporta come corollario del precetto normativo l’esigenza di rimettere alla stessa Consob in sede di esercizio concreto del potere di contestazione e sanzione di cui all’art. 149, comma 3 e art. 193, comma 3, lett. a), seconda parte, TUF lo scrutinio della rilevanza della irregolarità e dell’identificazione di quali irregolarità andavano comunicate alla Consob in tal modo si finirebbe con affermare l’esistenza di una norma sanzionatoria in bianco con la sostanziale attribuzione del potere di individuarne il contenuto proprio al soggetto chiamato a sanzionare la violazione.

Il tutto peraltro in assenza di una norma di legge che attribuisca tale potere regolamentare integrativo all’organo di vigilanza medesimo. Una siffatta interpretazione si pone in palese contrasto con i principi inderogabili di legalità, tassatività, riserva di legge che presiedono alla materia delle sanzioni amministrative che trovano applicazione nel procedimento sanzionatorio peraltro tale principio richiamato anche nella L. n. 689 del 1981, art. 1, secondo il quale nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative la non sono in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commessa violazione.

2.1 Il primo e il secondo motivo di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente stante la loro evidente connessione, sono infondati.

Il ricorrente reitera l’argomento, già avanzato in sede di merito, secondo cui, in base ad una corretta interpretazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 149, comma 3, in capo ai sindaci non sussisterebbe un obbligo indiscriminato di comunicazione alla CONSOB di qualunque violazione o criticità riscontrata nello svolgimento della loro attività di vigilanza, senza la possibilità di operare un qualche filtro di ragionevolezza e proporzionalità anche rispetto alla gravità delle violazioni o irregolarità riscontrate.

In primo luogo, deve osservarsi che la censura in esame presuppone che le irregolarità riscontrate nell’audit non avessero quel minimo di gravità rapportato ai profili di ragionevolezza e proporzionalità correlati alle dimensioni aziendali e che dunque fossero delle irregolarità che non avevano ancora raggiunto quella soglia di gravità che imponeva la comunicazione alla Consob e rispetto alle quali, invece, la dialettica interna degli organi della banca poteva porvi ancora rimedio.

In tal modo, tuttavia, il ricorrente non si confronta con la ratio decidendi del decreto impugnato, che ha già qualificato le irregolarità di cui agli odierni ricorrenti si contesta la mancata comunicazione alla CONSOB come relative ad un asset primario ed assolutamente rilevanti per l’accertamento dell’adeguatezza della struttura organizzativa. Tale affermazione, peraltro, non ha formato oggetto di specifica censura nel mezzo di gravame in esame.

Ciò posto, appare comunque necessario ribadire che le argomentazioni svolte dagli odierni ricorrenti non sono tali da indurre a modificare il principio, ribadito da questa Corte, che la comunicazione che il collegio sindacale deve fare senza indugio alla CONSOB, ai sensi dell’art. 149, comma 3 T.U.F., riguarda tutte le irregolarità che tale collegio riscontri nell’esercizio della sua attività di vigilanza. A detto principio il Collegio ritiene di dare conferma e seguito, perchè la legge non demanda ai sindaci alcuna funzione di filtro preventivo sulla rilevanza delle irregolarità da loro riscontrate, al fine di selezionare quali debbano essere comunicate alla CONSOB e quali non debbano formare oggetto di tale comunicazione.

L’assolutezza del comando normativo emerge, oltre che dalla lettera dell’art. 149, comma 3 T.U.F. – in cui il sostantivo “irregolarità” non è accompagnato da alcun aggettivo qualificativo anche dall’evidente ratio legis di evitare che i collegi sindacali debbano misurarsi con parametri di rilevanza/gravità delle irregolarità da segnalare alla CONSOB la cui concreta applicazione dipenderebbe da valutazioni inevitabilmente opinabili, così da risultare foriere di gravi incertezze operative e, in ultima analisi, da rischiare di pregiudicare proprio lo scopo della disposizione in esame, evidentemente volta a garantire alla CONSOB una completa e tempestiva informazione sull’andamento delle società sottoposte alla sua vigilanza (Sez. II Sent. n. 12110 del 2018).

Quanto alla censura relativa alla violazione del principio di legalità proposta con il secondo motivo deve osservarsi che l’interpretazione dell’art. 149, comma 3, TUF cui si intende aderire non può dirsi tale da violare il principio di legalità, posto che il precetto normativo risulta sufficientemente dettagliato nel suo contenuto tipico, e come si è detto, la ratio legis è quella di non attribuire alcuna discrezionalità al collegio sindacale nella valutazione della irregolarità riscontrata, rimettendo la valutazione circa la sua gravità all’Autorità di vigilanza unico organo preposto allo svolgimento di tale funzione.

La norma, infatti, senza neanche l’intermediazione di una fonte secondaria come pure sarebbe ammissibile, prevede che il collegio sindacale debba comunicare senza indugio alla CONSOB le irregolarità riscontrate nell’attività di vigilanza e trasmettere i relativi verbali delle riunioni e degli accertamenti svolti e ogni altra utile documentazione.

Resta esclusa, pertanto, la violazione dei principi di determinatezza e tassatività della fattispecie, principi che devono ricondursi alla L. n. 689 del 1981, art. 1, come corollari del principio di legalità, in quanto l’enunciazione della condotta dell’illecito, pur descritta genericamente in termini di “irregolarità riscontrate”, consente al destinatario della norma (nella specie il collegio sindacale) di avere una percezione sufficientemente chiara ed immediata del valore precettivo di essa, tanto più con riferimento alla posizione di coloro che devono necessariamente possedere particolari qualifiche in un determinato campo di attività e, dunque, dotati di una competenza professionale in relazione alla quale sono collocati in una posizione di garanzia a tutela di interessi generali.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5).

Il ricorrente aveva eccepito la tardività degli addebiti contestati per decorrenza del termine di 180 giorni dall’accertamentò, a fronte di tale eccezione la Corte d’Appello aveva ritenuto, invece, che il termine di 180 giorni era stato rispettato in considerazione della complessa attività di accertamento.

Il decreto impugnato, nel motivare il rigetto della doglianza, ha fatto riferimento unicamente ad uno dei due addebiti contestati ovvero la contestazione inerente l’omessa comunicazione dell’asserita irregolarità che il collegio avrebbe rilevato nella seduta del consiglio di amministrazione della Banca del 14 gennaio 2010, nonchè nella riunione di collegio del 28 gennaio 2010 di tardiva trasmissione del medesimo rapporto di audit dagli uffici redigenti al consiglio di amministrazione ad al collegio sindacale della banca.

La Corte d’Appello, pertanto, avrebbe omesso qualsiasi riferimento alle altre argomentazioni difensive che si riferivano alla prima delle violazioni contestate, ossia a quella di mancata comunicazione alla Consob delle risultanze del rapporto di audit.

La Consob erano conoscenza delle criticità e ne aveva valutato la portata già dal 2012 e comunque con la ricezione della nota del 25 gennaio 2013 e con l’ulteriore nota del 28 gennaio 2013, con le quali MPS aveva fornito riscontro alla richiesta di informazioni formulata dalla Consob. Successivamente erano stati sentiti il collegio sindacale ed i Dottori R.A. e A.S. in data 30 gennaio 2013. A quest’ultima data dunque si era stabilizzato il quadro documentale e probatorio di riferimento relativo all’asserita irregolarità operativa ed organizzativa e, dunque, la Consob aveva piena contezza di tutti gli elementi proposti a fondamento delle contestazioni.

Risulterebbe dunque violato il termine di 180 giorni dettato all’art. 195 TUF atteso il lasso temporale di 13 mesi intercorso tra il momento di stabilizzazione del quadro documentale e informativo e la data di redazione delle contestazioni, le quali pertanto devono ritenersi tardive ai sensi del citato art. 195.

3.1 Il terzo motivo è infondato.

Il principio del tutto consolidato in materia di tempestività della contestazione è quello secondo il quale: “In tema di sanzioni amministrative previste per la violazione delle norme che disciplinano l’attività di intermediazione finanziaria, il momento dell’accertamento, dal quale decorre il termine di decadenza per la contestazione degli illeciti da parte della Consob, va individuato in quello in cui la constatazione si è tradotta, o si sarebbe potuta tradurre, in accertamento, dovendosi a tal fine tener conto, oltre che della complessità della materia, delle particolarità del caso concreto anche con riferimento al contenuti e alle date delle operazioni (Sez. 2, Sent. n. 21171 del 2019).

Peraltro in presenza di una pluralità di illeciti il giudice dell’opposizione, dinanzi al quale sia stata eccepita la tardività della notificazione della contestazione, nell’individuare la data dell’esito del procedimento di accertamento di più violazioni connesse, deve valutare il complesso degli accertamenti compiuti dall’Amministrazione procedente e la congruità del tempo a tal fine impiegato avuto riguardo alla loro complessità, anche in vista dell’emissione di un unico provvedimento sanzionatorio senza, tuttavia, potersi sostituire all’Amministrazione nella valutazione dell’opportunità di atti istruttori collegati ad altri e posti in essere senza apprezzabile intervallo temporale (Sez. 1, Sent. n. 8326 del 2018).

Lo stesso ricorrente evidenzia che la Corte d’Appello ha motivato in ordine ad una delle contestazioni, e a tal proposito risulta evidente che in presenza di una pluralità di violazioni il termine di 180 giorni per procedere alla contestazione non può che farsi decorrere dalla conclusione dell’accertamento di tutte le violazioni.

Risulta evidente, pertanto, che non vi è stato alcun omesso esame di fatti decisivi per il giudizio avendo, invece, la Corte d’Appello motivato circa le ragioni del rigetto del primo motivo di opposizione. In particolare il giudice della opposizione ha evidenziato che le indagini erano state complesse e avevano fatto progressivamente emergere problematiche bisognevoli di approfondimento e che appariva del tutto corretta l’interpretazione della Consob secondo la quale la chiusura dell’attività istruttoria, in relazione alla violazione contestata, si era avuta con la ricezione del 10 ottobre 2013 della memoria dei componenti del collegio sindacale contenente, su richiesta della Consob, la documentazione interna della banca relativa alla tematica delle linee di riporto della direzione audinting con particolare riguardo alla tempistica con la quale il rapporto audit 460 era stato messo a disposizione degli organi sociali.

In conclusione, sotto la veste dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, il ricorrente censura in realtà l’apprezzamento compiuto dalla Corte di merito, nella parte in cui ha negato che l’amministrazione fosse in possesso di tutti gli elementi per procedere alla contestazione già dal 30 gennaio 2013 e che l’attività successiva era stata ingiustificata. Tale valutazione non è sindacabile in questa sede.

Il collegio, dunque, intende dare continuità al seguente principio di diritto: “In tema di sanzioni amministrative previste per la violazione delle norme che disciplinano l’attività di intermediazione finanziaria la ricostruzione e la valutazione delle circostanze di fatto inerenti ai tempi occorrenti per la contestazione e alla congruità del tempo utilizzato in relazione alla difficoltà del caso sono rimesse al giudice del merito, il quale deve limitarsi a rilevare se vi sia stata un’ingiustificata e protratta inerzia durante o dopo la raccolta dei dati di indagine, tenendo altresì conto della sussistenza di esigenze di economia che inducano a raccogliere ulteriori elementi a dimostrazione di altre violazioni rispetto a quelle accertate, mentre la valutazione della superfluità degli atti di indagine deve essere svolta con giudizio ex ante, restando irrilevante la loro inutilità ex post” (Sez. 2, Sent. n. 21171 del 2019).

4. Il ricorso è rigettato.

5. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

6. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo

a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4000 più Euro 200 per esborsi;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 14 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2020

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA