Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10072 del 28/05/2020

Cassazione civile sez. II, 28/05/2020, (ud. 16/10/2019, dep. 28/05/2020), n.10072

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27931/2015 proposto da:

L.P., e L.A.E., nella qualità di eredi

di V.L., rappresentate e difese, la prima, dall’Avvocato

ROCCO LOMBARDO e dall’Avvocato PAOLO CASETTA ed elettivamente

domiciliata a Roma, via Lungotevere Flaminio 76, presso lo studio

dell’Avvocato ANTONELLA FAIETA, per procura speciale in calce al

ricorso; la seconda, già rappresentata e difesa come sopra,

dall’Avvocato DARIO MARCHESI, dall’Avvocato GIORGIA GATTO e

dall’Avvocato GIOVANNI CORBYONS, presso il cui studio a Roma, via

Cicerone 44, elettivamente domicilia per procura speciale del

17/10/2016;

– ricorrenti –

contro

D.S.E., S.A., C.F. e

R.P.V., rappresentati e difesi dall’Avvocato ALBERTO MARASCHI

e dall’Avvocato RENZO CATTEGNA, presso il cui studio a Roma, via

Pietro Borsieri 3, elettivamente domiciliano, per procura speciale a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1235/2014 della CORTE D’APPELLO DI BRESCIA,

depositata il 17/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del

16/10/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO;

sentito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto

Procuratore Generale della Repubblica Dott. PATRONE Ignazio, il

quale, preliminarmente, ha proposto eccezione di nullità ed, in

subordine, ha concluso per il rigetto del ricorso;

sentito, per le ricorrenti, l’Avvocato GIOVANNI CORBYONS; sentito,

per i controricorrenti, l’Avvocato ALBERTO MARASCHI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

C.F.S., R.P. ed i coniugi S.A. ed D.S.E., con atto di citazione notificato il 6/5/2006, hanno convenuto in giudizio, innanzi al Tribunale di Bergamo, V.L..

Gli attori hanno dedotto che la convenuta aveva stipulato con gli stessi due contratti preliminari di compravendita aventi ad oggetto appartamenti in (OMISSIS): il primo con il C. ed il R., l’altro con lo S. e la D.S..

La promittente venditrice, tuttavia, hanno assunto tra l’altro gli attori, aveva loro taciuto l’esistenza del vincolo d’interesse storico ed artistico sull’edificio che conteneva i due appartamenti promessi in vendita.

Decorso il termine per la stipula del contratto definitivo senza che V. avesse provveduto a regolarizzare la situazione, i promittenti acquirenti hanno, quindi, comunicato alla controparte il rispettivo recesso ed, a seguito della restituzione della caparra, hanno domandato al tribunale, per un verso, la declaratoria d’intervenuto recesso dai predetti contratti preliminari e, per altro verso, la condanna della convenuta al pagamento, ai sensi dell’art. 1385 c.c., di una somma corrispondente alla caparra ovvero, in via subordinata, la risoluzione del contratto ed il risarcimento dei danni.

La convenuta, dal suo canto, ha negato di essere stata a conoscenza del vincolo ed ha affermato di aver tempestivamente avviato la procedura amministrativa per ottenere l’autorizzazione in sanatoria.

Il tribunale, con sentenza 4/3/2008, ha dichiarato la risoluzione dei contratti, rigettando sia la domanda di pagamento del doppio della caparra, sia la domanda di risarcimento dei danni.

C.F.S., R.P., S.A. ed D.S.E., con atto di citazione notificato il 29/10/2008, hanno proposto appello,.

V.L. ha resistito al gravame, chiedendone il rigetto.

Interrotto il processo a seguito del decesso della V. e riassunto nei confronti di L.P. e L.A.E., eredi della stessa, la corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, ha accolto l’appello ed, in parziale riforma della sentenza impugnata, ha condannato queste ultime, in solido tra loro, al pagamento, in favore di ciascuno degli appellanti, della somma di Euro 6.700,00, oltre interessi e spese.

La corte, in particolare, ha ritenuto che il venditore, ove falsamente dichiari l’inesistenza di oneri o diritti relativamente alla cosa alienata, è responsabile anche quando i pesi espressamente esclusi siano stati in precedenza resi pubblici a mezzo della trascrizione. Ed infatti, è proprio la dichiarazione contrattuale a trarre in inganno il compratore, facendogli apparire superfluo l’uso di quella diligenza cui altrimenti potrebbe ritenersi tenuto. L’inadempimento qualificato della V., di conseguenza, ha reso legittimo il recesso che gli appellanti avevano manifestato ai sensi dell’art. 1385 c.c., comma 2.

Il recesso, quindi, ha proseguito la corte, ha comportato che la caparra confirmatoria assumesse la funzione di liquidazione convenzionale del danno da inadempimento per cui la parte non inadempiente, la quale abbia esercitato il potere di recesso attribuitole dalla legge, è legittimata a ritenere la caparra ricevuta o ad esigere il doppio di quella versata senza la necessità di provare alcun danno.

L.P. e L.A.E., con ricorso notificato il 16/11/29015, hanno chiesto, per quattro motivi, la cassazione della sentenza resa dalla corte d’appello.

Hanno resistito, con controricorso notificato in data 18/12/2015, C.F.S., R.P., S.A. ed D.S.E..

L.A.E. ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo, le ricorrenti, lamentando la

violazione e la falsa applicazione di norme di diritto, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello non ha considerato che, come più volte ribadito e dimostrato nel corso del giudizio, il contratto preliminare con il quale V.L. si era impeganata a cedere l’unità immobiliare di sua proprietà a C.F.S. ed a R.P., non era stato, in realtà, sottoscritto da quest’ultimo ma da una donna, che ha sottoscritto il contratto redigendo la firma del R..

1.2. Il contratto, quindi, hanno osservato le ricorrenti, non è giunto a perfezionamento, difettando di uno dei suoi elementi necessari, ovvero il consenso, formalmente espresso, da parte di uno dei promissari acquirenti, e non poteva, quindi, produrre alcun effetto, tanto meno l’obbligo del pagamento del doppio della caparra.

2. Il motivo è infondato. Le difese che la dante causa delle ricorrenti ha, a suo tempo, spiegato nel giudizio d’appello, per come incontestatamente esposte nella sentenza impugnata, non risultano, infatti, avere in alcun modo riguardato la questione della omessa sottoscrizione del contratto preliminare da parte di R.P.. Ed è, invece, noto che i motivi del ricorso per cassazione devono investire questioni che abbiano formato oggetto del thema decidendum del giudizio di secondo grado, come fissato dalle impugnazioni e dalle richieste delle parti: in particolare, non possono riguardare nuove questioni di diritto se esse postulano indagini ed accertamenti in fatto non compiuti dal giudice del merito ed esorbitanti dai limiti funzionali del giudizio di legittimità (Cass. n. 16742 del 2005; Cass. n. 22154 del 2004; Cass. n. 2967 del 2001). Pertanto, secondo il costante insegnamento di questa Corte (cfr. Cass. n. 20518 del 2008; Cass. n. 6542 del 2004; di recente, Cass. n. 20694 del 2018), qualora una determinata questione giuridica, che implichi un accertamento di fatto, non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione d’inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa: ciò che, nella specie, non risulta essere accaduto. Nè rileva il fatto che si tratterebbe di una questione di nullità del contratto e, come tale, rilevabile dal giudice in via ufficiosa (art. 1421 c.c.): se, infatti, è vero che, ove sia stata omessa la rilevazione ex officio di una nullità contrattuale nei gradi di merito, anche il giudice di legittimità ha sempre facoltà di procedere ad un siffatto rilievo (Cass. n. 12996 del 2016), resta, tuttavia, pur sempre la necessità che la stessa possa essere rilevata senza svolgere al riguardo accertamenti in fatto ulteriori rispetto a quelli che emergono dalla sentenza impugnata, vale a dire solo quando il contraddittorio delle parti e la sentenza stessa rivelino pacificamente il fatto storico integratore della nullità negoziale. Nel caso in esame, tuttavia, nè la sentenza della corte d’appello nè gli scritti difensivi delle parti danno concordemente conto del fatto che il contratto in questione non sarebbe stato personalmente sottoscritto da R.P..

3.1. Con il secondo motivo, le ricorrenti, lamentando la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto e l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello non ha considerato che, nel contratto in questione, ove se ne volesse ritenere la validità e l’efficacia, l’ammontare della caparra confirmatoria era stato indicato nella somma di Euro 5.000,00 e non di Euro 13.400,00, per cui, avendo i promissari acquirenti optato per il recesso ai sensi dell’art. 1385 c.c. e per il pagamento del doppio della caparra, la somma da versare avrebbe dovuto ammontare ad Euro 5.000,00 e non, come invece ritenuto dalla corte d’appello, ad Euro 13.400,00.

3.2. La corte d’appello, infatti, hanno osservato le ricorrenti, non poteva qualificare come caparra confirmatoria globale tanto la somma espressamente indicata come tale, quanto la somma indicata genericamente come da versare entro il 12/10/2004, essendo noto che la caparra deve risultare da una specifica volontà delle parti e che, nel dubbio, quanto versato deve essere considerato come acconto.

3.3. La corte, oltretutto, omette completamente di motivare tale interpretazione, dando per scontato che l’importo versato dalla Vezzali ai promissari acquirenti fosse da ascrivere completamente ad una caparra versata in due riprese.

4.1. Con il terzo motivo, le ricorrenti, lamentando la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello non ha considerato che la promittente venditrice, una volta saputo della sussistenza del vincolo iscritto a norma della L. n. 1089 del 1939, ha provveduto all’immediata restituzione di tutte le somme percepite, parte a titolo di acconto, parte a titolo di caparra, ed ha instaurato tutte le procedure utili per ottenere la sanatoria di ogni vizio.

4.2. D’altra parte, hanno aggiunto le ricorrenti, il vincolo in questione non osta affatto alla commerciabilità dei beni ma fonda la mera facoltà del Ministero di esercitare la prelazione, ed è, quindi, sufficiente che la Sovraintendenza sia investita della comunicazione dell’intenzione di vendita e, quindi, provvedere alla stipula. L’omessa indicazione, nel contratto prelimimare di compravendita di un bene immobile, dell’esistenza di un vincolo di prelazione in favore del Ministero dei Beni Culturali, non concretizza, quindi, un inadempimento tale da legittimare la risoluzione o il recesso da parte del promissario acquirente.

5.1. Con il quarto motivo, le ricorrenti, lamentando la violazione e la falsa applicazione di norma di diritto, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello non ha considerato che, a norma dell’art. 1385 c.c., la parte non inadempiente non può cumulare l’azione di recesso e di pagamento del doppio della caparra e quella di risoluzione per inadempimento, dovendo optare per ung delle due azioni.

5.2. Nel caso in esame, gli appellanti avevano espressamente concluso per la risoluzione dei contratti preliminari per inadempimento della promittente venditrice a norma dell’art. 1489 c.c. e non potevano, quindi, esercitare la facoltà di esercitare il recesso a norma dell’art. 1385 c.c..

5.3. La promittente venditrice, del resto, hanno concluso le ricorrenti, non era incorsa in alcun inadempimento tale da legittimare il recesso ai sensi dell’art. 1489 c.c., in mancanza del relativo presupposto, e cioè la colpa del venditore.

5.1. Il terzo ed il quarto motivo, da esaminare congiuntamente, sono fondati, con assorbimento del secondo.

5.2. La disciplina dettata dell’art. 1385 c.c., comma 2, in tema di recesso per inadempimento nell’ipotesi in cui sia stata prestata una caparra confirmatoria, non deroga, infatti, alla disciplina generale della risoluzione per inadempimento, consentendo il recesso di una parte solo quando l’inadempimento della controparte sia colpevole e di non scarsa importanza in relazione all’interesse dell’altro contraente (Cass. n. 12549 del 2019). Il recesso di cui all’art. 1385 c.c., comma 2, costituisce, invero, uno speciale strumento di risoluzione di diritto del contratto, collegato alla pattuizione di una caparra confirmatoria, analogo a quelli previsti dagli artt. 1454, 1456 e 1457 c.c., che ha in comune con la risoluzione giudiziale non solo i presupposti, e cioè l’inadempimento di non scarsa importanza della controparte, ma anche le conseguenze, vale a dire la caducazione ex tunc degli effetti del contratto (Cass. n. 2969 del 2019).

5.3. Nel caso di specie, al contrario, la corte d’appello si è limitata, in sostanza, ad affermare che la promittente venditrice, lì dove ha dichiarato l’inesistenza di oneri o diritti relativamente all’immobile promesso in vendita, ha posto in essere un inadempimento qualificato tale da legittimare i promissari acquirenti a dichiarare il proprio recesso e, quindi, a pretendere una somma pari al doppio della caparra dagli stessi versata, senza, tuttavia, accertare, al momento in cui avrebbe dovuto essere stipulato il relativo contratto definitivo, quale fosse l’effettiva e concreta incidenza del vincolo pubblicistico accertato dopo la stipula del preliminare sul godimento del bene da parte degli acquirenti e la commerciabilità degli immobili promessi in vendita e se, in relazione a tale inadempimento, ove effettivamente di non scarsa importanza, la promittente venditrice fosse, o meno, in colpa.

6. Il ricorso dev’essere, quindi, accolto e la sentenza impugnata, per l’effetto, cassata con rinvio ad altra sezione della corte d’appello di Brescia, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

PQM

La Corte così provvede: rigetta il primo motivo; accoglie il terzo ed il quarto motivo, assorbito il secondo; cassa, in relazione ai motivi accolti, la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della corte d’appello di Brescia anche ai fini delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 16 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2020

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