Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10067 del 28/05/2020

Cassazione civile sez. VI, 28/05/2020, (ud. 12/11/2019, dep. 28/05/2020), n.10067

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31022-2018 proposto da:

C.G., F.D., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA PARAGUAY 5, presso lo studio dell’avvocato GIUNIO

RIZZELLI, rappresentati e difesi dall’avvocato SALVATORE ABATE;

– ricorrenti –

contro

C.A.R., C.L.A., CA.AN.,

C.F., M.M., CA.AN., C.P.,

elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato RICCARDO MARZO;

– controricorrenti –

contro

C.R., C.C., C.T.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 750/2018 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 10/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE

TEDESCO.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il Tribunale di Lecce, Sezione distaccata di Maglie, accoglieva la domanda di C.G., volta a fare accertare l’acquisto per usucapione di un fondo già appartenente a L.A. e formalmente compreso nella eredità di lei, apertasi in favore dei figli, compresa l’attrice. Correlativamente il primo giudice rigettava la domanda di divisione del fondo proposta dai convenuti.

La Corte d’appello, con sentenza non definitiva, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda di usucapione, accertava la proprietà comune del fondo e ne ordinava la divisione. Con separata ordinanza rimetteva la causa sul ruolo al fine di sentire le parti personalmente sulle modalità della divisione, tenuto conto della indivisibilità dell’immobile in natura risultante dalla consulenza tecnica.

Quindi, con ulteriore ordinanza, disponeva una consulenza tecnica volta ad accertare il valore attuale del bene ai fini dell’assegnazione a C.P., che ne aveva fatto richiesta, e per accertare il valore dei frutti dovuti da C.G. agli altri compartecipi in dipendenza del possesso esclusivo del cespite comune.

Con la sentenza definitiva la corte di merito rilevava innanzitutto che la proprietà comune era stata già accertata con la sentenza non definitiva che aveva ordinato la divisione del bene, per cui la questione, sollevata da C.G., non era suscettibile di ulteriore riesame. Quindi, attribuiva il bene comune a C.P., dietro pagamento del conguaglio, e condannava l’attrice al pagamento pro quota dei frutti. La condannava inoltre a restituire ai convenuti, soccombenti in primo grado e vittoriosi in appello, quanto da costoro pagato in dipendenza della sentenza di primo grado.

La corte liquidava le spese dell’intero giudizio, compensando per metà le spese del grado, avuto riguardo anche alla soccombenza sulla istanza di sequestro delle parti vittoriose.

Per la cassazione della sentenza C.G. ha proposto ricorso, affidato a quattro motivi.

Gli intimati hanno resistito con controricorso.

2. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 567 c.p.c., dell’art. 713 c.c., dell’art. 784 c.p.c., degli artt. 1113 e 102 c.p.c., dell’art. 2650 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

La sentenza è oggetto di censura nella parte in cui la corte ha ordinato la divisione dell’immobile nonostante la mancata produzione del titolo di provenienza dell’immobile in capo alla defunta e la mancata produzione del certificato delle iscrizioni e trascrizioni dell’ultimo ventennio (ovvero la certificazione notarile sostitutiva). Si sostiene che tale documentazione è richiesta ai fini della procedibilità della domanda di divisione giudiziale di immobili, essendo essenziale sotto una molteplicità di profili. In primo luogo per verificare che “non vi siano cause ostative alla divisione, quali l’inesistenza del diritto di proprietà in capo alle parti per effetto di eventuali trasferimenti dell’immobile, ovvero l’esistenza di litisconsorti necessari non evocati in giudizio a norma dell’art. 1113 c.c. e dell’art. 784 c.p.c.”. Si sostiene ancora che le relative verifiche vanno fatte d’ufficio, per garantire non solo la integrità del contraddittorio, ma anche al fine di verificare l’osservanza del principio di continuità delle trascrizioni, tenuto conto che la sentenza di divisione è soggetta a trascrizione ex art. 2646 c.c.; tale verifica, nella specie, era tanto più essenziale “se si considera che la domanda non è stata trascritta e, di conseguenza, la trascrizione della sentenza, non potendo retroagire, non sarebbe efficace rispetto alle iscrizioni e trascrizioni eseguite nelle more del giudizio”.

Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 720 c.c. e degli artt. 189, 190, dell’art. 101 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

La ricorrente sostiene che non poteva darsi corso all’attribuzione del bene indivisibile in favore di C.P., in quanto la relativa istanza era stata proposta solo con la comparsa conclusionale.

La rimessione della causa sul ruolo, disposta dalla corte d’appello dopo la sentenza non definitiva, non poteva valere a superare la preclusione in cui era incorsa la parte.

Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 336 e 112 c.p.c., dell’art. 91 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

Per stessa ammissione delle parti vittoriose nel gravame le spese di lite erano state pagate prima della notifica della impugnazione, il che imponeva che la domanda di restituzione, giusti gli insegnamenti della Suprema Corte, fosse proposta con l’atto di appello, mentre nella specie gli appellanti l’avevano proposta in secondo tempo.

La corte d’appello, pur consapevole del contrario orientamento della giurisprudenza di legittimità, ha ugualmente accolto la domanda, in base al rilievo che il pagamento, una volta riformata la sentenza, rimaneva privo di titolo.

Il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 91 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

La corte avrebbe dovuto liquidare le spese del procedimento di sequestro giudiziario, che vedeva le controparti, le quali avevano proposto la relativa istanza, soccombente su di essa.

3. Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere rigettato per manifesta infondatezza, con la conseguente possibilità di definizione nelle forme di cui all’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Il ricorrente ha depositato memoria.

4. Il primo motivo è infondato.

In linea teorica deve riconoscersi che, nella divisione giudiziale, i condividenti debbono fornire la prova della comproprietà; tuttavia non è loro carico, neanche in caso di contestazioni, quella prova rigorosa richiesta nel caso di azione di rivendicazione o di quella di mero accertamento della proprietà, poichè non si tratta di accertare positivamente la proprietà dell’attore negando quella dei convenuti, ma di fare accertare un diritto comune a tutte le parti in causa (Cass. n. 1309/1966). Con la divisione, infatti, si opera la trasformazione dell’oggetto del diritto di ciascuno, da diritto sulla quota ideale a diritto su un bene determinato, senza che intervenga fra i condividenti alcun atto di cessione o di alienazione (Cass. n. 20645/2005). Si spiega così la regola che divisione non integra titolo astrattamente idoneo all’acquisto della proprietà per gli effetti previsti dall’art. 1159 c.c. (Cass. n. 1976/1983). E si spiega inoltre il principio, consolidato nella giurisprudenza della Corte, che “l’onere della cosiddetta probatio diabolica, facente capo al rivendicante, consiste nella dimostrazione che il bene rivendicato è stato da lui acquistato a titolo originario, ovvero che e a lui pervenuto attraverso una serie ininterrotta di trasferimenti aventi origine da chi lo abbia acquistato a titolo originario. Ai fini della prova della proprietà non può essere sufficiente un atto di divisione, che, per il suo carattere dichiarativo e non costitutivo di diritti, non ha di per sè solo forza probante nei confronti dei terzi del diritto di proprietà attribuito ai condividenti, occorrendo dimostrare il titolo di acquisto della comunione, in base al quale il bene e stato attribuito in sede di divisione” (Cass. n. 1930/1966; n. 1511/1979; n. 3724/1987).

Nello stesso tempo questa Corte ha precisato che il principio secondo cui l’atto di divisione non è idoneo a fornire la prova della proprietà nei confronti dei terzi, non può essere applicato nella controversia sulla proprietà tra i condividenti o i loro aventi causa, perchè la divisione, accertando i diritti delle parti nel presupposto di una comunione dei beni divisi, presuppone l’appartenenza dei beni alla comunione (Cass. n. 4828/1994; n. 27034/2006 cit.; n. 4730/2015; n. 15504/2018).

4.1. L’attuale ricorrente aveva chiamato in giudizio i fratelli al fine di fare accertare che il fondo denominato “(OMISSIS)”, formalmente compreso nell’eredità della comune genitrice, era di sua esclusiva proprietà per usucapione. I fratelli si erano costituiti rivendicando la persistente proprietà comune e chiedendo la divisione del bene oggetto della domanda di usucapione.

La corte d’appello ha rigettato la domanda di usucapione e ha accolto la domanda riconvenzionale dei convenuti, accertando la proprietà comune del fondo per titolo ereditario: quindi la proprietà della comune dante causa L.A.. Pertanto, la corte d’appello, allorchè ha ritenuto che, in presenza di sentenza che aveva statuito positivamente sulla comproprietà del fondo e sul diritto alla divisione, non fossero consentite ulteriori discussioni al riguardo, ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui “le statuizioni contenute nella sentenza non definitiva possono essere riformate o annullate in sede di impugnazione, non con la sentenza definitiva resa successivamente dal medesimo giudice” (Cass. n. 2570/1981).

5. Il ricorrente, nella memoria, insiste nella tesi che la mancata produzione della produzione del certificato delle iscrizioni e trascrizioni dell’ultimo ventennio (ovvero la certificazione notarile sostitutiva), a prescindere della prova della comproprietà, impediva la verifica del contraddittorio in rapporto all’eventuale esistenza di creditori iscritti, litisconsorti necessari nella divisione giudiziale ai sensi dell’art. 1113 c.c. e dell’art. 784 c.p.c..

Con riguardo a tali obiezioni si deve innanzitutto ricordare la presenza di litisconsorti necessari non può essere ventilata in modo teorico nel giudizio di cassazione, occorrendo la specifica indicazione dei soggetti pretermessi (Cass. n. 12504/2007; n. 15086/2005).

In ogni caso è infondata la tesi, talvolta proposta nella giurisprudenza di merito, che la produzione dei certificati delle iscrizioni e trascrizioni relative all’immobile da dividere, imposta dall’art. 567 c.p.c. ai fini della vendita dell’immobile pignorato, costituisca adempimento richiesto anche nella divisione giudiziale, tale da condizionare l’ammissibilità o la procedibilità della domanda.

Si propongono al riguardo le seguenti considerazioni.

A) E’ indubbio che se risulta la esistenza di trascrizioni e iscrizioni prese contro i singoli compartecipi il giudice sia tenuto, ai sensi dell’art. 784 c.p.c. e dell’art. 1113 c.c., a ordinare la chiamata in giudizio dei creditori e degli aventi causa. Tuttavia è ingiustificato far derivare dagli artt. 784 e 1113 cit. la implicita imposizione, a carico dei compartecipi, di un onere di documentare, sotto pena di improcedibilità della domanda di divisione giudiziale, la presenza o l’assenza di trascrizioni e iscrizioni sulla quota indivisa dei singoli. Un tale onere, infatti, non previsto da quelle norme, non si giustifica in relazione alle esigenze che stanno alla base dell’intervento dei creditori e degli aventi causa nella divisione.

B) I creditori iscritti e gli aventi causa da un partecipante, pur avendo diritto ad intervenire nella divisione, ai sensi dell’art. 1113, comma 1, c.c., non sono parti in tale giudizio, al quale devono partecipare soltanto i titolari del rapporto di comunione, potendo i creditori iscritti e gli aventi causa intervenire in esso, al fine di vigilare sul corretto svolgimento del procedimento divisionale (19529/2012; n. 7485/1991). Essi non hanno la facoltà di impedire o sospendere, interrompere il giudizio divisionale attivato dal loro debitore e dante causa (Cass. n. 9765/2004).

C) La chiamata dei creditori iscritti e degli aventi causa di uno dei compartecipi non è condizione di validità della divisione, ma un onere che i compartecipi debbono assolvere “se ed in quanto si voglia che la relativa decisione faccia stato nei lori confronti” (Cass. n. 4703/1981; n. 4330/1986).

D) La omessa chiamata nel giudizio dei creditori e aventi causa non invalida la sentenza anche nei confronti dei comproprietari (Cass. n. 4703/1981), ma comporta le conseguenze stabilite nell’art. 1113 c.c.:

a) il potere di impugnativa della divisione, se la violazione è incorsa in danno dei creditori e aventi causa che abbiano fatto opposizione;

b) il potere di coloro che abbiano trascritto il negozio di acquisto o iscritto l’ipoteca di disconoscere l’efficacia della divisione, la quale sarà nei loro confronti tam quam non esset: “Nel giudizio di divisione di una comunione di beni, il terzo acquirente di un diritto su uno degli immobili comuni, per atto trascritto anteriormente alla trascrizione della domanda giudiziale, non è parte necessaria del giudizio, ma, se non chiamato ad intervenirvi, non gli può essere opposta la sentenza che lo definisce, con la conseguenza che egli, ove danneggiato dalla ripartizione, potrà pretendere che si proceda a nuova divisione” (Cass. n. 4330/1986).

E) La protezione accordata ai creditori, acquirenti e cessionari di diritti su cose cadenti in comunione si spiega avendo riguardo agli effetti riflessi che può avere la divisione sulle garanzie patrimoniali dei loro diritti e sulla realizzazione effettiva del loro acquisto, in relazione al carattere retroattivo che la legge le attribuisce (artt. 757,2825 c.c.).

In rapporto a tale finalità dell’intervento, la chiamata dei creditori e degli aventi causa, prevista nell’art. 1113 c.c., può essere posteriore all’inizio delle operazioni, purchè l’intervento abbia tempo e modo di esplicare la sua funzione a tutela del diritto acquisito verso uno dei compartecipi.

F) L’art. 567 c.p.c. è richiamato dall’art. 788 c.p.c. per il caso che la divisione richieda la vendita di immobili. In questo caso “il giudice istruttore provvede con ordinanza, a norma degli artt. 576 e ss.”.

L’ipotesi più comune è data dall’indivisibilità (art. 720 c.c.). Funzione della vendita è rendere possibile o facilitare la divisione, sostituendo al bene indivisibile il denaro.

G) Si deve convenire che, quando la divisione deve avvenire mediante vendita, a tutela del terzo acquirente, si dovranno acquisire anche nella divisione giudiziale le informazioni richieste dall’art. 567 c.p.c. per la espropriazione. Ma a tale esigenza deve sovraintendere d’ufficio il giudice della divisione, nel suo potere di direzione delle operazioni divisionali (art. 786 c.p.c.), ordinando alle parti la produzione della documentazione occorrente o tramite il notaio delegato al compimento della vendita.

H) Il richiamo alle norme del processo di espropriazione non deve far dimenticare che, mentre in questa la vendita riguarda un bene che appartiene all’esecutato ed avviene contro la volontà di questi, nel processo di divisione la vendita avviene non a danno di qualcuno, ma nell’interesse di tutti. Quel richiamo deve perciò intendersi limitato alle modalità esecutive della vendita (Cass. n. 1062/1979) e ai relativi rimedi (Cass. S.U., 18185/2013), e non in relazione all’effetto di liquidazione satisfattiva inerente all’esecuzione forzata.

I) E’ principio acquisito infatti che i creditori chiamati a intervenire nel giudizio di divisione non possono perseguire la realizzazione coattiva del credito nell’ambito di tale giudizio, neanche quando questo si è svolto su beni colpiti da pignoramento sulla quota indivisa del debitore: “il giudice istruttore, nel dichiarare esecutivo il progetto di divisione, non ha il potere di attribuire al creditore la porzione spettante al debitore, in ordine alla cui vendita o assegnazione deve statuire il giudice dell’esecuzione, nell’ambito e con le forma della procedura espropriativa” (Cass. n. 5718/1987).

L) Le ipoteche sui beni comuni iscritte contro il singolo colpiscono di massima i beni di cui egli risulti con la divisione proprietario (art. 2825 c.c.) (Cass. n. 3971/1980), conseguendone la cancellazione di quelle stesse iscrizioni sui beni assegnati agli altri. Tuttavia la cancellazione delle ipoteche (iscritte contro il singolo) non consegue dall’effetto di liquidazione satisfattiva inerente alla espropriazione, ma si connette “all’effetto retroattivo della divisione, per cui, al di fuori delle eccezioni previste dall’art. 2825 c.c., il bene assegnato deve pervenire al condividente libero dai pesi imposti da colui che, a posteriori, risulti privo della facoltà di disporne” (Cass. n. 1062/1979).

M) La trascrizione della domanda di divisione è un onere dei compartecipi che condiziona l’opponibilità della divisione nei confronti dei terzi (art. 2646 c.c., comma 2). Ciò non toglie che vale anche nella divisione giudiziale la regola generale che l’obbligo della trascrizione di determinate domande giudiziali è posto a salvaguardia degli eventuali diritti dei terzi ed il suo mancato adempimento non è di ostacolo alla procedibilità delle relative azioni nè alla decisione delle domande stesse, potendo soltanto dar luogo a sanzioni di carattere fiscale se ed in quanto applicabili (Cass. n. 1787/1976).

Naturalmente, secondo le regole generali, il difetto di trascrizione della domanda giudiziale non impedisce la successiva trascrizione del provvedimento definitivo con il quale è attuato il riparto. Peraltro, non operando la prenotazione, gli effetti divisori non saranno opponibili ai creditori e aventi causa che avranno iscritto o trascritto l’acquisto anche dopo l’inizio del giudizio e fino alla trascrizione del provvedimento giudiziale. Costoro si troveranno nella stessa posizione di coloro che avevano acquistato e trascritto prima che la divisione giudiziale avesse inizio (ex art. 1113 c.c., comma 3).

6. Il secondo motivo è infondato. Risulta dalla sentenza che la corte, dopo avere ordinato la divisione, ha rimesso la causa sul ruolo al fine di sentire le parti sulle modalità della divisione, essendo il bene non divisibile in natura.

Ha quindi dato seguito all’istanza proposta da una dei condividenti, ordinando poi un supplemento di consulenza per aggiornare il valore di stima ai fini dell’attribuzione.

In questo senso la sentenza impugnata è in linea con la costante giurisprudenza di questa Corte (v. fra le tante Cass. n. 3497/2019), intesa secondo le precisazioni di Cass. n. 14756/2016.

La corte, pertanto, non ha dato seguito a una istanza proposta nella memoria di replica, ma, avendo accertato la incomoda divisibilità, ha invitato le parti a esprimere eventuali preferenze sul punto, facendo corretta applicazione del principio che configura la vendita della cosa indivisibile come extrema ratio, cui è possibile ricorrere solo se nessuno dei condividenti sia disponibile ad avere la cosa per intero, versando agli altri l’eccedenza (art. 720 c.c.) (Cass. n. 5676/2004; n. 11641/2010). La stessa corte, poi, una volta raccolta la preferenza, ha disposto un supplemento di consulenza per aggiornare il valore di stima.

7. Il terzo motivo, in dissenso dalla proposta del relatore, è fondato. Secondo la giurisprudenza maggioritaria della Corte “La richiesta di restituzione di somme corrisposte in esecuzione della sentenza di primo grado, anche nel rito del lavoro, consegue alla richiesta di modifica della decisione impugnata e, non costituendo domanda nuova, è ammissibile in appello, se formulata, a pena di decadenza, con l’atto di gravame, ove a tale momento la sentenza sia stata già eseguita, ovvero nel corso del giudizio, qualora l’esecuzione sia avvenuta dopo la proposizione dell’impugnazione” (Cass. n. 2298/2018; n. 1324/2016; n. 10124/2009).

In applicazione di tale principio la corte di merito, quindi, non poteva ritenere elemento privo di rilevanza il fatto che il pagamento, effettuato sulla base della sentenza poi riformata in appello, era avvenuto prima della proposizione del gravame.

8 E’ infondato il quarto motivo. Nel caso di rigetto di istanza cautelare in corso di causa, il regolamento delle spese non assume rilevanza autonoma, ma deve avvenire in sede di sentenza definitiva di merito, in relazione all’esito finale della lite (cfr. Cass. n. 6180/2019).

Erra quindi la ricorrente nel pretendere la separata e autonoma liquidazione delle spese di lite. Resta da aggiungere che, nella specie, la corte di merito, in coerenza con i principi di cui sopra, ha tenuto conto della soccombenza degli appellanti nel procedimento di sequestro giudiziario proposto in corso di causa (pag. 10 della sentenza impugnata).

Il ricorso, pertanto, va accolto limitatamente al terzo motivo e rigettato quanto agli altri motivi.

La sentenza è cassata senza rinvio, in applicazione della regola che impone tale esito del giudizio di cassazione quando il giudice di merito abbia pronunciato su domanda della quale avrebbe dovuto riscontrare l’inammissibilità (Cass. n. 7258/2003): nella specie la domanda di ripetizione delle somme pagate in esecuzione della sentenza riformata.

Spese compensate.

P.Q.M.

accoglie il terzo motivo di ricorso; rigetta gli altri motivi; cassa senza rinvio la sentenza in relazione al motivo accolto; compensa fra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 12 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2020

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