Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10065 del 26/04/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 10065 Anno 2013
Presidente: MIANI CANEVARI FABRIZIO
Relatore: GARRI FABRIZIA

SENTENZA

sul ricorso 19954-2007 proposto da:
D’ARRIGO PLACIDO, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA LUNIGIANA 6, presso lo studio dell’avvocato
GREGORIO

D’AGOSTINO,

rappresentato

e

difeso

dall’avvocato INTILISANO PIETRO, giusta delega in
atti;
– ricorrente –

2012
contro

4334

RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A. 01585570581, (già
FERROVIE DELLO STATO S.P.A. SOCIETA’ DI TRASPORTI E
SERVIZI

PER

AZIONI),

in

persona

del

legale

Data pubblicazione: 26/04/2013

1.

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
. in ROMA, VIA S. MARIA MEDIATRICE 1, presso lo studio
dell’avvocato BUCCI FEDERICO, che la rappresenta e
difende, giusta delega in atti;
– controri corrente –

di MESSINA, depositata il 30/06/2006 R.G.N. 918/02;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 14/12/2012 dal Consigliere Dott. FABRIZIA
GARRI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

,

avverso la sentenza n. 448/2006 della CORTE D’APPELLO

Svolgimento del processo

La Corte territoriale aveva confermato l’accertamento del primo giudice e ritenuto che la rinunzia alla
prestazione indennitaria non risultava subordinata al riconoscimento della rendita da malattia
professionale con la medesima decorrenza dell’indennizzo tenuto conto, altresì, del fatto che con
accertamento coperto da giudicato la rendita per malattia professionale era stata riconosciuta a
decorrere dalla relativa domanda amministrativa (marzo 1989) e che dunque non avrebbe potuto essere
retrodatata alla antecedente domanda di liquidazione dell’equo indennizzo (1978).
Per la cassazione della sentenza ricorre il D’Arrigo sulla base di quattro motivi.
Resiste con controricorso la RFI- Rete Ferroviaria Italiana s.p.a..

Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso viene censurata la sentenza per avere, in violazione dell’art. 360 comma
1 n. 5) c.p.c. omesso di esaminare la lettera del 3.9.1988 con la quale il D’Arrigo chiedeva la sostituzione
dell’indennizzo con la rendita per malattia professionale a decorrere dal 26.6.1978. Inoltre sottolinea
che, in maniera del tutto contraddittoria, la corte territoriale ha, da un canto, affermato che il ricorrente
intendeva rinunciare alla prestazione alla condizione di ottenere una rendita per malattia professionale
con decorrenza più risalente, mentre, dall’altro, ha negato che tale condizione sia stata effettivamente
apposta.
Con il secondo motivo di ricorso viene, poi, denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 1362
c.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., perché, sempre con riferimento alla rinuncia
condizionata alla prestazione, la corte territoriale ha dato atto del fatto che la condizione non si era
verificata senza però trarre da tale accertamento le dovute conseguenze sul piano della domanda
formulata.
Pertanto chiede che questa Corte accerti se le norme sull’interpretazione dei contratti si applicano
anche agli atti unilaterali quali la rinunzia ad un diritto e se, quindi, una volta accertata la volontà di
sostituire la prestazione con altra più vantaggiosa, si può ritenere apposta implicitamente una
condizione.
Con il terzo motivo di ricorso si censura la sentenza per avere affermato, con erronea applicazione
dell’art. 1353 c.c., e nonostante il tenore della lettera inviata dal D’Arrigo alla società datrice il 3.9.1988,
che si era ritenuto di rinunziare, puramente e semplicemente, al beneficio indennitario laddove, invece,
la richiesta di sostituzione dell’equo indennizzo era, all’ evidenza, subordinata alla liquidazione della
rendita prevista dal d.p.r. 1124/1965, nella misura già riconosciuta del 24%, ovvero in misura maggiore,
e ciò sin dalla istanza del 26.6.1978.

r.g.19954/2007

F.Garrí

La Corte d’appello di Messina ha respinto l’appello proposto da Placido D’Arrigo avverso la sentenza
del Tribunale della stessa città che, in accoglimento dell’opposizione proposta dalla Ferrovie dello Stato
s.p.a. avverso il decreto con il quale il D’Arrigo aveva ingiunto alla società il pagamento della somma di
4.416.283 dovutagli a titolo di equo indennizzo in relazione a patologie dipendenti da cause di
servizio, aveva ritenuto che il dipendente avesse rinunciato alla liquidazione dell’equo indennizzo
avendo optato per il riconoscimento della malattia professionale.

Con l’ultimo motivo, infine, ci si duole della mancata pronuncia della Corte territoriale sul motivo di
appello con il quale si censurava l’affermazione del giudice di primo grado che aveva ritenuto non
cumulabile la rendita per malattia professionale con l’equo indennizzo ed aveva, d’ufficio, operato una
compensazione tra le prestazioni, così incorrendo nella violazione dell’art. 112 c.p.c. e degli art. 68 del
d.p.r. n.3/1957 e dell’art.48 del d.p.r. n. 686/57.
Tale punto della motivazione della sentenza di primo grado era stato specificatamente censurato ma la
sentenza d’appello non ne aveva fatto alcun cenno omettendo del tutto la pronuncia sul punto.

medesima questione e sono in parte inammissibili e comunque infondate.
Va rammentato che secondo l’orientamento consolidato di questa Corte l’interpretazione di un atto
negoziale è un tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito ed incensurabile in sede di
legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui agli artt.
1362 e ss. cod. civ., o di una motivazione inadeguata, vale a dire inidonea a consentire
la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere alla decisione.
Ne consegue che ove si intenda far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre sì fare puntuale
riferimento alle regole legali d’interpretazione, mediante la specifica indicazione dei canoni che si
ritengono violati e dei principi in esse contenuti, ma è necessario, altresì, precisare in che modo e con
quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato.
Ne consegue che, nel caso in cui il motivo di ricorso si fondi su di una asserita violazione delle norme
ermeneutiche ovvero abbia riferimento ad un vizio della motivazione, ma si risolva in realtà nella
proposta di una diversa interpretazione dei fatti, le censure sono per le considerazioni esposte
inammissibili (cfr tra le tante Cass. 30.4.2010 n. 10554 e le sentenze ivi richiamate Cass. nn.
22536/2007, 14850/2004, 4948/2003, 8994/2001).
E’ proprio questa la situazione verificatasi nel caso in esame.
Il ricorrente denuncia l’ omesso, ovvero errato, esame della documentazione attestante l’esistenza di
una sua rinuncia alla prestazione indennitaria che assume essere stata condizionata al riconoscimento
della diversa prestazione con pari caratteristiche e più risalente decorrenza (rendita per malattia
professionale in luogo dell’equo indennizzo di cui era titolare). Inoltre si duole dell’ errata
interpretazione dell’atto denunciando, comunque, l’errata applicazione della disciplina relativa
all’apposizione di una condizione. Nella sua censura si limita a proporre una lettura degli atti diversa da
quella data dal giudice di merito senza porre in evidenza l’esistenza di alcun fatto decisivo non
esaminato dalla Corte territoriale che, ove preso in esame, avrebbe determinato una diversa decisione
della controversia.
Per contro la Corte d’Appello di Messina ha logicamente, congruamente ed adeguatamente chiarito le
ragioni per le quali sulla base degli atti acquisiti e delle deduzioni delle parti non si poteva ritenere che la
rinunzia del dipendente, alla prestazione indennitaria già riconosciutagli, fosse subordinata al
riconoscimento della diversa prestazione con la medesima decorrenza dell’equo indennizzo. La corte
territoriale ha posto in evidenza, tra l’altro, che la rendita per la malattia professionale (in favore della
quale il dipendente aveva con la rinuncia manifestato la preferenza) era stata riconosciuta a seguito di
giudizio, la cui sentenza era divenuta definitiva, con accoglimento della domanda con decorrenza, e
r.g.19954/2007

F.Garri

Le censure possono essere esaminate congiuntamente in quanto attengono, per profili diversi, alla

diversamente non poteva essere, proprio dalla data della relativa domanda amministrativa presentata dal
dipendente all’Istituto previdenziale.
Peraltro il D’Arrigo, così contravvenendo all’art. 369 comma 2 n. 4 c.p.c., pur riproducendo nel corpo
del ricorso, almeno in parte, il testo della lettera di cui lamenta per vari profili l’errata interpretazione da
parte della Corte territoriale, omette poi di allegare al ricorso copia dell’atto di rinuncia e/o di indicarne
la collocazione nell’ambito degli atti prodotti nel corso del giudizio.
Secondo la giurisprudenza, anche a Sezioni Unite, di questa Corte, a seguito della riforma ad opera del

il documento, pur individuato in ricorso, risulti prodotto. Tale specifica indicazione, quando riguardi
un documento prodotto in giudizio, postula che si individui dove sia stato prodotto nelle fasi di merito
e, in ragione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, anche che esso sia prodotto in sede di legittimità
(cfr, exp/urimis, Cass., SU, n. 28547/2008; Cass., n. 20535/2009).
La giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte ha ulteriormente ritenuto che la previsione di cui
al ricordato art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, deve ritenersi soddisfatta, quanto agli atti e
ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante la produzione del fascicolo nel quale
siano contenuti gli atti e i documenti su cui il ricorso si fonda, ferma in ogni caso l’esigenza di
specifica indicazione, a pena di inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, degli atti,
dei documenti e dei dati necessari al reperimento degli stessi (cfr., Cass., SU, n. 22726/2011).
Tale necessario adempimento è stato del tutto omesso dall’odierno ricorrente con la conseguenza che,
anche per tale profilo il ricorso è inammissibile.
Le esposte considerazioni determinano la reiezione del ricorso, restando assorbito l’esame della censura
formulata nel quarto motivo relativa ad una omessa pronuncia da parte del giudice di appello sul
motivo di gravame relativo alla cumulabilità delle prestazioni indennitarie.
Le spese seguono la soccombenza e vanno poste a carico della parte soccombente ex art. 91 cod. proc.
civ..
Deve farsi applicazione del nuovo sistema di liquidazione dei compensi agli avvocati di cui al D.M. 20
luglio 2012, n. 140, Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di
un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni vigilate dal Ministero della giustizia, ai sensi
dell’art. 9 del d.l. 24 gennaio 2012 n. 1, conv., con modificazioni, in 1. 24 marzo 2012 n. 27. L’art. 41 di
tale Decreto n. 140/2012, aprendo il Capo VII relativo alla disciplina transitoria, stabilisce che le
disposizioni regolamentari introdotte si applicano alle liquidazioni successive all’ entrata in vigore del
Decreto stesso, avvenuta il 23 agosto 2012.
Tenuto conto dello scaglione di riferimento della causa; considerati i parametri generali indicati nell’art.
4 del D.M. e di due delle tre fasi previste per il giudizio di cassazione (fase di studio, fase introduttiva e
fase decisoria) atteso che la società non ha presenziato all’odierna udienza di discussione nella allegata
Tabella A, i compensi sono liquidati nella misura omnicomprensiva di € 2.000,00 e di € 50,00 per
esborsi, oltre accessori di legge.

PQM
r.g.19954/2007

F.Garri

d.lgs. n. 40 del 2006, il novellato art. 366 c.p.c., n. 6, oltre a richiedere la “specifica” indicazione degli
atti e documenti posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale

LA CORTE
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio liquidate in C 2000,00 per compensi
professionali ed in € 50 per esborsi oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma il 14 dicembre 2012
residente lvw

Il consigliere estensore

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