Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10063 del 21/04/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 21/04/2017, (ud. 12/01/2017, dep.21/04/2017),  n. 10063

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5725/2016 proposto da:

L.A., D.L., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA MARCO CALIDIO 19, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIA

MARCHESINI, rappresentati e difesi dall’avvocato PASQUALE STILLA

giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

T.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI

PIETRALATA 320-D, presso lo studio dell’avvocato GIGLIOLA MAZZA

RICCI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

FRANCESCO PRIGIONIERI giusta mandato speciale in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 37/2015 della CORTE D’APPELLO di BARI del

9/01/2015, depositata il 19/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non

partecipata del 12/01/2017 dal Consigliere Relatore Dott. SCARANO

LUIGI ALESSANDRO.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

Con sentenza del 19/1/2015 la Corte d’Appello di Bari, in parziale accoglimento del gravame interposto dal sig. T.L. e in conseguente parziale riforma della pronunzia Trib. Foggia n. 237/2008, ha dichiarato l’inadempimento dei sigg. D.L. e L.A., degli obblighi derivanti dall’accordo transattivo concluso con il T.L. in data 10/3/2004, dando atto della conseguente risoluzione di diritto della transazione.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il D.L. e il L.A. propongono ora ricorso per cassazione, affidato a 3 motivi illustrati da memoria.

Resiste con controricorso il T.L..

E’ stata comunicata al P.G. e notificata ai difensori delle parti costituite proposta ex art. 380 bis c.p.c..

Con il 1 motivo i ricorrenti denunziano “violazione e falsa applicazione” dell’art. 99 c.p.c., art. 112 c.p.c., art. 1350 c.c., art. 1362 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 2 motivo denunzia violazione e falsa applicazione” degli artt. 112, 116, 61, 360, 366 c.p.c., L. n. 47 del 1985, art. 18, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Con il 3 motivo denunzia violazione degli artt. 91, 96 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Il 1 e il 2 motivo, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono inammissibili.

Essi risultano formulati in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, atteso i ricorrenti pongono a loro fondamento atti del giudizio di merito (es., la “domanda introduttiva”, la “scrittura privata”, l'”atto di transazione sottoscritto il 10.3.2004″, gli “atti introduttivi dei giudizi, ivi compreso l’atto di citazione – definito con la sentenza 2310 del 2003 -“, la “sentenza di primo grado”, le “conclusioni di parte attrice”, tutti “gli atti processuali”, le “prove assunte”, la CTU, i “documenti depositati dallo stesso c.t.u. (Allegati n. 6 – 7 – 8 – 9 – 10 – 11)”, il “verbale di allineamento e quote redatto dal comune di San Marco in Lamis in data 17.9.2004 (veggasi fascicolo ricorrenti), la istanza istruttoria – reiterata in appello – al fine di dimostrare che i lavori – erano piaciuti ed erano di gradimento del T.L. – (sul punto veggasi memorie art. 184 c.p.p. – recte, c.p.c. -) limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente – per la parte d’interesse in questa sede – riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte Suprema di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v., da ultimo, Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239, e, da ultimo, Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).

A tale stregua non deducono le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura del solo ricorso, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 20/1/2006, n. 1108; Cass., 8/11/2005, n. 21659; Cass., 2/81/2005, n. 16132; Cass., 25/2/2004, n. 3803; Cass., 28/10/2002, n. 15177; Cass., 12/5/1998 n. 4777) sulla base delle sole deduzioni contenute nel medesimo, (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161).

Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso -apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione, dovendo il ricorrente viceversa porre la Corte di legittimità in grado di orientarsi fra le argomentazioni in base alle quali ritiene di censurare la pronunzia impugnata (v. Cass., 21/8/1997, n. 7851).

Va altresì osservato che i ricorrenti inammissibilmente lamentano una contraddittoria motivazione, laddove alla stregua della vigente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel caso ratione termporis applicabile, il vizio di motivazione denunciabile con ricorso per cassazione concerne solamente l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, dovendo riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico – fenomenica, e non già quelli di insufficienza, illogicità e contraddittorietà della motivazione su questioni decisive della controversia, e a fortiori di omesso o illogico o superficiale esame di determinate emergenze probatorie, essendo invero sufficiente che come nella specie il fatto sia stato esaminato, non essendo il giudice di merito tenuto a dare necessariamente conto di tutte le risultanze probatorie emerse all’esito dell’istruttoria come astrattamente rilevanti (cfr. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053, e, da ultimo, Cass., 29/9/2016, n. 19312).

Emerge evidente, a tale stregua, come lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni dei ricorrenti, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in realtà si risolvono nella mera doglianza circa la dedotta erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle loro aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via in realtà sollecitano, cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

Senza sottacersi che come questa Corte ha già avuto modo di porre in rilievo il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunziabile mediante ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nè nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (il quale attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio) nè in quello del precedente n. 4 (il quale dà rilievo -per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante) (v., da ultimo, Cass., 10/6/2016, n. 11892).

Stante l’inammissibilità del 1 e del 2 motivo, il 3 motivo risulta conseguentemente assorbito.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Va rigettata la richiesta formulata dal controricorrente di condanna dei ricorrenti ex art. 96 c.p.c., comma 3, non ricorrendone nella specie i presupposti di legge.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.500,00, di cui Euro 2.300,00 per onorari, oltre ad accessori come per legge.

Ai sensi, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 12 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2017

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