Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10062 del 27/04/2010

Cassazione civile sez. III, 27/04/2010, (ud. 18/03/2010, dep. 27/04/2010), n.10062

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SENESE Salvatore – Presidente –

Dott. AMATUCCI Alfonso – rel. Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

SUPPLY SIDE ECONOMICS SRL (OMISSIS) in persona

dell’Amministratore Unico Arch. G.R., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA F DENZA 27, presso lo studio dell’avvocato

PIPERNO PAOLO DAVIDE, che la rappresenta e difende unitamente agli

avvocati ERCOLI COSTANTINO, ERCOLI PIERANTONIO con delega a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

S.L. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA E.L. CERVA 37, presso lo studio dell’avvocato QUERQUES

SERAFINO, che lo rappresenta e difende con delega a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1383/2005 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

Prima Sezione Civile, emessa il 24/05/2005; depositata il 28/05/2005;

R.G.N. 2692/2003;

unita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/03/2010 dal Consigliere Dott. ALFONSO AMATUCCI;

udito l’Avvocato QUERQUES SERAFINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo che ha concluso per l’accoglimento.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Supply Side Economics s.r.l. (già Laus Casa s.r.l., d’ora innanzi L.C.) ricorre per cassazione, affidandosi a due motivi, avverso la sentenza della corte d’appello di Milano n. 1383/05 che, in riforma della sentenza di primo grado che la aveva parzialmente accolta, ne ha respinto la domanda per il pagamento della provvigione mediatoria (Euro 16.268,39 + IVA) proposta nei confronti di S. L. in relazione alla compravendita di un immobile perfezionatasi il 15.11.1991 su incarico conferito il 24.11.1990, in base al rilievo officioso che la società attrice non aveva provato di essere iscritta (essa stessa o il suo legale rappresentante) nel ruolo degli agenti degli affari in mediazione di cui alla L. n. 39 del 1989, art. 2, comma 1.

Lo S. resiste con controricorso.

La società ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Va preliminarmente rilevata l’inammissibilità della produzione, effettuata dal controricorrente in questa sede, di documenti non prodotti nei precedenti gradi del processo e non concernenti la nullità della sentenza o l’ammissibilità del ricorso o del controricorso (art. 372 c.p.c., comma 1).

1.- Col primo motivo del ricorso la ricorrente si duole – deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 101, 112 e 115 c.p.c., in relazione ai principi del contraddittorio, dell’onere della prova e del diritto di difesa; omesso esame e motivazione in merito all’applicabilità della L. n. 89 del 1989 e del d.m. al contratto de quo – che la corte d’appello abbia officiosamente rilevato la nullità del contratto benchè il contraddittorio tra le parti, sia in primo che in secondo grado, avesse avuto riguardo unicamente a questioni di merito (“ossia se L.C. avesse o meno adempiuto al mandato conferitole da S., se la revoca di quel mandato da parte dello S. fosse o meno tempestiva e liberatoria per lui, nonchè se la successiva vendita di S. a quegli stessi soggetti con i quali aveva trattato con l’intermediazione di L.C. fosse conseguenza o meno di quel mandato”).

Sostiene in particolare:

a) che la nullità si sarebbe potuta accertare solo in quanto dipendente da causa già provata ed appartenente alla materia del contendere (pagine da 6 a 8 del ricorso);

b) che la questione relativa alla propria iscrizione all’albo avrebbe potuto essere dimostrata, mentre s’era negato che essa potesse agire in giudizio senza che le fosse data la possibilità di difendersi (pagine 8 e 9 del ricorso);

c) che “al momento della stipulazione del mandato de quo, anche se inquadrabile nella mediazione, l’iscrizione di L.C. al nuovo albo speciale non era ancora necessaria, non essendo stato ancora emanato il regolamento che determinava le modalità per il passaggio dall’albo ex art. 115 t.u.p.s. a quello ex Lege del 1989 (il mandato è del 24.11.00 (n.d.e.: ma, recte, 24.11.90), il regolamento è stato emanato nel marzo 91)” (pagine da 9 a 12 del ricorso).

2.- Il primo profilo è infondato.

La corte d’appello ha rilevato che proprio dalla natura mediatoria dell’incarico; ravvisata dal primo giudice e dalla stessa corte condivisa dovessero “trarsi le necessarie ed inevitabili conseguenze quanto al difetto del diritto a riscuotere la provvigione” (pagina 7, ultime quattro righe). Ed ha ritenuto che la nullità del contratto che aveva dato origine alla mediazione per mancanza di iscrizione del mediatore nel ruolo previsto dalla L. n. 39 del 1989 (con l’impossibilità per il mediatore di agire in giudizio per conseguire le provvigioni relative all’attività espletata) costituisce un’eccezione in senso lato, afferendo a questione rilevabile d’ufficio dal giudice, come tale non soggetta in grado di appello alle preclusioni di cui all’art. 345 cod. proc. civ..

La possibilità del rilievo officioso della nullità è conforme a diritto (cfr. Cass., nn. 14076/2002, 20749/2004, 5953/2005 e 22859/2007), salve le osservazioni che saranno svolte nell’esaminare il secondo profilo di censura (appresso, sub 2.2.).

2.1.- Infondato è anche il terzo profilo.

La citata Cass., n. 22859/2007, in un caso per molti versi analogo, ha bensì concluso nel senso che non fosse consentito precludere alla parte, in caso di rilievo d’ufficio della nullità in grado di appello, la prova del suo diritto ad essere iscritta nel ruolo dei mediatori; ma lo ha fatto nella positiva ricorrenza del presupposto di cui alla L. n. 39 del 1989, art. 9, comma 2, costituito dalla incontroversa risultanza della preventiva iscrizione del mediatore nei ruoli costituiti in base alla previgente L. 21 marzo 1958, n. 253.

Nella specie, per contro, la doglianza relativa al non avere la corte d’appello considerato che il regolamento di attuazione della L. n. 39 del 1989 (D.M. 21 dicembre 1990, n. 452, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 5.3.1991, n. 54) era entrato in vigore in epoca successiva al conferimento dell’incarico (risalente al 24.11.1990) è supportata dall’inconferente argomento che sussisteva una licenza ex art. 115 T.U.P.S.: la L. n. 39 del 1989, art. 5, comma 2, prevede infatti esplicitamente che la licenza di cui al citato art. 115 non abilita all’esercizio dell’attività di mediazione. Nè il regolamento (che non determina affatto “le modalità per il passaggio dall’albo ex art. 115 a quello ex Lege 1989”, come invece affermato dalla ricorrente a pag. 11 del ricorso, in fine) stabilisce che quella licenza fosse transitoriamente sufficiente; non, in particolare, all’art. 14, che si limita a prevederne in alcuni casi la necessità.

Difetta dunque – secondo la prospettazione della stessa ricorrente quanto al profilo in scrutinio – l’allegazione della sussistenza di un fatto da provare giuridicamente rilevante ai fini della sussistenza del diritto del mediatore all’iscrizione nel ruolo nell’intervallo di tempo intercorso tra l’entrata in vigore delle legge e l’emanazione del regolamento di attuazione, che dettava le norme per la costituzione delle menzionate Commissioni provinciali.

Non è conseguentemente ravvisabile alcuna violazione del principio del contraddittorio (ma, più propriamente, di difesa); violazione che, a seguito del rilievo officioso in appello della mancanza di un fatto costitutivo del diritto, in tanto sarebbe stato in concreto ipotizzabile in quanto fosse stata in questa sede prospettato non già un insussistente errore di diritto (cfr. Cass., sez. un., n. 20935/2009), ma una circostanza idonea a dimostrare, se provata, che il diritto esisteva.

2.2.- E’ quanto, appunto, il ricorrente prospetta col secondo profilo di doglianza, sopra riportato sub 1, lett. b), laddove afferma che, se fosse stato posto in condizione di provare quanto la corte territoriale aveva presupposto nel pronunciare officiosamente la nullità, avrebbe dimostrato l’iscrizione all’albo e, con questo, che non sussisteva il fatto presupposto, che cioè l’iscrizione mancava.

Tale censura è fondata in applicazione del principio secondo il quale la mancata segnalazione da parte del giudice di una questione sollevata d’ufficio che comporti nuovi sviluppi della lite non presi in considerazione dalle parti, modificando il quadro fattuale, determina nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa delle parti, private dell’esercizio del contraddittorio, con le connesse facoltà di modificare domande ed eccezioni, allegare fatti nuovi e formulare richieste istruttorie sulla questione che ha condotto alla decisione solitaria. Qualora la violazione, nei termini suindicati, si sia verificata nel giudizio di appello, la sua deduzione in cassazione determina, se fondata, la cassazione della sentenza con rinvio, affinchè in tale sede, in applicazione dell’art. 394 cod. proc. civ., comma 3, sia dato spazio alle attività processuali che la parte abbia lamentato di non aver potuto svolgere a causa della decisione solitariamente adottata dal giudice (così Cass., n. 16577/05; e cfr. anche 15194/08 e 18191/09).

3.- Il secondo motivo, concernente la regolazione delle spese, resta assorbito.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Accoglie per quanto di ragione il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo, cassa in relazione alla censura accolta e rinvia, anche per le spese, alla corte d’appello di Milano in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 18 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2010

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