Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10061 del 27/04/2010

Cassazione civile sez. III, 27/04/2010, (ud. 18/03/2010, dep. 27/04/2010), n.10061

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SENESE Salvatore – Presidente –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.C.V. (OMISSIS), A.D.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 38, presso io studio dell’avvocato PETTI BIANCA MARIA,

rappresentati e difesi dagli avvocati CASALE ANTONELLA, POLIMENJ

FRANCESCO con delega in calce al ricorso;

– ricorrenti –

e contro

R.R., M.S.;

– intimati –

e contro

NAVALE ASSIC SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE

FLAMINIO 26, presso lo studio dell’avvocato BALDI GIUSEPPE, che la

rappresenta e difende con procura speciale del Notaio Dott.ssa

TABACCHI CLARA in SAN DONATO MILANESE IL 16/06/2009 Repertorio N.

67158;

– resistenti –

avverso la sentenza n. 13/2005 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, emessa il 23/09/2004; depositata il 27/01/2005; R.G.N.

157/1989;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/03/2010 dal Consigliere Dott. PAOLO D’AMICO;

udito l’Avvocato GALLONE GIORGIO (per delega Avvocato CASALE;

ANTONELLA);

udito l’Avvocato BALDI GIUSEPPE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo, che ha concluso per l’accoglimento.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

A.D. ved. D.C., agendo nella gualità di madre esercente la potestà sulla figlia minore D.C.V., conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Reggio Calabria B.R. e M.S., rispettivamente proprietario e conducente di una Fiat 500, nonchè la Salda spa, assicuratrice della responsabilità civile per i danni causati da tale autovettura.

L’attrice chiedeva il risarcimento dal danno che asseriva essere stato causato dal M. alla figlia, investita da quest’ultimo mentre, da pedone, percorreva un marciapiede.

A.D. chiedeva quindi la condanna in solido dei convenuti al pagamento della somma di L. 23.888.300, maggiorata degli interessi legali e della rivalutazione monetaria; chiedeva altresì “spese di rivalsa della Regione Calabria”.

Si costituivano il B., proprietario dell’auto investitrice, e la società Salda, sua assicuratrice; rimaneva contumace il conducente M..

La Salda contestava le modalità del sinistro come descritte da parte attrice, assumendo che era stata la piccola D.C. ad andare ad urtare l’autovettura “quasi ferma”, ed attribuiva la esclusiva responsabilità al pedone; contestava anche la misura del danno richiesto; adduceva l’impossibilità che la liquidazione del danno eccedesse il massimale contrattuale di L. 20.000.000; infine, eccepiva la avvenuta prescrizione del diritto al risarcimento ex art. 2947 cod. civ..

Il B., contestava radicalmente la fondatezza della domanda e chiedeva che in caso di accoglimento la pretesa risarcitoria fosse contenuta nei limiti del massimale di polizza.

Il Tribunale, disattesa l’eccezione di prescrizione, accoglieva la domanda (nel frattempo fatta propria anche da V. de C., divenuta maggiorenne), e liquidava il danno, con la somma di L. 34.304.630, comprensiva della rivalutazione monetaria alla data della sentenza e riconosceva su tale somma gli interessi legali dalla data del sinistro.

Contro questa decisione proponeva appello la società SALDA, chiamando in giudizio sia le attrici di primo grado A. e D. C., sia il proprio assicurato, B.R., sia il guidatore dell’auto coinvolta nel sinistro, M.S..

L’appellante contestava l’impugnata decisione in ordine alle modalità del sinistro, alla responsabilità per la sua causazione, al quantum del risarcimento. Riproponeva quindi l’eccezione di prescrizione del diritto al risarcimento e chiedeva di riformare nel merito la sentenza; in via subordinata, e nel caso fosse stato accertato un concorso di colpa, chiedeva di ridurre il quantum; in via “ancor più subordinata” chiedeva di statuire che essa Salda fosse tenuta per la somma 20.000. 000 prevista nel massimale.

Le appellate Am. e D.C. si costituivano chiedendo il rigetto; in via incidentale, affermavano che la Salda si era resa responsabile di una mala gestio del sinistro e chiedevano, in riforma della sentenza appellata, la condanna della società appellante.

Non si costituivano in giudizio B.R. e M. S..

La Corte d’Appello di Reggio Calabria dichiarava che il sinistro per cui è causa fu dovuto a eguale concorso del guidatore dell’autovettura e della pedone D.C.; determinava in Euro 13.528,43 il danno biologico da invalidità permanente subito dalla D.C.; confermava la determinazione del danno biologico da inabilità totale e parziale, nonchè di quello patrimoniale;

condannava la Salda spa al pagamento della metà di tali danni in favore delle attrici di primo grado.

Proponeva ricorso per cassazione D.C.V..

Parte intimata non svolgeva attività difensiva, limitandosi a depositare procura ed a partecipare alla discussione orale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo parte ricorrente denuncia: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2054 c.c., artt. 2043 e 2056 c.c., nonchè contraddittorietà e illogicità della motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., commi 3 e 5, per avere la Corte di Appello: a) Ribaltato la costruzione dei fatti operata dal Tribunale; b) affermato una corresponsabilità paritaria tra pedone e conducente. Secondo parte ricorrente l’error iuris in cui è incorsa la Corte, relativo alla valutazione del nesso di causalità (artt. 2043, 2056 c.c.), costituisce violazione del criterio della causalità giuridica mentre, in assenza di prove contrarie, non avrebbe dovuto considerarsi superata la presunzione di responsabilità ex art. 2054 c.c..

Il motivo è infondato.

Parte ricorrente propone infatti una ricostruzione della dinamica del sinistro diversa da quella del Giudice di merito ed a lei più favorevole, ma non dimostra i denunciati vizi. La Corte d’Appello ha invece motivato tale decisione in modo molto analitico, con ragionamento rigoroso ed immune da vizi logici o giuridici che non consente in questa sede un sindacato sugli aspetti fattuali delle modalità del sinistro.

Con il secondo e terzo motivo, che per la loro connessione devono essere congiuntamente esaminati, si denuncia rispettivamente: 2) “Violazione e falsa applicazione della L. n. 57 del 2001, degli artt. 3 e 32 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., commi 3 e 5. Omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia, per avere la Corte d’Appello determinato la gravità delle lesioni in misura restrittiva e difforme rispetto alla prova scientifica in atti e applicato la L. n. 57 del 2001 avente per chiara dizione, carattere non retroattivo”; 3) “Violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3 e 32 Cost. e artt. 2043, 2056 e 1226 c.c., nonchè omessa motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 3 e 5, per avere la Corte d’Appello statuito che il danno biologico non andava liquidato in via equitativa ma seguendo e indicando i valori di punto di invalidità, adottati al tempo della pronuncia”.

Sostiene parte ricorrente che non è conforme a legge una interpretazione retroattiva che applica successivamente (dopo 26 anni) e per analogia, criteri specifici che non governavano la materia all’epoca del sinistro. A suo avviso infatti la riduzione dei postumi invalidanti a carattere permanente, accertata dal c.t.u.

nella misura del 10%, è stata dalla sentenza impugnata ridotta arbitrariamente ad una percentuale inferiore e non desumibile dalle indicazioni di calcolo fornite in sentenza.

I motivi sono articolati in più censure.

Per quanto riguarda la percentuale di invalidità la censura non è autosufficiente perchè non ha riportato il brano della c.t.u. in cui tale percentuale si assume essere stata determinata in misura diversa da quella presa in considerazione dal Giudice di merito.

Va peraltro rilevato come l’impugnata sentenza (p. 9) affermi testualmente che la misura dell’invalidità, residuata dal sinistro, è “inferiore al 10%” e che tale giudizio, formulato dal consulente, non è stato oggetto di appello.

Quanto all’entità del risarcimento, afferma parte ricorrente che il Giudice di primo grado ha adottato il criterio equitativo puro, il cui calcolo pone a base la gravità delle lesioni e la personalizzazione del danno, con riferimento al singolo caso. La sua decisione non poteva perciò essere arbitrariamente riformata e ridotta con criteri di calcolo fondati su presupposti totalmente errati, quale – tra gli altri – l’età della vittima che, all’epoca dell’incidente, era di dieci anni e di 13 come erroneamente ritenuto dalla corte territoriale.

Nè il sistema del punto variabile può consistere in un mero automatismo proprio perchè il metodo è diretto ad ottenere un trattamento minimo uniforme integrato per gli aspetti dinamici e personalizzati.

Qualora si ritenesse applicabile al caso concreto la L. n. 57 del 2001, parte ricorrente intende proporre la questione di legittimità costituzionale della stessa, art. 5, per violazione degli artt. 2, 3, 32 Cost., nella parte in cui l’efficacia retroattiva dei suoi criteri di calcolo determina una evidente violazione dei principi costituzionali di eguaglianza, solidarietà e personalità.

La censura relativa al sistema di calcolo è fondata.

Come hanno di recente ribadito le SS.UU. di questa Corte, infatti, il giudice di merito, qualora si avvalga delle note tabelle, deve procedere alla personalizzazione della liquidazione del danno biologico, la quale non è mai preclusa dalla liquidazione sulla base del valore tabellare differenziato di punto, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza, evitando però duplicazioni di risarcimento (SS.UU. n. 26972 del 2008). Cfr, tra le ultime, Cass. n. 11048/09.

Per le ragioni che precedono deve essere rigettato il primo motivo ed accolti il secondo ed il terzo, nei limiti di cui in motivazione. La sentenza deve essere cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Reggio Calabria che deciderà in diversa composizione, anche sulle spese del processo di cassazione, sulla sola liquidazione del danno biologico attenendosi al principio di diritto sopra richiamato.

PQM

Accoglie il secondo e terzo motivo. Rigetta il primo.

Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa, anche per le spese del processo di cassazione, alla Corte d’appello di Reggio Calabria in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 18 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2010

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