Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1006 del 21/01/2010

Cassazione civile sez. III, 21/01/2010, (ud. 18/12/2009, dep. 21/01/2010), n.1006

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI NANNI Luigi F. – Presidente –

Dott. FEDERICO Giovanni – Consigliere –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. URBAN Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

A.R., elettivamente domiciliato in Roma, Via Po n. 43

presso lo studio dell’avv. prof. BIANCA Cesare Massimo, che la

rappresenta e difende unitamente all’avv. Claudio Bredice giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

R.A., elettivamente domiciliata in Roma, Via

Labicana n. 45, presso lo studio dell’avv. ARGENTI Carlo, che la

rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

e contro

H.M., domiciliata in Roma, Via Ludovico De Filippi n. 6,

presso lo studio dell’avv. Umberto Volpi;

– intimata –

avverso la sentenza n. 112/05 della Corte d’Appello di Bari in data 8

febbraio 2005, pubblicata il 15 febbraio 2005.

Udita la relazione del Consigliere Dott. Giancarlo Urban;

udito l’avv. Carlo Argenti;

udito il P.M., in persona del Cons. Dott. ABBRITTI Pietro, che ha

concluso per l’inammissibilità o per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 9 maggio 1997, A.R. adiva il Pretore di Roma per sentir determinare, ai sensi della L. n. 392 del 1978, artt. 12 e 14, l’ammontare del canone di locazione relativo all’appartamento sito in (OMISSIS), a lei locato nel (OMISSIS) dal Sig. D.N.N., poi deceduto il (OMISSIS), ed al quale erano succedute, prima, mortis causa, la Sig.ra H.M. e, successivamente, per atto di vendita del (OMISSIS), la sig.ra R.A.. Nello stesso atto l’ A. chiedeva la condanna sia della H. che della R. al pagamento della somma di L. 31.000.000, assumendo d’averla corrisposta in eccedenza rispetto all’equo canone.

Le locatrici H. e R. si costituivano in giudizio contestando la domanda. In particolare, la H. eccepiva l’inammissibilità della domanda per l’intercorsa decadenza della ricorrente da ogni azione e pretesa nei suoi confronti, essendo ampiamente decorso il termine di sei mesi, previsto dalla L. n. 392 del 1978, art. 79, comma 2, e la R. che il contratto e che la domanda non era documentata.

Con sentenza depositata in data 15 maggio 2002, il Tribunale di Roma dichiarava inammissibile la domanda proposta nei confronti di H. M., per l’intervenuta decadenza, e rigettava quella proposta nei confronti di R.A., per mancata produzione della documentazione attestante l’avvenuto pagamento dei canoni per il periodo per il quale si chiedeva la ripetizione delle somme.

La Corte d’Appello di Roma, con sentenza del 20 aprile 2004, dichiarava la inammissibilità dell’appello proposto da A. R., che condannava alle spese del giudizio: rilevava che il ricorso in appello era stato depositato in cancelleria oltre il termine di legge.

Propone ricorso A.R. con unico motivo.

Resiste con controricorso R.A..

La ricorrente A. ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1292, e 2033 c.c. e artt. 102, 140, 327, 332 e 434 c.p.c., L. n. 392 del 1978, artt. 12, 43, 44, 45 e 79, nonchè l’insufficienza e contraddittorietà della motivazione in quanto il ricorso in appello sarebbe tempestivo, in quanto sarebbe applicabile il termine annuale di cui all’art. 327 c.p.c..

Si osserva che la sentenza di primo grado fu notificata a cura della resistente R. alla A. in data 13 settembre 2002 e alla H. in data 16 novembre 2002; il ricorso in appello è stato depositato dall’ A. il 15 maggio 2003 e quindi oltre il termine di trenta giorni previsto dall’art. 434 c.p.c., comma 2. La Corte d’ Appello, nel richiamare la giurisprudenza di legittimità (Cass. 24 giugno 2003 n. 10026), ha rammentato che nell’ipotesi di processo con pluralità di parti, qualora si tratti di cause inscindibili o dipendenti, vige il principio secondo il quale, stante l’unitarietà del termine per l’impugnazione, la notifica della sentenza ad istanza di una sola delle parti segna, nei confronti della stessa e della parte destinataria della notificazione, l’inizio del termine per la proposizione dell’impugnazione contro tutte le altre parti. Ha quindi aggiunto che pur non vertendosi nella specie in ipotesi di litisconsorzio necessario, in quanto i rapporti erano distinti, era in ogni caso configurabile un litisconsorzio processuale necessario, dal momento che la parte ricorrente aveva sin dall’ inizio formulato domanda di condanna delle due convenute al pagamento di una somma globale, senza scindere i rapporti. Di conseguenza, in applicazione del principio richiamato, la notifica della sentenza di primo grado eseguita a cura della R., comportò il decorso dei termini per proporre appello anche nei riguardi della H..

La ricorrente sostiene che nella specie non sarebbe applicabile il termine breve (di cui all’art. 325 c.p.c.) per l’impugnazione, ma quello annuale previsto dall’art. 327 c.p.c., poichè non sarebbe consentito di applicare il termine breve anche nei riguardi della parte che non notificò la sentenza e cioè la H.. Si contesta quindi la sussistenza nella specie di una ipotesi di litisconsorzio necessario: detta contestazione è formulata tuttavia in modo generico, senza approfondire le ragioni per cui la valutazione operata dalla Corte d’Appello sarebbe erronea, nè viene trattata la questione della configurabilità di un litisconsorzio processuale, come da espressa affermazione della sentenza impugnata, nel senso che le cause proposte nei confronti dei diversi soggetti siano in rapporto di dipendenza ovvero sia configurabile una oggettiva interrelazione tra le stesse.

In tale contesto quindi, il motivo di impugnazione ha omesso di considerare la ratio decidendi sopra riportata, finendo in tal modo di tralasciare la riferibilità del motivo alla decisione impugnata (Cass., Sez. 3^, 6 giugno 2006, n. 13259; Cass., Sez. lav., 15 marzo 2006, n. 5637; Cass., Sez. 3^, 15 febbraio 2003, n. 2312). Il motivo di ricorso – ove prospetta l’errore, nell’avere ritenuto configurabile un litisconsorzio processuale necessario – non coglie la ratio decidendi della sentenza di secondo grado, la quale ha fondato la propria decisione proprio su tale aspetto.

Il motivo risulta quindi inammissibile.

Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Sezione Terza Civile, rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese de giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.700,00, di cui Euro 1.500,00 per onorari, oltre spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2010

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