Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10059 del 28/05/2020

Cassazione civile sez. VI, 28/05/2020, (ud. 24/10/2019, dep. 28/05/2020), n.10059

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34554 – 2018 R.G. proposto da:

M.M., titolare della ditta “Soluzione Clima” – P. I.v.a.

00685881211 – rappresentato e difeso in virtù di procura speciale

in calce al ricorso dall’avvocato Sabato Tufano; elettivamente

domiciliato in Roma, presso la cancelleria della Corte di

Cassazione.

– ricorrente –

contro

P.T. – c.f. (OMISSIS) – rappresentata e difesa in virtù

di procura speciale su foglio separato in calce al controricorso

dall’avvocato Giuseppe Sangiovanni; elettivamente domiciliata in

Roma, alla via V. Colonna, n. 40, presso lo studio dell’avvocato

Alberto Di Capua.

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2377 dei 4/6.11.2018 del tribunale di Torre

Annunziata;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 ottobre

2019 dal consigliere Dott. Luigi Abete.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. Con decreto n. 173/2010 il giudice di pace di Pompei, su ricorso di M.M., titolare della ditta individuale “Soluzione Clima”, e sulla scorta della fattura n. 38/2010 e di copia/estratto del registro vendite, ingiungeva a P.T. il pagamento della somma di Euro 3.871,49, oltre spese di procedura monitoria, a titolo di corrispettivo per la fornitura e messa in opera di un impianto di condizionamento d’aria.

2. Con atto notificato il 22.2.2011 P.T. proponeva opposizione.

Deduceva che nessun contratto aveva siglato con la ditta ricorrente.

Instava per la revoca dell’ingiunzione.

2.1. Resisteva M.M..

2.2. Assunta la prova testimoniale, con sentenza n. 7042/2016 il giudice di pace di Torre Annunziata – al quale la causa era stata rimessa a seguito della soppressione dell’ufficio del giudice di pace di Pompei – rigettava, tra l’altro, l’opposizione e confermava il decreto opposto.

3. P.T. proponeva appello.

Resisteva M.M..

3.1. Con sentenza n. 2377 dei 4/6.11.2018 il tribunale di Torre Annunziata dichiarava la nullità degli atti tutti del giudizio di primo grado successivi all’udienza del 18.3.2015 e quindi della sentenza di prime cure, revocava l’ingiunzione di pagamento e condannava l’appellato alle spese del doppio grado con distrazione.

4. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso M.M.; ne ha chiesto sulla scorta di due motivi la cassazione con ogni conseguente statuizione anche in ordine alle spese di lite.

P.T. ha depositato controricorso; ha chiesto rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

5. Il relatore ha formulato proposta di manifesta infondatezza del ricorso ex art. 375 c.p.c., n. 5); il presidente ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 1, ha fissato l’adunanza in camera di consiglio.

6. Il ricorrente ha depositato memoria.

Del pari ha depositato memoria la controricorrente.

7. Con il primo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 136,156,157,158,159,160, 161 e 162 c.p.c., degli artt. 45 e 57 disp. att. c.p.c. nonchè del D.Lgs. 7 settembre 2012, nn. 155 e 156.

Deduce che la trasmigrazione degli affari dal giudice di pace di Pompei al giudice di pace di Torre Annunziata è stata operata sulla scorta di varie forme di pubblicità – notizia, sicchè il tribunale di Torre Annunziata non poteva, del tutto contraddittoriamente, pervenire alla declaratoria di nullità di parte degli atti del giudizio di primo grado e della sentenza di prime cure.

8. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 116 c.p.c..

Deduce che alla stregua degli esiti della prova testimoniale, debitamente corroborati dalle risultanze dell’estratto del registro vendite, ha dato riscontro dell’azionato credito.

Deduce che il tribunale ha ingiustificatamente opinato per la genericità degli articolati capitoli di prova e per l’inattendibilità delle dichiarazioni rese dai testimoni escussi.

9. Il primo motivo di ricorso va respinto.

10. La pretesa contraddittorietà della motivazione rispetto ad un presunto error in procedendo non si giustifica.

Invero, quando, con il ricorso per cassazione, venga dedotto un error in procedendo, il sindacato del Giudice di legittimità investe direttamente l’invalidità denunciata, mediante l’accesso diretto agli atti sui quali il ricorso è fondato, indipendentemente dalla sufficienza e logicità della eventuale motivazione esibita al riguardo, posto che, in tali casi, la Corte di cassazione è giudice anche del fatto (cfr. Cass. (ord.) 13.8.2018, n. 20716; Cass. sez. lav. 21.4.2016, n. 8069).

11. Le statuizioni del tribunale in ogni caso risultano del tutto ineccepibili.

12. Il tribunale ha evidenziato che, alla luce delle risultanze dei verbali d’udienza, il giudizio di primo grado, sebbene rinviato – dall’udienza del 18.3.2015, nel corso della quale erano comparse entrambe le parti – all’udienza del 22.11.2015, era stato poi trattato all’udienza del 28.12.2015, in assenza (a tal ultima udienza) del difensore dell’opponente ed in difetto di comunicazione dello “slittamento” dall’udienza del 22.11.2015 (cfr. sentenza d’appello, pag. 3). Ha evidenziato inoltre che lo “scardinamento” del procedimento dal ruolo del giudice di pace inizialmente designato non era stato comunicato alle parti (cfr. sentenza d’appello, pag. 3).

12.1. Sovviene dunque l’insegnamento di questa Corte secondo cui la mancata comunicazione al procuratore costituito di una delle parti dell’assegnazione della causa ad altro giudice e del differimento d’ufficio dell’udienza già fissata ad una udienza non immediatamente successiva, determina la nullità di tutti gli atti successivi del processo e della sentenza che lo conclude, per violazione del principio del contraddittorio di cui all’art. 101 c.p.c. riferibile ad ogni atto o provvedimento ordinatorio dello svolgimento del processo (cfr. Cass. 10.3.2009, n. 5758; Cass. (ord.) 19.7.2017, n. 17847).

13. Nella fattispecie non può soccorrere la previsione dell’art. 57 c.p.c., comma 1, disp. att. (e l’insegnamento n. 11070 del 15.7.2003 di questa Corte, menzionato dal ricorrente (cfr. pagg. 5 – 6)), siccome l’udienza del 28.12.2005 non era immediatamente successiva all’udienza del 18.3.2005, ma proveniva dallo “slittamento” dell’udienza del 22.11.2015 (cfr. Cass. sez. lav. 22.8.2003, n. 12360, secondo cui, anche nei procedimenti che si svolgono dinanzi a giudici singoli, il provvedimento di rinvio dell’udienza di trattazione (o di discussione) ad un’udienza non immediatamente successiva deve essere comunicato alle parti ai sensi degli artt. 136 e 170 c.p.c., non trovando applicazione, in tale ipotesi, il meccanismo dello “slittamento” previsto dall’art. 57 disp. att. dello stesso codice e dovendo contemperarsi il principio della libertà delle forme con la regola del contraddittorio (attuativa del principio costituzionale di difesa in giudizio), la quale esige la certezza che le parti siano a conoscenza dello svolgimento di ogni fase del processo; pertanto, l’omissione di tale comunicazione determina la nullità del provvedimento di rinvio, a norma dell’art. 156 c.p.c., comma 2, per l’inidoneità dell’atto al raggiungimento dello scopo, con conseguente nullità degli atti successivi che ne dipendono e della stessa sentenza).

13.1. Correttamente quindi il tribunale ha, da un lato, dichiarato la nullità degli atti istruttori compiuti successivamente all’udienza – celebrata ritualmente – del 18.3.2015 e della sentenza di prime cure; ha, dall’altro, assunto che l’attività istruttoria compiuta antecedentemente al 18.3.2015 andava immune dalla declaratoria di nullità.

In pari tempo, alla luce dell’insegnamento n. 12360 del 22.8.2003 dapprima citato, per nulla si giustifica l’assunto del ricorrente, secondo cui il tribunale ha illegittimamente riferito le nullità di cui agli artt. 156 c.p.c. e ss. all’ipotesi di cui all’art. 57 disp. att. c.p.c., che dette nullità non contempla (cfr. ricorso, pag. 6).

14. Il secondo motivo di ricorso parimenti va respinto.

15. Si premette che il secondo mezzo di impugnazione si qualifica essenzialmente in relazione alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Per un verso, il ricorrente (con il secondo motivo) censura sostanzialmente il giudizio “di fatto” cui il tribunale ha atteso ai fini del probatorio riscontro dell’azionata pretesa. Ed è propriamente il motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054).

Per altro verso, il ricorrente (con il secondo motivo) censura la valutazione che il tribunale ha operato circa la specificità dei capitoli della prova per testimoni. E ben vero l’accertamento della specificità dei capitoli di prova involge un giudizio “di fatto” sottratto al sindacato di legittimità, quando è sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici (cfr. Cass. 4.2.1969, n. 356; Cass. 19.2.1997, n. 1513; Cass. 31.1.2007, n. 2201).

Per altro verso ancora, il ricorrente (con il secondo motivo) censura il vaglio dell’attendibilità dei testimoni escussi, cui il tribunale ha fatto luogo. Ed analogamente la valutazione del giudice di merito in ordine all’attendibilità dei testimoni si sottrae al controllo di legittimità, allorchè sia corredata da motivazione sufficiente, logica, non contraddittoria e rispettosa della normativa vigente in materia (cfr. Cass. 24.5.2013, n. 12988).

16. In questo quadro le censure che il secondo motivo veicola rilevano – se del caso – oltre che nel solco della formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nei limiti di cui alla pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte.

17. In tal guisa si osserva quanto segue.

17.1. Da un canto, nessuna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla stregua della pronuncia delle sezioni unite testè menzionata – e tra le quali di certo non è annoverabile il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – si scorge in relazione alle motivazioni cui il secondo giudice ha ancorato il suo dictum.

In particolare, con riferimento al paradigma della motivazione “apparente” – che ricorre allorquando il giudice di merito non procede ad una approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – il tribunale di Torre Annunziata ha compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo (con riferimento ai capitoli di prova il tribunale ha puntualizzato che “la prestazione non è collocata nel tempo e, in relazione al primo capitolo avente ad oggetto l’esecuzione della stessa, non viene neanche specificato l’oggetto (…)”: così sentenza d’appello, pag. 4; con riferimento all’attendibilità del teste M.R. il tribunale ha dato puntuale ragione della genericità e dei profili di contraddittorietà – con quanto riferito dall’altro teste – delle sue dichiarazioni, per giunta soggiungendo che il teste, in quanto figlio e dipendente dell’appellato, era portatore di un “palese interesse di fatto ad un determinato esito della lite”: così sentenza d’appello, pag. 5; con riferimento alla deposizione dell’ulteriore teste, C.T., il tribunale ha dato puntuale conto dell’irrilevanza delle relative dichiarazioni).

17.2. D’altro canto, il tribunale vesuviano ha sicuramente disaminato il fatto storico caratterizzante la res litigiosa ovvero l’an debeatur.

18. In ogni caso l’iter motivazionale che sorregge il dictum del secondo giudice risulta in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica, oltre che assolutamente congruo ed esaustivo.

19. Con specifico riferimento al profilo della correttezza giuridica si rimarca quanto segue.

19.1. Il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo si configura come giudizio ordinario di cognizione e si svolge seconde le norme del procedimento ordinario, nel quale incombe, secondo i principi generali in tema di onere della prova, a chi fa valere un diritto in giudizio il compito di fornire gli elementi probatori a sostegno della propria pretesa; pertanto, nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo avente ad oggetto il pagamento di forniture, spetta a chi fa valere tale diritto fornire la prova del fatto costitutivo, non potendo la fattura e l’estratto delle scritture contabili, già costituenti titolo idoneo per l’emissione del decreto, costituire fonte di prova in favore della parte che li ha emessi (cfr. Cass. 17.11.2003, n. 17371; Cass. (ord.) 11.3.2011, n. 5915, secondo cui la fattura è titolo idoneo per l’emissione di un decreto ingiuntivo in favore di chi l’ha emessa, ma nell’eventuale giudizio di opposizione la stessa non costituisce prova dell’esistenza del credito, che dovrà essere dimostrato con gli ordinari mezzi di prova dall’opposto; Cass. 20.5.2004, n. 9593, secondo cui la fattura commerciale, avuto riguardo alla sua formazione unilaterale ed alla sua funzione di far risultare documentalmente elementi relativi all’esecuzione di un contratto (come l’elenco delle merci, il loro prezzo, le modalità di pagamento ed altro), si inquadra fra gli atti giuridici a contenuto partecipativo, consistendo nella dichiarazione indirizzata all’altra parte di fatti concernenti un rapporto già costituito, sicchè quando tale rapporto sia contestato fra le parti la fattura, ancorchè annotata nei libri obbligatori, non può assurgere a prova del negozio ma costituisce al più un mero indizio).

Cosicchè la valutazione che, nei termini anzidetti, il tribunale ha operato e della fattura e dell’estratto del registro vendite non solo non giustifica la denuncia, al riguardo, di “mancata completa valutazione” formulata dal ricorrente in memoria (cfr. pag. 2), ma neppure legittima la denuncia di violazione dell’art. 2697 c.c., di cui alla rubrica del secondo mezzo.

19.2. In tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 116 c.p.c. – norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale – è idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892).

Cosicchè nella fattispecie per nulla si giustifica altresì la denunciata violazione dell’art. 116 c.p.c..

20. In dipendenza del rigetto del ricorso il ricorrente va condannato a rimborsare alla controricorrente le spese del giudizio di legittimità; la liquidazione segue come da dispositivo.

21. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del D.P.R. cit., art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente, M.M., titolare della ditta individuale “Soluzione Clima”, a rimborsare alla controricorrente, P.T., le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 1.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, I.v.a. e cassa come per legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del D.P.R. cit., art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2020

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