Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10059 del 27/04/2010

Cassazione civile sez. III, 27/04/2010, (ud. 04/03/2010, dep. 27/04/2010), n.10059

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SENESE Salvatore – Presidente –

Dott. PETTI Giovanni Battista – Consigliere –

Dott. FINOCCHIARO Mario – rel. Consigliere –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

F.R. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA MONSERRATO 34, presso lo studio dell’avvocato GUELI

GIUSEPPE, che la rappresenta e difende giusta delega a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

R.S. (OMISSIS), R.L., considerati

domiciliati “ex lege” in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato RUSSO BAVISOTTO

GIOVANNI giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 880/2006 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, 2^

SEZIONE CIVILE, emessa il 7/7/2006, depositata il 26/07/2006, R.G.N.

1354/1999;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/03/2010 dal Consigliere Dott. MARIO FINOCCHIARO;

udito l’Avvocato CARLO CARBONE per delega dell’Avvocato GIOVANNI

RUSSO BAVISOTTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto 8 luglio 1997 C.F., nella qualità di custode giudiziario dei beni relitti dalla defunta A.C. vedova B., tra i quali, l’immobile in (OMISSIS), Piazza (OMISSIS) piano (OMISSIS) scala (OMISSIS) ed alcuni beni mobili, ha convenuto in giudizio dinanzi il Tribunale di Palermo il Centro di Cultura Britannica Cambridge Academy, conduttore dell’appartamento sito nella medesima piazza al piano secondo, composto da sette vani ed accessori ed adibito a sede del detto centro culturale, chiedendo fosse pronunciata la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento imputabile al conduttore, dal momento che aveva consentito all’ex presidente L.A. di adibire alcuni vani ad abitazione personale propria e della famiglia.

Ha invocato l’attore che siffatta utilizzazione aveva integrato un mutamento di destinazione nonchè una ipotesi di subaffitto, espressamente vietati dal contratto di locazione 8 gennaio 1983, che inibiva qualsia-si mutamento di destinazione o cessione dell’uso dell’immobile a terzi, sanzionando le eventuali violazioni con la previsione di una clausola risolutiva espressa.

Ha osservato, altresì, l’attore che la utilizzazione ad uso familiare di alcune stanze dell’appartamento da parte del L. – peraltro non più presidente del Centro – ed in particolare l’utilizzazione come cucina di uno dei vani, con lo sprigionarsi di vapori, era gravemente pregiudizievole al soffitto finemente affrescato, che, infatti, era risultato irreparabilmente danneggiato.

Costituitosi in giudizio, il Centro Culturale ha contestato la fondatezza della domanda, chiedendone il rigetto, sul rilievo che il L. aveva occupato le stanze in questione in adempimento dell’obbligo di custodia assunto a titolo personale con il precedente contratto di locazione stipulato il 1^ ottobre 1966, di cui quello concluso l’8 gennaio 1983 costituiva prosecuzione.

Ha esposto al riguardo il convenuto che la presenza di alcuni vani sottoposti a sigilli, ove erano custoditi alcuni beni mobili .della eredità A.- B., aveva determinato a suo tempo i contraenti a prevedere tale obbligo di custodia in capo al conduttore,- facendo presente – comunque – che la clausola convenzionale che prevedeva la risoluzione contrattuale in caso di mutamento di destinazione era sostituita ope legis dalla L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 80, che inibiva tale facoltà decorsi tre mesi dalla conoscenza della variazione, e comunque, in ogni caso, decorso un anno (che nella specie era ampiamente trascorso).

Tutto ciò premesso il convenuto ha chiesto, in via principale, il rigetto della domanda attrice, in via riconvenzionale la restituzione di una quota degli oneri condominiali, dei canoni pagati in eccedenza, nonchè della quota dell’imposta di registro gravante sui proprietari anticipata dal Centro.

Con comparsa 10 aprile 1992 si sono costituiti in giudizio R. V., R.S., C.P., S.B., R.G., C.L., C.G. e L. M., quali eredi di A.C., cui l’immobile era stato restituito dalla amministrazione giudiziaria, giusta provvedimento del giudice delegato, insistendo nelle domande già spiegate dal C..

Svoltasi la istruttoria del caso, con sentenza 28 novembre 1997 – 6 ottobre 1998, l’adito tribunale, in accoglimento della domanda proposta dal C., nella qualità di custode giudiziario dei beni compresi nella eredità di A.C. vedova B., cui erano subentrati R.V. e consorti, ha dichiarato risolto il contratto di locazione stipulato l’8 gennaio 1983 tra il Centro di Cultura Britannica Carribridge Academy in persona del Presidente pro tempore ed il C., nella predetta qualità, per inadempimento imputabile al Centro conduttore, e lo ha condannato a rilasciare l’immobile in contestazione, nonchè al risarcimento del danno, liquidato, in favore degli attori, in complessive L. 180.000.000, oltre L. 1.500.000 mensili dalla pubblicazione della sentenza al rilascio.

Con tale sentenza il tribunale, inoltre, ha dichiarato la propria incompetenza funzionale sulla domanda riconvenzionale di restituzione dei canoni, rigettato la domanda riconvenzionale di restituzione degli interessi sul deposito cauzionale e – in accoglimento delle rimanenti domande riconvenzionali – condannato gli attori al pagamento della somma di L. 3.011.123 (L. 2.698.623 + L. 312.500) in favore del Centro convenuto, oltre interessi legali dalla pubblicazione della sentenza al saldo.

Gravata tale pronuncia in via principale dal Centro di cultura britannica Cambridge Academy e, in via incidentale da R. S. nonchè da R.L., cui nel frattempo l’immobile era stato trasferito e che a tale titolo erano intervenuti in giudizio, nel contraddittorio di R.V., C.P., S. B., R.G., C.L., C.G. e di L.M.M., rimasti contumaci, la Corte di appello di Palermo, con sentenza 7-26 luglio 2006 ha rigettato l’appello principale del Centro e, in accoglimento dell’appello incidentale di R.S., ha condannato l’appellante principale al pagamento in favore di quest’ultimo della complessiva somma di Euro 219.306,25 in luogo della somma di L. 180 milioni oltre L. 1.500.000 mensili dal di della sentenza al rilascio, prevista dalla sentenza di primo grado oltre interessi come in motivazione.

Per la cassazione di tale pronunzia, non notificata, ha proposto ricorso F.R., nella qualità di legale rappresentante del Centro di Cultura Britannica Cambridge Accademy, affidato a 5 motivi e illustrato da memoria con atto 7 novembre 2006.

Resiste, con controricorso illustrato da memoria R.S..

Non ha svolto attività difensiva in questa sede R.L..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. A seguito di divisione ereditaria 11 luglio 1995 l’appartamento oggetto del rapporto locatizio per cui è controversia è stato attribuito per intero a R.S., unitamente alle spese e agli eventuali incassi relativi alla continuazione della causa.

R.S., a sua volta, con atto 31 luglio 1996 ha donato l’immobile alla figlia R.L..

Preso atto di quanto sopra e che con comparsa depositata il 12 giugno 2000 R.L. è intervenuta volontariamente ad adiuvandum nel procedimento di appello aderendo alle richieste formulate dal genitore e proponendo appello incidentale adesivo, la Corte di appello di Palermo:

– da un lato, ha rigettato l’appello principale proposto nei confronti degli altri coeredi, già parti del giudizio di primo grado;

– dall’altro ha dichiarato la ammissibilità dell’intervento di R.L. nonchè dell’appello di R.S. ex art. 111 c.p.c..

2. Con il primo motivo la ricorrente censura nella parte de qua la sentenza impugnata denunziando: “violazione dell’art. 343 c.p.c., per avere la terza intervenuta in corso di causa nel processo di appello proposto impugnazione incidentale di contenuto diverso rispetto a quella già proposta nel suo interesse, nel costituirsi in giudizio, dal sostituto processuale (art. 81 c.p.c.)”.

Formula la ricorrente, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., il seguente quesito “dica la Suprema Corte se, intervenendo nel pendente giudizio d’appello nel quale si sia costituito il sostituto processuale parte nel giudizio di primo grado proponendo appello incidentale, il sostituito possa tardivamente proporre autonomo appello incidentale discostandosi, come nella specie verificatosi, da quello già proposto, nel suo interesse, dal sostituto processuale”.

3. La censura è inammissibile oltre che per violazione del principio di autosufficienza non sono stati trascritte, in ricorso, le “richieste” formulate dall’intervenuta con il proprio appello adesivo – diverse da quelle formulate dall’appellante incidentale – che – almeno secondo l’astratta considerazione della stessa ricorrente – hanno ampliato l’ambito del giudizio di appello, per difetto di interesse.

Come risulta dalla sentenza impugnata – infatti – questa ultima ha accolto non l’appello della terza intervenuta che a detta della ricorrente, avrebbe investito capi della sentenza di primo grado diversi da quelli già impugnati da R.S. ma esclusivamente l’appello di R.S..

Certo quanto sopra, è palese la inammissibilità -come anticipato – della doglianza in esame certo essendo pur prescindendo dalla inammissibilità per difetto di autosufficienza della deduzione che anche nella eventualità fossero fondati gli argomenti sviluppati nel motivo la sentenza impugnata non potrebbe essere cassata solo perchè l’intervenuta adesiva ha svolto una appello non accolto espressamente dal giudicante di contenuto più ampio, rispetto a quello spiegato dalla parte adiuvata.

5. I giudici del merito, accertato, in linea di fatto, che il contratto 8 gennaio 1983 era un nuovo contratto, rispetto a quello del 1966 hanno evidenziato;

– l’immobile era stato locato per essere destinato a uso diverso dalla abitazione (e, in particolare, per essere adibito a istituendo centro di cultura britannica);

– pur sussistendo, per il L. (all’epoca legale rappresentante della Cambridge Accademy) l’obbligo di custodia dei sigilli delle due stanze in cui erano raccolti i mobili ereditari, tale obbligo non comportava alcun particolare impegno e tanto meno l’obbligo di sorveglianza notturna;

– sino al marzo 1990 (e, quindi, anche dopo la perdita – il 6 luglio 1984 – della qualità di rappresentante dell’ente conduttore l’immobile) il L. ha adibito a propria abitazione due ampi vani sui sette in totale dell’appartamento destinando a zona cottura un locale adiacente e due lussuosi vani arricchiti da volte decorate a tempera del migliore stile liberty;

– anche ammesso che il locatore (cioè il custode giudiziario C.) fosse pienamente consapevole della destinazione di carattere abitativo che L. aveva impresso ad alcuni locali dell’appartamento oggetto del contratto, si trattava pur sempre di una utilizzazione secondaria e accessoria, rispetto a quella principale, che restava l’esercizio della attività didattica e culturale di un centro di cultura britannica, conseguentemente, non comportando la parziale destinazione abitativa dell’immobile alcuna modifica del tipo locatizio, deve escludersi in conformità a costante giurisprudenza anche del S.C. la applicabilità della disciplina di cui alla L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 80;

– certamente parte conduttrice è incorsa in inadempimento contrattuale e, pertanto, correttamente è stata pronunziata, dal tribunale la risoluzione del contratto inter partes;

– la domanda di risoluzione del contratto è stata introdotta con citazione notificata l’8 luglio 1987 e l’immobile è stato rilasciato, dalla parte conduttrice unicamente il 31 luglio 1999, sussiste pertanto, titolo – a norma dell’art. 1591 c.c. – in capo al locatore a ottenere il corrispettivo per il tardivo rilascio dell’ immobile da parte della conduttrice, che con riferimento al periodo tra il 1^ luglio 1991 – 31 luglio 1999 per quello precedente il canone è stato determinato in sede giudiziaria dal pretore di Palermo con sentenza 13 maggio 1993 è stato quantificato sulla base di consulenza tecnica d’ufficio nella complessiva somma di Euro 219.306,25, oltre interessi nella misura di legge maturati dalle rispettive date di scadenza di ogni singola annualità al saldo effettivo.

6. Il ricorrente censura nella parte de qua la sentenza impugnata con quattro motivi con i quali denunzia, nell’ordine:

– “violazione e falsa applicazione dell’art. 1456 c.c., per essersi dichiarato risolto il contratto di locazione per l’esistenza di clausola risolutiva espressa senza verificare l’esistenza o meno, nel conduttore, del requisito della consapevolezza dell’inadempimento, peraltro da escludersi in base alle risultanze processuali (art. 360 cod. proc. civ., n. 3)”. Si osserva, infatti, che per dichiarare risolto il contratto perchè vi era inserita la clausola risolutiva espressa la Corte palermitana non si sarebbe .. dovuta limitare ad accertare la cessazione della carica, e quindi dell’obbligo di custodia, del L., ma avrebbe dovuto pronunziarsi motivatamente anche in ordine alla colpevolezza dell’inadempimento da parte della conduttrice Cambridge Academy il che non ha fatto secondo motivo;

– “violazione e falsa applicazione dell’art. 1456 cod. civ., per essere stato dichiarato risolto il contratto di locazione in presenza di clausola risolutiva espressa omettendosi ogni indagine, por in presenza delle prove offerte, in ordine alla rinunzia del locatore ad avvalersi di tale clausola per l’acquiescenza da lui prestata alla violazione di un obbligo contrattuale” terzo motivo;

– “violazione e falsa applicazione dell’art. 1456 cod. civ., per essere stato dichiarato risolto il contratto per la presenza di clausola che espressamente non prevedeva il denunziato inadempimento contrattuale, con omessa motivazione in ordine alla natura dell’inadempimento che, ex art. 1455 cod. civ., avrebbe potuto comportare la risoluzione del contratto nel solo caso di non scarsa sua importanza (art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5)” quarto motivo;

– “violazione e falsa applicazione dell’art. 1591 cod. civ., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo (art. 360 cod. proc. civ., n. 3 e n. 5), per avere la Corte palermitana condannato l’attuale ricorrente al risarcimento del danno pur in difetto di prova di una effettiva lesione patrimoniale per l’appellata, basandosi unicamente, nella liquidazione del danno in via equitativa, sulla disposta C.T.U. che dell’immobile ha accertato il valore locativo” quinto motivo.

7. I riferiti motivi non possono trovare accoglimento.

Gli stessi, infatti, sono, per più profili inammissibili e, per altri, manifestamente infondati.

7.1. Il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di una erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (da cui la funzione di assicurare la uniforme interpretazione della legge assegnata dalla Corte di Cassazione).

Viceversa, la allegazione – come prospettate nella specie da parte del ricorrente – di una erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze di causa, è esterna alla esatta interpretazione della norme di legge e impinge nella tipica valuta- zione del giudice del merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione.

Lo scrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa della erronea ricognizione della astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato, in modo evidente, dal rilievo che solo questa ultima censura e non anche la prima è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (In termini, Cass. 5 giugno 2007, n. 13066, nonchè Cass. 20 novembre 2006, n. 24607, specie in motivazione; Cass. 11 agosto 2004, n. 15499, tra le tantissime).

Pacifico quanto precede si osserva che nella specie parte ricorrente pur invocando che i giudici del merito, in tesi, hanno malamente interpretato ora l’art. 1456 c.c., ora l’art. 1591 c.c. ,in realtà, si limita a censurare la interpretazione data, dai giudici del merito, delle risultanze di causa, interpretazione a parere del ricorrente inadeguata, sollecitando, così, contra legem e cercando di superare quelli che sono i limiti del giudizio di cassazione, un nuovo giudizio di merito su quelle stesse risultanze.

7.2. Anche a prescindere da quanto precede si osserva come già riferito sopra che i giudici del merito hanno accertato, in linea di fatto:

– da un lato, che il contratto del 1983 era “nuovo” rispetto a quello del 1966 e non prevedeva alcun obbligo di “custodia” da parte del L., “nè tanto meno l’obbligo di una sorveglianza notturna .. e risulta altresì accertato che il medesimo L. lasciava incustodito l’appartamento per recarsi in villeggiatura nel periodo estivo, ossia nella stagione in cui sono più frequenti i furti in appartamenti a causa del loro momentaneo abbandono”;

– dall’altro, che il L. sin dal 6 luglio 1984 non essendo più amministratore della conduttrice e pertanto essendo titolare della conduzione esclusivamente l’ente “non avrebbe potuto più esercitare” alcuna custodia ed era, di conseguenza, assente “ogni ragione che giustificasse l’utilizzazione per scopi abitativi personali dell’immobile”;

– da ultimo, che è assolutamente incontroverso – ed a tutti noto – che il L. ha continuato a abitare l’appartamento in questione fino al marzo 1990.

E’ palese, pertanto, che i giudici del merito hanno valutato e accertato sia la gravità dell’inadempimento (è pacifico il danneggiamento del soffitto, affrescato, del vano abusivamente utilizzato come cucina) della parte conduttrice, sia la colpevolezza di tale inadempimento.

Hanno, infatti, quei giudici accertato – da una parte – che sino a che il L. è stato legale amministratore del Centro lo stesso non aveva alcun dovere di custodia dell’appartamento (sì che era abusiva la sua utilizzazione dei locali come abitazione), dall’altra – quanto al periodo successivo – che il nuovo rappresentante legale del Centro ha consentito in ispregio degli accordi contrattuali e della clausola risolutiva espressa che parte dei locali fosse adibita a una utilizzazione diversa da quella tassativamente indicata nel contratto di locazione.

7.3. Quanto al terzo e al quarto motivo – relativi, il primo, all’eccezione che parte locatrice aveva rinunciato ad avvalersi della clausola risolutiva espressa, il secondo alla omessa motivazione da parte della corte di appello in ordine alla interpretazione della clausola risolutiva espressa e in merito alla gravità dell’inadempimento parziale di essa – si osserva che entrambe le deduzioni sono inammissibili anche sotto un ulteriore profilo (oltre quello indicato sopra).

Si osserva, infatti, che giusta quanto assolutamente pacifico presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice – e da cui totalmente e senza alcuna motivazione prescinde parte ricorrente – nel giudizio di cassazione è preclusa alle parti la prospettazione di nuove questioni che postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice del merito, a meno che tali questioni non abbiano formato oggetto di gravame o di contestazione nel giudizio di appello (Cass. 26 febbraio 2007, n. 4391; Cass. 2 febbraio 2006, n. 2270; Cass. 12 luglio 2005, nn. 14599 e 14590, tra le altre).

Contemporaneamente, non può tacersi che ove una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. 5 aprile 2004, n. 6656).

Pacifico quanto sopra, si osserva che risulta dalla sentenza di appello, in particolare, che in sede di merito l’odierna ricorrente per cassazione lungi dall’ invocare una rinunzia espressa o tacita della parte locatrice alla clausola risolutiva espressa esistente nel contratto inter partes e in ordine alla interpretazione di questa, nella eventualità di sua parziale violazione aveva articolato le proprie difese assumendo che la clausola stessa doveva “considerarsi inefficace perchè sostituita ope legis, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1419 cpv. c.c., dalla L. n. 392 del 1978, art. 80”.

Pacifico quanto sopra, pacifico che parte ricorrente non denunzia una omessa pronunzia su l’eccezione di rinunzia alla clausola nè, comunque, indica, in quale occasione, in sede di merito, nel rispetto delle regole del contraddittorio, una tale eccezione fosse stata acquisita agli atti è palese la inammissibilità, anche sotto tale concorrente, profilo, delle censure in esame.

7. 4. Il quarto motivo, comunque – si osserva per completezza di esposizione – deve essere dichiarato inammissibile anche sotto altro – concorrente – profilo.

Ancora una volta in una con una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice, deve sottolinearsi che il ricorso per cassazione – in ragione del principio di cosiddetta autosufficienza dello stesso – deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed altresì a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere – particolarmente nel caso in cui si tratti di interpretare il contenuto di una scrittura di parte – a fonti estranee allo stesso ricorso e quindi ad elementi od atti attinenti al pregresso giudizio di merito (Cass. 13 giugno 2007, n. 13845; Cass. 18 aprile 2007, n. 9245; Cass. 9 gennaio 2006, n. 79, tra le tantissime).

Il ricorrente per cassazione – pertanto – il quale deduca l’omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata in relazione alla valutazione di una decisiva risultanza processuale ha l’onere di indicare in modo adeguato e specifico la risultanza medesima, dato che per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione il controllo deve essere consentito alla Corte sulla base delle sole deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative.

Pacifico quanto precede, si osserva che nella specie parte ricorrente denuncia la non corretta interpretazione data dai giudici di appello alla clausola risolutiva espressa esistente nel contratto inter partes ma si astiene dal trascrivere la stessa in ricorso è la circostanza è sufficiente ex se a far dichiarare, come anticipato, anche sotto tale ulteriore profilo, la inammissibilità della deduzione.

7.5. In ordine al quinto motivo lo stesso è, oltre che inammissibile, alla luce delle considerazioni svolte all’inizio, manifestamente infondato.

Giusta la testuale previsione di cui all’art. 1591 c.c., “il conduttore in mora a restituire la cosa è tenuto a dare al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna, salvo l’obbligo di risarcire il maggior danno”.

Non controverso quanto precede è di palmare evidenza che non vi è stata – da parte dei giudici di merito – alcuna violazione della norma sopra trascritta.

Nella specie – infatti – la Corte di appello non ha condannato la parte conduttrice a risarcire “il maggior danno” patito dal locatore per il ritardo nella restituzione della cosa locata (nella quale ipotesi, le critiche di parte ricorrente avrebbero avuto un qualche spessore), ma ha liquidato il “corrispettivo” dovuto dal conduttore medesimo per il godimento dell’immobile per tutto il tempo in cui si è protratta la mancata restituzione dell’immobile stesso.

A tale riguardo la sentenza impugnata – puntualmente – precisa “poichè non risulta essere stata provata la esistenza di ulteriori danni riferibili a fatto del conduttore” con riguardo al ritardo nel rilascio “non sussistendo – ovviamente con riguardo al periodo successivo al 30 giugno 1991, atteso che sino a tale epoca il canone era stato determinato con sentenza 13 maggio 1993 del pretore di Palermo – un corrispettivo della locazione convenuto tra le parti si è ritenuto di dovere determinare il valore locativo dell’immobile per il suddetto periodo (1^ luglio 1991 – 31 luglio 1999), mediante apposita c.t.u.”.

E’ palese, di conseguenza, che la sentenza impugnata si è limitata a prevedere il “corrispettivo” dovuto, dalla parte conduttrice per il godimento dell’immobile successivamente alla pronunciata risoluzione.

In realtà, in sede di merito, si è instaurato un puntuale contraddittorio in ordine al quantum di tale canone e la parte ora ricorrente ha mosso diversi rilievi critici alle conclusioni del c.t.u., tutti, peraltro, puntualmente e motivatamente disattesi dalla sentenza impugnata.

Non potendo negarsi – da un lato – l’obbligo imposto dall’art. 1591 c.c., prima parte, al conduttore di pagare un “corrispettivo” per il godimento dell’ immobile non restituito dopo la cessazione del rapporto per suo inadempimento, e dovendosi – dall’altro – escludere, specie in considerazione che nella specie non si era a fronte a una locazione di immobile per uso abitativo, che tale “corrispettivo” potesse essere pari a quello pattuito all’inizio della nuova locazione – cioè nel lontano 1983 – e tale ultima circostanza, del resto, non risulta prospettata neppure dalla difesa della ricorrente, è palese la correttezza della sentenza impugnata che ha accertato – ripetesi – il canone di mercato dovuto dalla conduttrice e non il maggior canone che il locatore avrebbe, in tesi, potuto ottenere ove la odierna ricorrente avesse rilasciato l’immobile al momento dell’accertata risoluzione del contratto.

8. Risultato infondato in ogni sua parte il proposto ricorso, in conclusione, deve rigettarsi, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di Cassazione, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso.

condanna la ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione liquidate in Euro 200,00 oltre Euro 3.000,00 per onorari e oltre spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 4 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2010

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