Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10059 del 09/05/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 10059 Anno 2014
Presidente: ADAMO MARIO
Relatore: CIRILLO ETTORE

SENTENZA

sul ricorso 4639-2011 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente contro

ATESTE SRL IN FALLIMENTO in persona del Curatore
fallimentare pro tempore, elettivamente domiciliato in
ROMA VIALE PARIOLI 43, presso lo studio dell’avvocato
D’AYALA VALVA FRANCESCO, rappresentato e difeso
dall’avvocato LUCCHESE TIZIANO giusta delega in calce;

Data pubblicazione: 09/05/2014

- controricorrente –

avverso

la

sentenza

COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST.

n.

di VERONA,

15/2010

della

depositata

il

15/01/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

CIRILLO;
udito per il ricorrente l’Avvocato FIDUCCIA che si
riporta;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. VINCENZO GAMBARDELLA che ha concluso
per l’accoglimento per guanto di ragione del ricorso.

udienza del 09/12/2013 dal Consigliere Dott. ETTORE

RITENUTO IN FATTO
1. La parte contribuente, con la dichiarazione (UNICO 2002) per l’anno
d’imposta 2001, evidenziava un credito IVA di C 333.737,54 di cui C
154.537,07 erano chiesti a rimborso ed C 178.800,47 erano riportarti,
invece, a compensazione verticale (deduzione) per l’anno successivo.
Nell’aprile 2004 il Fisco, con specifico provvedimento di diniego in data

parte privata di non usare in compensazione il residuo importo di C
178.800,47.
Ciò faceva denunciando che l’intero credito di C 333.737,54 derivava da
operazioni inesistenti collocate temporalmente tra il 1991 e il 1993.

2. La Commissione tributaria provinciale di Verona, adita una prima
volta dal Curatore del fallimento della società contribuente, pronunziava
sentenza che, in data 3 maggio 2005, negava il rimborso di C
154.537,07 e consentiva, invece, la compensazione per il residuo
importo di C 178.800,47; nel contempo, considerava ancora esistente il
potere del Fisco di procedere ad accertamento e rettifica riguardo alla
controversa dichiarazione (UNICO 2002) per l’anno d’imposta 2001.
Indi, l’amministrazione, in virtù di tale decisione, procedeva a notificare
avviso col quale rettificava detta dichiarazione nella parte in cui
rifletteva operazioni fittizie.
La Commissione tributaria provinciale di Verona, adita un’altra volta dal
Curatore del fallimento della società contribuente, pronunziava sentenza
che, in data 26 settembre 2008, annullava l’avviso.

3. Il Curatore impugnava la decisione del 3 maggio 2005 (che negava il
rimborso di C 154.537,07), mentre il Fisco impugnava la decisione del
26 settembre 2008 (che annullava l’accertamento; i due gravami era
riuniti dalla Commissione tributaria regionale del Veneto (sez. Verona),
che, con sentenza depositata il 15 gennaio 2010 e corretta 27 settembre
2010, rigettava l’appello dell’Ufficio, accoglieva l’appello della Curatela e,
in parziale riforma della sentenza del 3 maggio 2005, accoglieva il
ricorso introduttivo avverso la diffida a non avvalersi del credito
d’imposta riportandolo nelle anni successivi, diffida che dichiarava
illegittima condannando l’amministrazione a rimborsare alla controparte
l’intero credito IVA di C 333.737,54 con gli interessi dal 7 gennaio 2003

1

30 aprile 2004, rifiutava il rimborso di C 154.537,07 e intimava alla

su C 154.537,07 e dalla notifica del ricorso di prime cura sulla differenza
di C 178.800,47.

4. Ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, l’Agenzia
delle entrate. La Curatela resiste con controricorso.

5. Con il primo mezzo l’Agenzia ricorrente denuncia, ai sensi dell’art.
360 n.4 cod. proc. civ., la nullità della sentenza d’appello per violazione
degli articoli 7 proc. trib. e 112 cod. proc. civ..
Lamenta che la sentenza d’appello abbia omesso di pronunciare
sull’eccezione del Fisco riguardo all’inammissibilità della domanda di
condanna dell’Erario al rimborso dell’intero credito di C 333.737,54 a
fronte di una istanza amministrativa di rimborso per soli C 154.537,07
oggetto del provvedimento di diniego impugnato dalla Curatela
interessata.
Con il terzo mezzo l’Agenzia ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360
n.3 cod.proc.civ., le violazioni degli articoli 21 e 69 proc. trib. e 30 d.iva.
e ripropone l’eccezione d’inammissibilità della domanda di condanna
dell’Erario al rimborso dell’intero credito di C 333.737,54 a fronte di una
istanza amministrativa di rimborso per soli C 154.537,07 oggetto
specifico del provvedimento di diniego impugnato dalla Curatela
interessata.
Lamenta che – avendo la Commissione tributaria regionale accolto la
domanda giudiziale di pagamento dell’intero importo di C 333.737,54 – i
giudici di appello non hanno tenuto conto che in tanto la domanda di
condanna dell’Erario a rimborsare un credito IVA è ammissibile, in
quanto essa sia stata preceduta da una domanda amministrativa di
rimborso dell’intero credito vantato.
Con il quinto mezzo l’Agenzia ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360
n.3 cod. proc. civ., le violazioni degli articoli 21 e 69 proc. trib. nonché
30 e 57 d.iva. e reitera l’eccezione d’inammissibilità della domanda di
condanna dell’Erario al rimborso dell’intero credito di C 333.737,54 a
fronte di una istanza amministrativa di rimborso per soli C 154.537,07 e
rileva, in proposito che neppure il consolidamento del credito IVA per
mancato esercizio tempestivo del potere di rettifica esonera la parte

2

CONSIDERATO IN DIRITTO

contribuente dall’avanzare preventiva istanza amministrativa di rimborso
prima di adire il giudice tributario per il pagamento.
Con il secondo e quarto mezzo l’Agenzia ricorrente denuncia, ai sensi
dell’art. 360 n.4 e n.5 cod. proc. civ., la nullità della sentenza d’appello
per violazione dell’articolo 36 proc. trib. e il difetto di motivazione per
avere totalmente omesso di motivare il rigetto della medesima

6. Il primo, terzo e quinto mezzo, essendo correlati tra loro, possono
essere trattati congiuntamente.
Va premesso che, il motivo vizio di omessa pronuncia sull’eccezione
d’inammissibilità della domanda giudiziale per la parte eccedente
l’importo di C 154.537,07 – palesemente fondato alla luce degli elementi
desumibili dagli atti processuali nella parte trascritta – consente
pacificamente a questa Corte di emettere immediata pronuncia
sostitutiva di merito esaminando gli altri motivi pure prospettati dalla
ricorrente (cfr. ex plurimis Cass. 5729/12 e 2313/10).

7. Tanto premesso, va osservato che riguardo al rimborso dell’IVA, deve
tenersi distinta la domanda di rimborso o restituzione del credito
d’imposta maturato dal contribuente, da considerarsi già presentata con
compilazione della dichiarazione annuale, che configura formale esercizio
del diritto, rispetto alla presentazione altresì del modello VR, che
costituisce (art. 38 bis, co.1 d.iva) il presupposto per l’esigibilità del

credito e, dunque, l’adempimento necessario a dar inizio al
procedimento di esecuzione del rimborso (Cass. 7684/12; conf. 8813/13
e 20039/11).
Ciò posto, un sistema processuale di tipo impugnatorio – cioè basato
sull’impugnazione degli atti del Fisco per vizi propri (artt. 19 e 21 proc.
trib.) – porta a negare una diretta cognizione del rapporto obbligatorio
tra l’Erario e il contribuente, al di fuori del contenuto di un atto che sia
stato emesso e impugnato.
Infatti, ciò che rileva è solo il profilo della eventuale illegittimità di
quest’atto stesso per inosservanza di regole formali e/o presupposti
sostanziali dell’agire amministrativo del Fisco verso il privato.
Proprio l’elencazione nell’articolo 19 degli atti impugnabili e la previsione
nell’articolo 21 dei termini per il gravame costituiscono indubbi indici
rivelatori del fatto che meccanismi amministrativi e tutele processuali

3

eccezione ovvero d’indagare e argomentare sulla stessa.

sono strettamente avvinti e mirano congiuntamente a garantire la
centralità del ruolo attribuito dall’ordinamento all’amministrazione
finanziaria di attuazione degli interessi fiscali. Il che necessita di
decisioni giurisdizionali dirette ad incidere sull’attività amministrativa
rimuovendo, in ipotesi di accoglimento del ricorso del contribuente, gli
effetti procedimentali dell’atto impugnato.
Anche nelle fattispecie di diniego o silenzio riguardo a istanze di

pur sempre cognizione sulla legittimità del comportamento commissivo
(diniego espresso) od omissivo (perdurante silenzio)
dell’amministrazione finanziaria, in funzione di una pronunzia che la
costringa a dar corso proprio alla restituzione richiesta.

8. Dunque siccome nel sistema dell’IVA nazionale l’istanza del privato
costituisce presupposto per l’esigibilità del credito e adempimento
necessario per dar inizio al procedimento di esecuzione del rimborso, la
domanda giudiziale di pagamento, avanzata dinanzi al giudice tributario,
non può che dirigersi contro il relativo diniego, che resta nella specie
rigorosamente circoscritto all’importo richiesto di C 154.537,07 a fronte
del maggior credito complessivo di C 333.737,54 esposto in
dichiarazione.
Ne deriva l’inammissibilità della domanda giudiziale avanzata dalla
Curatela per la parte eccedente l’importo di C 154.537,07 richiesto in via
amministrativa.

9. Non rileva che la Curatela, non avendo alcunché da compensare per
l’anno d’imposta successivo a quello della dichiarazione, prospetti in
giudizio di non aver più alcun interesse alla deduzione verticale della
differenza di C 178.800,47 ma solo alla sua restituzione in numerano,
potendo per tale ulteriore importo riattivare la procedura amministrativa
di rimborso nel termine prescrizionale. In mancanza, viene meno il
presupposto per l’emissione di un atto impugnabile ovvero per la
formazione del silenzio rifiuto.
Né vale che l’amministrazione avesse intimato di non utilizzare in
compensazione la differenza di C 178.800,47 e ciò per l’evidente
diversità funzionale e strutturale dell’istituto della compensazione
verticale – ossia detrazione IVA a debito nell’anno successivo (art. 30
co.1 d.iva) – rispetto a quello del rimborso (ibid. co . 2 e 3).

4

rimborso, la cognizione del giudice tributario sul credito vantato resta

Infatti, secondo la dottrina, il riporto in avanti dell’eccedenza IVA, più
che una modalità di soddisfacimento del relativo credito, é una
eccedenza detraibile cioè un credito d’imposta esercitabile mediante
detrazione e soggetto alle regole che lo caratterizzano, senza che a tale
fine rilevi neppure il fallimento della società contribuente.
E’ vero che, secondo un consolidato indirizzo (Cass. 4104/02, 19072/03,
478/04, 1272/04) anche il modello 74-bis della curatela è equiparabile a

idoneo a fondare una richiesta di rimborso da effettuarsi entro il termine
decennale di prescrizione (Cass. 27948/09), ma è appunto la richiesta di
rimborso, in via amministrativa, quella che manca nella specie per
l’ulteriore differenza di C 178.800,47.
Si consideri, inoltre, che non ha trovato ingresso nel giudizio di
legittimità la questione sull’effettivo consolidamento, o meno (v. Cass.
194/04), del diritto della parte contribuente al rimborso dell’eccedenza
detraibile (artt. 30 e 57 d.iva), anzi tale consolidamento è dato per
acquisito dalla stessa difesa erariale per mancato tempestivo esercizio
della rettifica (ric. pag.24).
Tuttavia ciò non incide in alcun modo sul necessario nesso
procedimentale tra istanza amministrativa di rimborso e domanda
giudiziale di restituzione dell’eccedenza IVA.

10. Pertanto accolti il primo, terzo e quinto motivo e assorbiti il secondo
e il quarto (per correlati vizi motivazionali), la sentenza d’appello deve
essere cassata in parte qua e senza rinvio, potendosi emettere ex art.
384 cod. proc. civ. immediata pronunzia sostitutiva d’inammissibilità
della domanda giudiziale di pagamento riguardo alla differenza di C
178.800,47 e relativi accessori.
11. Nell’evolversi delle vicende processuali nei giudizi di »erito e di
legittimità si ravvisano giustificati motivi per la compensazione integrale
di tutte le spese di lite.
P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa senza
rinvio la sentenza impugnata in relazione a quanto accolto e, decidendo
nel merito, dichiara l’inammissibilità della domanda giudiziale di

5

una dichiarazione di cessazione dell’attività ed è, di per sé stesso,

pagamento riguardo alla differenza di C 178.800,47 e relativi accessori.
Compensa le spese dell’intero giudizio.

Roma, il 9 dicembre 2013.

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