Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10058 del 15/05/2015


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 10058 Anno 2015
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: MANNA FELICE

SENTENZA
sul ricorso 9885-2014 proposto da:
PODO FABIO, CIURLIA ANNA RITA, DE MICHELT ANNA
LENA, PREITE ANTONINA, CONTE MAURO, CARBONE
CARLO, PREITE MONIA, CARBONE FABRIZIO, OZZA
ROCCO, MICALETTO LUCIA ANNA, D’OSTUNI LOREDANA,
elettivamente domici1i2ti in ROMA, VIA TARO 25, presso lo studio
dell’avvocato MAGARAGGIA DEBORA, rappresentati e difesi dagli
avvocati PIERLUIGI DELT ;ANNA, DAVIDE SALVATORE
PIERRI, giusta mandato a margine del ricorso;
– ricorrenti contro

JiGt

Data pubblicazione: 15/05/2015

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587 in persona del
Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;

avverso il decreto n. 938/2013 della CORTE D’APPELLO di
POTENZA dell’1.10.2013, depositato il 17/10/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
17/02/2015 dal Consigliere Relatore Dott. FRIACE MANNA;
udito per i ricorrenti l’Avvocato Pierluigi Dell’Anna che si riporta agli
scritti.

Ric. 2014 n. 09885 sez. M2 ud. 17-02-2015
-2-

controficarrente

~1.1111. l

IN FATTO
Con ricorso del 12.3.2012 Monia Preite, Antonina Preite, Fabio Podo,
Carlo Carbone, Rocco Ozz.a, Fabrizio Carbone, Lucia Anna Micaletto, Anna
Rita Ciurlia, Mauro Conte, Loredana, D’Ostuni e Anna Lena Micheli adivano

Giustizia al pagamento di un equo indennizzo, ai sensi dell’art.2 della legge
24 marzo 2001, n.89, in relazione all’art.6, paragrafo 1 della Convenzione
europea dei diritti dell’uomo (CEDU), del 4.11.1950, ratificata con legge
n.848155. Processo presupposto una procedura fallimentare aperta innanzi al
Tribunale di Lecce nel 1994, cui i ricorrenti avevano partecipato in veste di
creditori ammessi allo stato passivo.
Resisteva il Ministero.
Con decreto del 17.10.2013 la Corte d’appello di Potenza, stimata in otto
anni la durata ragionevole del procedimento presupposto e calcolata in
altrettanti otto anni la durata eccedente il limite di ragionevolezza, liquidava
in favore di ciascuno degli istanti la somma di E 4.000,00, tenuto conto del
non elevato importo dei crediti rispettivamente azionati e del comportamento
pressoché contemplativo dei ricorrenti stessi, che non avevano posto in essere
alcuna iniziativa volta a sollecitare una rapida definiz!yme della procedura.
Per la cassazione di tale decreto Monia Preite, Antonina Preite, Fabio
Podo, Carlo Carbone, Rocco Ozza, Fabrizio Carbone, Lucia Anna Micaletto,
Anna Rita Ciurlia, Mauro Conte, Loredano_ D’Ostini e Anna Lena Micheli
propongono ricorso, affidato ad un unico motivo.
Resiste con controricorso il Ministero.

la Corte d’appello di Potenza per ottenere la condanna del Ministero della

Il Collegio ha disposto che la motivazione della sentenza impugnata sia
redatta in forma semplificata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – L’unico motivo di ricorso espone la violazione degli artt. 2 legge n.

di contraddittoria motivazione ed omesso esame di fatti decisivi, in relazione
ai nn. 3 e 5 dell’art. 360 c.p.c. Si sostiene che non si vede quale iniziativa i
ricorrenti avrebbero potuto adottare per rendere sollecita la definizione della
procedura fallimentare, e si contesta il non elevato importo dei crediti, che al
contrario erano tutt’altro che bagatellari (essendo in nessun caso inferiori a 12
milioni del vecchio conio). Parte ricorrente lamenta, inoltre, l’esiguità della
liquidazione, M contrasto con il parametro ordinario (750 euro per i primi tre
anni e 1.000 per i successivi), richiamandosi espressamente a Cass. n.
18323/12, e indica in sette anni la durata massima ragionevole per una
procedura fallimentare.
2. – Nei soli termini che seguono il motivo è fondato.
2.1. – In tema di equa riparazione da irragionevole durata del processo
fallimentare, per il quale il creditore non abbia neppure dimostrato di aver
manifestato nei confronti degli organi della procedura uno specifico interesse
alla definizione -della stessa, 4 congrua la liquidazione dell’indennizzo nella
misura solitamente riconosciuta per i giudizi amministrativi protrattisi oltre
dieci anni, rapportata su base annua a circa euro 500,00, dovendosi
riconoscere al giudice il potere, avuto riguardo alle peculiarità della singola
fattispecie, di discostarsi dagli ordinari criteri di liquidazione dei quali deve
dar conto in motivazione (Cass. n. 16311/14, che richiama a sua volta i
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89/01, 2056 c.c., 1 legge cost. n. 2/99, e 6, paragrafo 1, CEDU, nonché il vizio

i

precedenti dei casi Volta et autres c. Italia, del 16 marzo 2010 e Falco et
autres c. Italia, del 6 aprile 2010, recepiti dalla giurisprudenza di questa Corte
con sentenze nn..14753/10, 3271/11 e 5914/12).
Nello specifico la Corte territoriale ha sostanzialmente adottato il suddetto
parametro di liquidazione dell’indennizzo, ove si consideri che l’importo
complessivo di € 4.000,00 per otto anni di durata irragionevole sconta
l’implicita applicazione, appunto, del moltiplicatore annuo di

e 500,00.

2.1.1. – Né è criticabile, poi, la valut27ione di fatto compiuta dalla Corte
territoriale circa la condotta non attiva dei ricorrenti all’interno della
procedura fallimentare, non essendo più censurabile la motivazione a termini
dell’art. 360, n. 5 c.p.c., come modificato dal D.L. n. 83/12, convertito in
legge n. 134/12 (applicabile nella specie, per essere stato emesso il decreto
impugnato il 17.10.2013). Tale modifica ha reso deducibile solo il vizio
d’omesso esame di un fatto decisivo che sia stato oggetto di discussione tra le
parti, confinando così il controllo della motivazione sub specie nullitatis, in
relazione al n. 4 dell’art. 360 c.p.c., che ricorre solo nel caso di una
sostanziale carenza del requisito di cui all’art. 132, n. 4 c.p.c. (cfr. Cass. S.U.
n. 8053/14).
2.2. – Piuttosto, è eccessiva la quantificazione in otto anni della durata
ragionevole della procedura, essendo fermo l’orientamento di questa Corte
che reputa non superabile in ogni caso il limite di durata di sette anni, ove il
fallimento presenti elementi di complessità (cfr. per tutte, Cass. 9254/12).
3. – Pertanto, il decreto impugnato va cassato e, non essendo necessari
ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ex art.
384, 2° comma c.p.c., liquidando in favore di ciascuno dei ricorrenti il
5

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a

maggiore importo di 4.500,00, in ragione di 500,00 per nove anni di
durata eccedente, considerata ragionevole per il fallimento presupposto, come
prospettato dalla stessa parte ricorrente (v. pag. 11 del ricorso), una durata di
sette anni.

nel decreto impugnato, le spese del presente giudizio di cassazione, liquidate
come in dispositivo, vanno poste a carico del Ministero della Giustizia; le une
e le altre con distrazione in favore dei difensori antistatari.
P. Q. M.

La Corte accoglie il ricorso, nei sensi di cui in motivazione, cassa il
decreto impugnato e decidendo nel merito condanna il Ministero della
Giustizia al pagamento in favore di ciascuno dei ricorrenti della somma di E
4.500,00; conferma, per il grado di merito, il regolamento delle spese operato
nel decreto impugnato e pone a carico del predetto Ministero le spese del
presente giudizio di cassazione, che liquida in t 500,00, oltre accessori di
legge, le une e le altre spese con distrazione in favore dei difensori antistatari.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile
2 della Corte Suprema di Cassazione, il 17.2.2015.

4. – Confermato per il grado di merito il regolamento delle spese operato

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