Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10056 del 17/05/2016


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Civile Sent. Sez. L Num. 10056 Anno 2016
Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: DI PAOLANTONIO ANNALISA

SENTENZA

sul ricorso 15796-2008 proposto da:
IMPRESA PIETRO CIDONIO S.P.A. P.I. 00900591009, in
persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO 58,
presso lo studio dell’avvocato BRUNO COSSU, che la
rappresenta e difende unitamente all’avvocato
2016
827

ESPOSITO ARMANDO, giusta delega a margine del
ricorso;;
– ricorrente contro

CATALDO PASQUALE C.F. CTLPQL55B27H243Q, elettivamente

Data pubblicazione: 17/05/2016

domiciliato in ROMA, VIALE DELL’ASTRONOMIA 5, presso
lo studio dell’avvocato CARLO PERENO,
rappresenta e difende,

che lo

giusta procura speciale

notarile in atti;
– resistente con procura avverso la sentenza n. 1711/2007 della CORTE
D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 01/06/200 R.G.N.
7972/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 25/02/2016 dal Consigliere Dott. ANNALISA
DI PAOLANTONIO;
udito l’Avvocato COSSU BRUNO;
udito l’Avvocato PERENO CARLO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIOVANNI GIACALONE che ha concluso per
l’inammissibilità, in subordine rigetto.

•?,

RG 15796/2008
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

– La Corte di Appello Di Napoli, con sentenza del 1° giugno 2007, ha accolto
l’appello proposto da Pasquale Cataldo e, in riforma della sentenza del Tribunale
di Napoli del 5 giugno 2006, ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato
all’appellante dalla s.p.a. Impresa Pietro Cidonio ed ha condannato la società a
reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro in precedenza occupato ed a
corrispondere allo stesso, a titolo di risarcimento del danno, “una annualità

retribuzioni maturande dalla data della pronuncia sino alla effettiva
rei nteg razione.
2 – La Corte ha premesso che con la comunicazione del 23 luglio 2002 la società
aveva contestato al Cataldo il superamento del periodo massimo di comporto ai
sensi dell’art. 29, comma 2, del CCNL 12.7.1991 per il personale marittimo che
svolge la sua opera su natanti adibiti a lavori edili.
Ha rilevato che il contratto collettivo sopra richiamato prevedeva unicamente il
comporto cosiddetto “secco”, pacificamente non maturato nella fattispecie, sicché
erroneamente il Tribunale aveva ritenuto di potere applicare in via equitativa il
comporto cosiddetto “per sommatoria”, atteso che in tal modo aveva consentito
al datore di lavoro un inammissibile mutamento del motivo di licenziamento.
3 – Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la s.p.a. Impresa Pietro
Cidonio sulla base di quattro motivi, illustrati da memoria. Pasquale Cataldo ha
depositato procura ed il difensore, all’esito della discussione, ha concluso per il
rigetto del ricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Con il primo motivo di ricorso la s.p.a. Impresa Pietro Cidonio denuncia la
violazione dell’art. 2 della legge n. 604 del 1966 e rileva che erroneamente la
Corte territoriale, nell’interpretare la missiva di licenziamento, ha ritenuto
determinante la circostanza che nella stessa non fossero stati indicati il numero
delle assenze ed i giorni di malattia. Evidenzia che la decisione muove da una
interpretazione erronea della norma sopra richiamata, posto che, qualora il
recesso venga esercitato a causa del protrarsi della malattia del lavoratore, il
datore di lavoro è tenuto a specificare tutti gli aspetti fattuali rilevanti ai fini del

commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto percepita”, oltre alle

RG 15796/2008
computo del periodo massimo di conservazione del posto di lavoro, solo qualora il
dipendente ne faccia esplicita richiesta.
Con il secondo motivo la società censura la sentenza impugnata per “omessa
motivazione circa fatti controversi e decisivi in relazione all’art. 1362 cod. civ., 1°
comma, con riferimento all’interpretazione data dalla Corte di Appello alla lettera
di licenziamento in data 23.7.2002; in alternativa violazione degli artt. 1362 e
1367 c.c.”. Rileva, sostanzialmente, la ricorrente che la Corte territoriale avrebbe
dovuto valutare da un lato la scarsa chiarezza della normativa contrattuale, che

dall’altro il tenore letterale della missiva del 23 luglio 2002, nella quale la società
aveva significativamente evidenziato che il periodo di conservazione del posto di
lavoro era stato “superato da tempo”, con ciò palesando la volontà di volersi
avvalere della sommatoria dei diversi periodi di assenza.
Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la “violazione del giudicato con
riferimento all’affermazione della Corte di Appello che non sarebbe stata
raggiunta la prova del superamento dei 180 giorni di assenza per malattia
nell’ambito del triennio”. Rileva che, al contrario, il Tribunale aveva accertato che
il Cataldo negli ultimi tre anni di lavoro era stato assente per malattia per 436
giorni e che su detta statuizione, in assenza di impugnazione, si era formato
giudicato interno.
Infine con il quarto motivo la società denuncia “nullità del procedimento per
violazione dell’art. 435 2° comma c.p.c., in relazione agli artt. 325,326 e 327
c.p.c. ed alla luce del principio costituzionale della durata ragionevole del
processo”. Rileva che le copie del ricorso in appello e del decreto di fissazione
dell’udienza di discussione erano state rilasciate il 16 ottobre 2006 mentre la
notifica era stata richiesta solo il 10 gennaio 2007, quando il termine di dieci
giorni previsto dall’art. 435 c.p.c. era da tempo spirato. La Corte territoriale,
pertanto, avrebbe dovuto dichiarare l’inammissibilità della impugnazione.
Tutti i motivi risultano formulati nel rispetto dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile
ratione temporis.
2 – Deve essere esaminato, per il suo carattere pregiudiziale, il quarto motivo di

ricorso, giacché la eccepita inammissibilità dell’appello, ove ritenuta sussistente,
travolgerebbe tutte le statuizioni di merito contenute nella sentenza impugnata,
censurate con gli altri motivi di ricorso.
2.1 – Il motivo è infondato.

2

non precisava se i sei mesi dovessero essere continuativi oppure frazionati, e

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Invero “la violazione del termine di dieci giorni entro il quale l’appellante, ai sensi
dell’art. 435, secondo comma, cod. proc. civ., deve notificare all’appellato il
ricorso, tempestivamente depositato in cancelleria nel termine previsto per
l’impugnazione unitamente al decreto di fissazione dell’udienza di discussione,
non produce alcuna conseguenza pregiudizievole per la parte, perché non incide
su alcun interesse di ordine pubblico processuale o su di un interesse
dell’appellato, sempre che sia rispettato il termine che, in forza del medesimo art.
435, terzo e quarto comma, cod. proc. civ., deve intercorrere tra il giorno della
notifica e quello dell’udienza di discussione.” ( Cass. 16.10.2013 n. 23426 e negli

stessi termini Cass. 31.5.2012 n. 8685).
Nel caso di specie il mancato rispetto del termine non ha leso in alcun modo il
diritto di difesa dell’appellata né ha inciso sulla durata complessiva del processo,
essendo stata fissata l’udienza di discussione per il 1° marzo 2007. La notifica,
perfezionatasi il 10 gennaio 2007, è quindi avvenuta nel rispetto del termine di
comparizione previsto dal comma 3 dell’art. 435 c.p.c..
3-

I primi due motivi di ricorso, da trattarsi congiuntamente perché connessi,

sono fondati.
Innanzitutto ha errato la Corte territoriale nel ritenere determinante, ai fini della
individuazione della volontà del datare di lavoro di comminare il licenziamento
per l’avvenuto superamento del comporto cosiddetto “secco”, la circostanza che
non fossero stati indicati nella missiva i singoli periodi di assenza per malattia, da
sommare fra loro.
Questa Corte, infatti, ha già affermato, e va qui ribadito, che “al licenziamento
che trovi giustificazione nelle assenze per malattia del lavoratore, si applicano le
regole dettate dall’art. 2 della legge n. 604/1966 (modificato dall’art. 2 della
legge n. 108 del 1990) sulla forma dell’atto e la comunicazione dei motivi del
recesso, poiché nessuna norma speciale è al riguardo dettata dall’art. 2110 cod.
civ. Conseguentemente, qualora l’atto di intimazione del licenziamento non
precisi le assenze in base alle quali sia ritenuto superato il periodo di
conservazione del posto di lavoro, il lavoratore – il quale, particolarmente nel
caso di comporto per sommatoria, ha l’esigenza di poter opporre propri specifici
rilievi – ha la facoltà di chiedere al datore di lavoro di specificare tale aspetto
fattuale delle ragioni del licenziamento, e, nel caso di non ottemperanza con le
modalità di legge a tale richiesta, di dette assenze non può tenersi conto ai fini
della verifica del superamento del periodo di comporto; ove, invece, il lavoratore
abbia direttamente impugnato il licenziamento, il datore di lavoro può precisare

3

o

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in giudizio i motivi di esso ed i fatti che hanno determinato il superamento del
periodo di comporto, non essendo ravvisabile in ciò una integrazione o
modificazione della motivazione del recesso. ” ( Cass. 13 luglio 2010 n. 16421 e
negli stessi termini Cass. 16 gennaio 2014 n. 471).
Poiché il datore di lavoro ha l’obbligo di specificare i periodi di assenza solo
nell’ipotesi in cui il lavoratore ne faccia espressa richiesta, la circostanza della
mancata indicazione delle assenze, sommate ai fini del superamento del
comporto, non poteva essere valorizzata ai fini della interpretazione della missiva

3.1. –

Osserva, inoltre, il Collegio che le norme in tema di interpretazione dei

contratti di cui agli artt. 1362 e seguenti cod. civ., in ragione del rinvio ad esse
operato dall’art. 1324 cod. civ., si applicano anche agli atti unilaterali, qual è la
lettera di licenziamento, nei limiti della compatibilità con la particolare natura e
struttura di tali negozi, sicché, mentre non può aversi riguardo alla comune
intenzione delle parti ma solo all’intento proprio del soggetto che ha posto in
essere l’atto, resta fermo il criterio dell’interpretazione complessiva dello stesso.
(cfr. Cass. 6.5.2015 n. 9127, Cass. 14.11.2013 n. 25608 e Cass. 11.1.2011 n.
460).
E’, dunque, necessario considerare il testo nella sua complessità, raffrontare e
coordinare tra loro frasi e parole, onde ricondurle ad armonica unità e
concordanza.
E’ stato anche precisato che, nel caso in cui l’atto indichi fonti esterne (negoziali o

normative), queste diventano per relationem

parte integrante della volontà

negoziale, e la base di riferimento dello strumento interpretativo che valorizza il
“complesso dell’atto” va conseguentemente estesa ( Cass. 27.6.1998 n. 6398).
Nella fattispecie la Corte territoriale, per giungere alla conclusione che il recesso
fosse stato esercitato in conseguenza del superamento del cosiddetto “comporto
secco”, ha valorizzato solo il richiamo all’art. 29 del CCNL, ma ha omesso di
considerare l’intero testo della missiva, ed in particolare di chiarire il senso della
espressione “superato da tempo”, e di accertare se la norma contrattuale
richiamata si prestasse anche ad una diversa interpretazione, che consentisse di
ricondurre ad armonica unità tutte le espressioni utilizzate.
4 – La sentenza impugnata deve essere, pertanto, cassata con rinvio alla Corte di

Appello di Napoli, in diversa composizione, che nella interpretazione della lettera
di licenziamento dovrà attenersi ai principi di diritto sopra richiamati,
provvedendo anche sulle spese del giudizio di legittimità.

4

di licenziamento.

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■•■

Resta assorbito il terzo motivo di ricorso relativo alla asserita formazione del
.

giudicato interno sull’accertamento effettuato dal giudice di prime cure in merito

al numero ed alla durata delle assenze per malattia nell’ambito del triennio.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso, assorbito il terzo, e rigetta il
quarto. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche
per le spese, alla Corte di Appello di Napoli in diversa composizione.

A Il Consigliere estensore

Il Presidente

s

Roma, così deciso nella camera di consiglio del 25 febbraio 2016

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