Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10056 del 09/05/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 10056 Anno 2014
Presidente: ADAMO MARIO
Relatore: CIRILLO ETTORE

SENTENZA

sul ricorso 23986-2007 proposto da:
GNOATO ANTONIO, elettivamente domiciliato in ROMA
PIAZZA CAVOUR, presso la cancelleria della CORTE DI
CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati
CALI’ DOMENICO, CALI’ ROSARIO con studio in PALERMO
VIA G. DI MARZO 11 (avviso postale) giusta delega in
calce;
– ricorrente contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DI ROMA in persona del
Direttore pro tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO
DI LONATO in persona del Direttore pro tempore,

Data pubblicazione: 09/05/2014

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI
12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li
rappresenta e difende ope legis;
– controricorrenti

avverso la sentenza n. 86/2006 della

04/07/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 26/11/2013 dal Consigliere Dott. ETTORE
CIRILLO;
udito per il ricorrente l’Avvocato CALI’ ROSARIO che
ha chiesto l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato GIACOBBE che
ha chiesto l’inammissibilità e il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PAOLA MASTROBERARDINO che ha concluso
per l’accoglimento del VII motivo, assorbito il IV,
infondati gli altri.

COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di BRESCIA, depositata il

RITENUTO IN FATTO

1. Nel 2002 e per l’anno d’imposta 1998 l’Agenzia delle entrate
emetteva, nei confronti della fallita società Italcase Group, avviso di
accertamento per imposte dirette ed i.v.a. ed irrogava le corrispondenti
sanzioni. L’atto impositivo era notificato a Enrico Broli quale curatore
fallimentare della società contribuente, nonché a Mario Bertelli e Antonio

I destinatari proponevano, dinanzi alla Commissione tributaria
provinciale di Brescia, separati ricorsi iscritti rispettivamente coi numeri
di RG 2436/02 quello del Gnoato, 2510/02 quello del curatore Broli e
2579/02 quello del Bertelli.

2. Per ciò che qui interessa il ricorso del Gnoato, diversamente dagli
altri, era rigettato in primo grado con decisione confermata in appello.
La sezione bresciana della Commissione tributaria regionale della
Lombardia motivava la sua sentenza ritenendo:
(a) l’infondatezza dell’eccezione di giudicato esterno (perché la sentenza
resa nei confronti del Bertelli non poteva far stato a favore del Gnoato);
(b) la regolarità dell’atto impositivo (perché notificato allo Gnoato non
quale legale rappresentante della società fallita ma quale autore
materiale delle violazioni);
(c)

la legittimità dell’avviso di accertamento (perché rinviava

per

relationem al processo verbale di constatazione della Guardia di finanza
come documento indiziante, conosciuto o, comunque, conoscibile da
parte del destinatario dell’atto impositivo).

3. Ha proposto ricorso per cassazione, affidato a otto motivi contenenti
plurime censure, Antonio Gnoato; il Fisco resiste con controricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Con il primo motivo, il ricorrente avanza tre censure – (a) omessa
motivazione su «punto decisivo della controversia» in relazione
all’art.360 n.5 cod. proc. civ.; (b) violazione degli articoli 43 RD 267/42,
60 DPR 602/73, 56 DPR 633/72 in relazione all’art.360 nn. 3 e 5 cod.
proc. civ.; (c) violazione degli articoli 11, 16, 17 DLGS 472/97 – e
formula quattro quesiti.

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Gnoato quali autori delle violazioni.

Lo Gnoato lamenta che il giudice d’appello avrebbe trascurato che
l’assoluta illegittimità dell’atto impositivo che andava diretto nei
confronti del solo curatore fallimentare della società contribuente e non
anche nei suoi confronti, quale autore della violazione, senza che fossero
specificati i fatti addebitatigli.
Peraltro, una volta formatosi nel parallelo giudizio promosso dal
coobbligato Bertelli il giudicato esterno – sia sulla riduzione della pretesa

responsabilità tributaria – i giudici di appello avrebbero dovuto tenerne
conto.
4.1. Il mezzo va disatteso, presentando plurimi profili d’inammissibilità.
Esso, privo di adeguata autosufficienza circa i contenuti dell’atto fiscale
impugnato (Cass. 12786/06 e 13007/07) e dei giudicati invocati, è
articolato in plurimi quesiti di diritto senza un diretto e specifico
riferimento, anche di tipo fattuale, alle diverse e concorrenti violazioni di
legge denunciate.
La ricorrente trascura che il quesito di diritto imposto dall’art. 366-bis
c.p.c. costituisce il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso
specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale, risultando
altrimenti inadeguata e quindi non ammissibile l’investitura stessa del
giudice di legittimità. Deriva da quanto precede che la parte deve
evidenziare tanto il nesso tra la fattispecie e il principio di diritto che si
chiede che sia affermato, quanto il principio, diverso da quello posto alla
base del provvedimento impugnato, la cui auspicata applicazione
potrebbe condurre a una decisione di segno diverso [Cass. 21184/10].
Diversamente, detto enunciato, mancando di riferimento alla fattispecie
concreta (SU 7433/09), non é tale da circoscrivere la pronuncia del
giudice nei limiti di un accoglimento o un rigetto del quesito formulato
dalla parte (SU 7258/07).
Il quesito, com’è noto, deve invece comprendere l’indicazione sia della
regula iuris adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso
principio che la parte ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto
applicare in sostituzione del primo. La mancanza, evidente nella specie,
anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso
inammissibile (Cass. 24339/08).
In altre parole, il quesito, contrariamente alle odierne formulazioni, deve
investire in pieno la ratio decidendi della sentenza impugnata e proporre
un’alternativa di segno opposto (Cass. 4044/09), altrimenti risolvendosi

2

fiscale nel giudizio promosso dal curatore, sia sulla insussistenza di

in una tautologia o in un interrogativo circolare (SU 28536/08).
In conclusione, i quesiti di diritto formulati con il mezzo sub I) sono
generici e non direttamente pertinenti rispetto alla fattispecie,
risolvendosi in enunciazioni di carattere generale e astratto, prive di
qualunque indicazione sul tipo di controversia e sulla riconducibilità alla
fattispecie (Cass. 25242/11), il tutto senza enucleare i momenti di
conflitto rispetto a esse del concreto operato dei giudici di merito (Cass.

4.2. Inoltre, le censure motivazionali di cui al primo mezzo trascurano
che, nel vigore dell’art.366-bis cod. proc. civ., il motivo di ricorso per
omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, proposto ai sensi
dell’art.360, comma 1, n.5, cod. proc. civ., deve essere accompagnato
da un momento di sintesi che ne circoscriva puntualmente i limiti, in
maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso
e di valutazione della sua ammissibilità; il motivo, cioè, deve contenere a pena d’inammissibilità un’indicazione riassuntiva e sintetica, che
costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo e che
consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del
ricorso (SU 12339/10). Nulla di tutto ciò è leggibile nel caso di specie.
4.3. Infine, e per completezza, si osserva che il rilievo dei due pretesi
giudicati è manchevole sia quanto agli obblighi di documentazione ed
esibizione (Cass. 21469/13), sia riguardo ai requisiti d’identintà di causa
petendi, petitum e soggetti (Cass. 19310/11), e, comunque, gl’invocati
giudicati essi sarebbero formati nel 2004 (per il Bertelli) e nell’aprile
2006 (per la Curatela) ben prima del giorno in cui l’appello dello Gnoato
è stato spedito a sentenza (2 maggio 2006) il che, non risultando essere
stato eccepito alcunché in quella sede, esclude il ricorso per cassazione
sul punto potendosi, semmai, agire per revocazione (Cass. 21493/10).
Su altri profili si rinvia a quanto si dirà sul settimo motivo.

5. Con il secondo motivo, corredato da sei quesiti, il ricorrente denuncia,
in relazione all’art.360 n.3 c.p.c., la violazione degli articoli 43 RD
267/42, 60 DPR 602/73, 56 DPR 633/72.
Lo Gnoato sostiene di non essere legittimato passivamente al momento
della notifica dell’atto impositivo essendo la legittimazione tributaria
devoluta al solo curatore del fallimento della società contribuente,
dichiarato circa due anni prima, e mancando comunque qualsivoglia atto
di contestazione delle violazioni ascrittegli.

3

80/2011).

5.1. Il mezzo va disatteso. Anche a voler prescindere dalla inammissibile
articolazione dei mezzi in plurimi quesiti di diritto senza un diretto e
specifico riferimento alle diverse e concorrenti violazioni di legge
denunciate e dal difetto di autosufficienza ancora una volta ricorrenti, si
rileva, nel merito, che in deroga a quanto previsto nell’articolo 16 del
DLGS 472/97, l’articolo 17 consente per il Fisco la facoltà d’irrogare
sanzioni senza preventiva contestazione, purché ciò avvenga unitamente

relative ai tributi cui le infrazioni si riferiscono.
Si tratta di una disposizione facoltizzante che trova la sua

ratio

giustificativa in quelle esigenze di semplificazione amministrativa e di
collegamento procedimentale tra irrogazione delle sanzioni e
accertamento del tributo cui si riferiscono, che sono più agevolmente
perseguibili con la notificazione di un atto contestuale.
5.2. Inoltre, la parte ricorrente non considera che, in materia fiscale, il
sistema delle sanzioni amministrative introdotto dal DLGS 472/97
(articoli 2 e 11) si basa sul cosiddetto principio personalistico secondo:e
cui la sanzione deve essere applicata all’autore materiale della
violazione, ovverossia alla persona fisica responsabile della infrazione,
ancorché essa possa non essere coincidente con il soggetto passivo del
tributo.
Dunque, è la persona fisica che ha contravvenuto alla norma tributaria
che ne risponde amministrativamente verso il Fisco, il quale riscuote in
suo danno la sanzione. In aggiunta, il DLGS 472/97 (comma 1
dell’articolo 11) prevede per il pagamento della sanzione un’obbligazione
solidale dipendente posta a carico del soggetto contribuente che trae
vantaggio economico dalla violazione commessa.
Ne deriva che le due responsabilità verso il Fisco restano parallele, senza
che il fallimento dì $09éty.6 del soggetto contribuente, che trae
vantaggio economico dalla violazione commessa, possa in alcun modo
rendere la sanzione esigibile solo nei confronti della curatela e non nei
confronti dell’autore della violazione, in virtù del ridetto principio
personalistico. Il che toglie pure qualsiasi rilevanza anche al preteso
giudicato esterno verso la curatela, rinviandosi sul punto anche alla
disamina del settimo motivo.
5.3. Infine, per completezza, va evidenziato che, trattandosi di
accertamento notificato il 25 giugno 2002, non trova applicazione la
novella del 2003 sulla «riferibilità esclusiva alla persona giuridica delle

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all’atto impositivo che dà attuazione agli accertamenti e alla rettifiche

sanzioni amministrative tributarie» (articolo 7, comma 1, D.L. 269/03
conv. mod. L. 326/03), applicabile solo «alle violazioni non ancora
contestate o per le quali la sanzione non sia stata ancora irrogata alla
data di entrata in vigore» (comma 2).

6. Con il terzo motivo, il ricorrente muove alla sentenza d’appello, ai
sensi dell’art. 360 n.5 cod. proc. civ., due censure – vizio di carenza di

motivazione sull’eccepita violazione degli articoli 11, 16, 17 DLGS
472/97 – formulando all’uopo tre quesiti.
Lo Gnoato lamenta, in sostanza, che la CTR avrebbe trascurato
l’eccepita nullità dell’atto impositivo per errata applicazione dell’art. 11
DLGS 472/97 e violazione degli articoli 16 e 17 dello stesso decreto,
oggetto dell’impugnazione in appello con riferimento al mancato rispetto
del rigore procedurale per l’irrogazione delle sanzioni amministrative.
6.1. Il mezzo, per com’è materialmente formulato, è inammissibile. Il
ricorrente, più che altro, lamenta l’omessa pronuncia, da parte del
giudice d’appello, in ordine ad una delle questioni proposte. Com’è noto
non è indispensabile che, ai fini di un’adeguata impugnazione, nel
ricorso per cassazione si faccia esplicita menzione della ravvisabilità
della fattispecie di cui al n. 4 dell’art. 360 cod. proc. civ., con riguardo
all’art. 112 cod. proc. civ., bastando che il motivo rechi almeno un
univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa
omissione.
Sicché si deve dichiarare inammissibile il mezzo allorché, come nella
specie, si denunci che la motivazione sia mancante o insufficiente
(ovvero si argomenti in proposito su violazioni di legge) ma nella
sostanza si rilevi una omissione di pronuncia su una specifica questione
sollevata con l’appello.
6.2. Sul punto si è detto: «Il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto
censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360, primo
comma, cod. proc. civ., deve essere articolato in specifici motivi
riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque
ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la
necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione
numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il
ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata
sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è

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motivazione su punto decisivo della controversia e vizio di omessa

indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della
fattispecie di cui al n. 4 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ.,
con riguardo all’art. 112 cod. proc. civ., purché il motivo rechi univoco
riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione,
dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorché sostenga
che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad
argomentare sulla violazione di legge.» (v. Sez. U, Sentenza n. 17931

7. Con il quarto motivo, il ricorrente ripropone, questa volta ai sensi
dell’art. 360 n.5 cod. proc. civ., la violazione degli articoli 11, 16, 17
DLGS 472/97 e, con unico quesito, interroga la Corte sul fatto «se l’atto
con cui si irrogano le sanzioni all’ex amministratore della società quale
autore materiale della violazione, deve essere motivato in ordine alla
riferibilità delle violazioni contestate al presunto autore materiale,
menzionando in modo specifico gli atti compiuti dal presunto
responsabile e motivando, altresì, in ordine agli elementi soggettivi e
oggettivi – dolo o colpa grave – utili ai fini della irrogazione delle
sanzioni».
7.1. Il mezzo è inammissibile. Si rileva che il motivo di ricorso e il suo
momento di sintesi (quesito di fatto) non indicano il fatto controverso o
decisivo in relazione al quale la motivazione si assume carente. Questa
Corte ha chiarito che devesi intendere per fatto non una questione o un
punto della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto
principale, ex art. 2697 cod. civ., (cioè un fatto costitutivo, modificativo,
impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto
dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché controverso e
decisivo (Cass. 2805/11; conf. Cass. 16655/11).
Peraltro il motivo difetta pure di autosufficienza, poiché quando si
censura la sentenza d’appello sotto il profilo della congruità del giudizio
espresso in ordine all’adeguatezza di un atto impositivo è necessario
riportare nel ricorso i passi salienti dell’atto stesso e del processo
verbale di constatazione richiamato, che si assumono inadeguatamente
o erroneamente valutati (Cass. 9536/13; conf. 12796/06 e 13007/07
cit. sub §4.1), nella specie riguardo alla effettiva conoscenza del
processo verbale di constatazione da parte del ricorrente.

6

del 24/07/2013, Rv. 627268).

8. Con il quinto motivo, il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 n.5
cod. proc. civ., la violazione degli articoli 42 DPR 600/73 e 7 St. Contr. e
la conseguente illegittimità della motivazione per relationem dell’atto
impositivo e interroga la Corte sul fatto il rinvio a un processo verbale di
constatazione comporti che esso debba essere allegato all’avviso di
accertamento notificato al privato e se incomba all’Ufficio l’onere di
provare che detto processo verbale di constatazione sia stato comunque

8.1. Il motivo non è fondato. Richiamando i rilievi sul difetto di
autosufficienza già evidenziati in ordine al quarto motivo, si aggiunge
che nel regime introdotto dallo Statuto del Contribuente, art. 7, l’obbligo
di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche per
relationem, cioè mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da
altri atti o documenti, a condizione che questi ultimi siano allegati
all’atto notificato o questo ne riproduca il contenuto essenziale ovvero
siano già conosciuti dal contribuente per effetto di precedente
notificazione (Cass. 13110/12).
Né consta, in punto di fatto, che il ricorrente abbia mai disconosciuto nel
giudizio merito di aver sottoscritto il processo verbale di constatazione a
fine verifica, come invece addotto dalla difesa erariale in appello e
trascritto in controricorso (v. pag.5 e riferimenti ivi citati)

9. Con il sesto motivo, il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 n.5
cod. proc. civ., vizio di motivazione della sentenza d’appello e interroga
la Corte sul quesito «se la motivazione della sentenza adottata dalla
commissione tributaria regionale è insufficiente e/o contraddittoria in
quanto non indica gli elementi utilizzati per giungere alle conclusioni
sancite in sentenza e non consente l’esercizio del controllo formale,
sotto il profilo delle correttezza giuridica e della coerenza logicoformale».
9.1. Il motivo è inammissibile. Il vizio motivazionale è configurabile
soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante
dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che
potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia
evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza,
del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi
acquisiti, al suo convincimento, ma non già quando, invece, vi sia
difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul

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portato a conoscenza della parte attraverso la notifica.

valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati.
Diversamente opinando il motivo di ricorso si risolverebbe in
un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del
convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova
pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del
giudizio di cassazione. (SU 24148/13).

10. Con il settimo motivo, corredato da quattro quesiti, il ricorrente

n.3 [cod. proc. civ.], per violazione dell’art. 2909 cod. civ.», in relazione
al trascurato «doppio giudicato esterno formatosi con riferimento al
medesimo avviso di accertamento» riguardo alle separate decisioni
favorevoli sia per la curatela della società contribuente, sia per l’altro
obbligato Bertelli.
10.1. Il mezzo va disatteso. Infatti, il ricorrente, quale parte che
eccepisce il giudicato esterno, aveva l’onere di provare il passaggio in
giudicato delle sentenze rese in altri giudizi, producendo le sentenze
stesse e corredandole d’idonee certificazioni dalle quali risulti che le
decisioni non siano soggette a impugnazioni, non potendosi ritenere sia
onere della controparte dimostrare l’impugnabilità di dette sentenze
(Cass. 19883/13).
10.2. Inoltre, riguardo ai limiti soggettivi del giudicato, si rileva che il
disposto degli artt. 1306 e 1310 cod. civ. prevede con riferimento alle
obbligazioni solidali, e quindi ad un rapporto con pluralità di parti, ma
scindibile, che i condebitori i quali non abbiano partecipato al giudizio tra
il creditore ed altro condebitore possano opporre al primo la sentenza
favorevole al secondo, solo ove non basata su ragioni personali (Cass.
1589/06). Mentre, l’asserita estraneità del Bertelli all’illecito tributario,
quale autore materiale delle infrazioni, non può riflettersi di per sé
stessa sulla posizione dell’altro responsabile Gnoato.
10.3. Nel resto si richiamano le considerazioni già svolte in ordine al
primo motivo.

11.

Con l’ottavo motivo, il ricorrente chiede 124 alla Corte

l’annullamento della condanna alle spese «sulla scorta delle statuizioni
che adotterà in ordine all’odierno giudizio».
Il mezzo va disatteso, sia perché mancante di una vera e propria
censura secondo i parametri dell’art. 360 cod. proc. civ., sia perché

8

denuncia «illegittimità della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360

man DA REGISTRAZONE

AI SENSI DEL D.P.R. 26/4/1986
N. 131 TAB. ALL. B. – N. 5
MATERIA TRIBUTARIA

privo di quesito di fatto e/o di diritto secondo le prescrizione dell’art.
366-bis cod. proc. civ., sia perché correttamente la sentenza fa
applicazione del principio della soccombenza.

12. Il ricorso deve, dunque, essere interamente respinto; le spese del
presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio
di legittimità liquidate in C 10.200 per compensi, oltre alle spese
prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 26 novembre 2013.

in dispositivo.

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