Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10055 del 15/05/2015


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 10055 Anno 2015
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: MANNA FELICE

SENTENZA
sul ricorso 4758-2014 proposto da:
SCORRANO GIOVANNNI, ABBRUZZESE COSIMO,
elettivamente domiciliati in ROMA, VIA TARO 25 – scala W, presso
lo studio dell’avvocato DEBORA MAGARAGGIA, rappresentati e
difesi dagli avvocati PIERRI DAVIDE SALVATORE, PIERLUIGI
DEI J 4’ANNA, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrenti contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587 in persona del
Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

Data pubblicazione: 15/05/2015

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DFMLO
STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;

controricatrente

avverso il decreto n. 726/2013 della CORTE D’APPELLO di

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
17/02/2015-dal Consigliere Relatore Dott. FELICE MANNA;
udito per i ricorrenti l’Avvocato Pierluigi Dell’Anna che si riporta agli
scritti.

Ric. 2014 n. 04756 sez. M2 – ud. 17-02-2015
-2-

POTENZA del 7.5.2013, depositato il 19/07/2013;

IN FATTO
Con ricorso depositato il 17.10.2011 Giovanni Scorrano e Cosimo
Abbruzzese adivano la Corte d’appello di Potenza per ottenere la condanna
del Ministero della Giustizia al pagamento di un equo indennizzo, ai sensi

della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), del 4.11.1950,
ratificata con legge n.848/55. Processo presupposto, una procedura
fallimentare aperta innanzi al Tribunale di Lecce il 7.6.1998 e chiusa con
decreto divenuto definitivo il 5.5.2011, procedura al passivo della quale i
predetti ricorrenti erano stati ammessi per un credito, rispettivamente, di lire
5.380.340 e di lire 13.543.000.
Resisteva il Ministero.
Con decreto del 19.7.2013 la Corte territoriale condannava il Ministero
della Giustizia al pagamento in favore di Giovanni Scorrano e Cosimo
Abbruzzese della somma, rispettivamente, di

e

3.000,00 e di € 7.000,00.

Compensava le spese per 1/2 e poneva la restante frazione a carico del
Ministero, in considerazione del parziale accoglimento del ricorso e della
sostanziale non contestazione della pretesa da parte del Ministero.
Quantificata in 23 anni circa la durata effettiva della procedura
fallimentare, stimata in sette anni la durata ragionevole e calcolata, quindi,
l’eccedenza in circa 15 anni, la Corte potentina, tenuto conto della condotta
processuale inerte delle parti, indice di un modesto interesse alla definizione
della “controversia”, riteneva legittimo discostarsi dai noti parametri
tendenziali di liquidazione stabiliti dalla giurisprudenza della Corte EDU,

3

dell’art.2 della legge 24 marzo 2001, n.89, in relazione all’art.6, paragrafo 1

liquidando in favore dei ricorrenti un importo corrispondente al credito fatto
valere nella procedura fallimentare.
Per la cassazione di tale decreto ricorrono Giovanni Scorrano e Cosimo
Abbruzzese in base a tre motivi.

Il Collegio ha disposto che la motivazione della sentenza sia redatta in
forma semplificata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.

Il primo motivo lamenta la violazione dell’art. 2 legge n. 89/01,

dell’art. 2056 c.c., nonché dell’art. 1 legge cost. n. 2/99, dell’art. 6, paragrafo
1 CEDU, nonché l’omesso esame di fatti decisivi, in relazione,
rispettivamente, ai nn. 3 e 5 dell’art. 360 c.p.c. Deduce la parte ricorrente che
la liquidazione dell’equa riparazione è avvenuta in evidente violazione della
giurisprudenza della Corte EDU e di quella di questo S.C., secondo cui
l’indennizzo deve essere commisurato, di regola, ad C 750,00 per ciascuno dei
primi tre anni di ritardo e ad 1.000,00 per ogni anno successivo.
2. – Il secondo mezzo espone la violazione degli artt. 2 legge n. 89/01, 6
CEDU, 2056, 1223 e 1226 c.c., nonché dell’art. 2 bis legge n. 89/01,

introdotto dal D.L. n. 83/12, convertito in legge n. 134/12, e il vizio di omesso
esame di fatti decisivi, in relazione, rispettivamente, ai mi. 3 e 5 dell’art. 360
c.p.c., per aver la Corte distrettuale applicato di fatto la nuova disciplina della
legge Pinto a fattispecie ancora governate, ratione temporis, da quella
pregressa.
3. – Il terzo motivo lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 24,
38 e 111 Cost. e 91 e 92 c.p.c., nonché il vizio di omessa, insufficiente e
4

Resiste il Ministero della Giustizia con controricorso.

contraddittoria motivazione. La Corte d’appello di Potenza, si duole parte
ricorrente, ha compensato le spese in considerazione del comportamento
processuale del Ministero intimato, che sostanzialmente non si è opposto alla
domanda. Richiama al riguardo Cass. n. 6193/10, secondo cui i giudizi di

sottraggono in tema di spese processuali alla disciplina degli arti 91 e SS.
c.p.c., con la conseguente applicabilità del principio della soccombenza e
della compensabilità delle spese in presenza di giusti motivi, sulla base di una
congrua motivazione. E tale non può ritenersi, nella specie, conclude la
censura, la ragione addotta nel decreto impugnato.
4. – I primi due motivi, da esaminare congiuntamente, sono fondati.
Giova premettere che: a) l’art. 55, comma 2, del Di. n. 83/12, convertito
in legge n. 134/12, stabilisce che le disposizioni di cui al comma l (contenenti
le modifiche apportate alla legge n. 89/01) si applicano ai ricorsi depositati a
decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della
legge di conversione del decreto stesso, e dunque a partire dall’11.9.2012,
essendo entrata in vigore la legge di conversione il 12.8.2012; b) il ricorso
all’analogia è consentito dall’alt 12 delle preleggi solo quando manchi
nell’ordinamento una specifica disposizione regolante la fattispecie concreta e
si renda, quindi, necessario porre rimedio ad un vuoto normativo altrimenti
incolmabile in sede giudiziaria (Cass. nn. 2656/15 e 9852/02).
Nel caso in esame il ricorso ex lege Pinto è stato presentato il 17.10.2011, e
dunque nulla quaestio sulla non applicabilità della nuova disciplina, neppure
in via analogica poiché non ricorre alcun vuoto normativo da colmare.

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equa riparazione per violazione della durata ragionevole del processo non si

E’ vero, come si legge nel decreto impugnato, che il campo di variazione
dell’indennizzo previsto nell’art. 2-bis legge n. 89/01, costituisce pur sempre
un criterio interpretativo generale, già ricavabile dal sistema normativo
vigente prima della modifica legislativa; ma ciò non vale anche per

all’oggetto della controversia presupposta, che non trova riscontro in tali
precedenti. Nella formulazione ante D.L. n. 83/12, la legge n. 89/01, per come
costantemente interpretata ed applicata, non pone all’equa riparazione alcun
limite fisso derivante dalla posta in gioco nel processo presupposto. La
maggiore o minore entità di questa può incidere sulla misura dell’indennizzo,
consentendo al giudice anche di scendere al di sotto della “soglia minima”
(cfr. Cass. n. 12937/12), ma non per questo è lecito parificarne la liquidazione
al valore della causa in cui si è verificata la violazione, in mancanza di
elementi idonei a dimostrare un pregiudizio maggiore.
5. – L’accoglimento dei primi due motivi, imponendo una nuova decisione
di merito, prima, e un conseguente nuovo regolamento delle spese, poi,
assorbe l’esame della terza censura.
6. – Il decreto impugnato va dunque cassato e, non essendo necessari
ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi
dell’art. 384, comma 2 c.p.c.
Considerata una durata ragionevole della procedura pari a sette anni, come
proposto dalla stessa parte ricorrente (v. pag. 8 del ricorso), e dunque una
durata eccedente di circa quindici anni (come ritenuto dalla Corte distrettuale
e prospettato anche dalla parte ricorrente: /oc. u/t. cit.); ed applicato un
moltiplicatore annuo di

e 500,00, giudicato congruo nell’ormai prevalente e
6

l’esclusione del potere di liquidare l’indennizzo in misura superiore

più recente giurisprudenza di questa Corte Suprema in relazione alle
procedure fallimentari (cfr. tra le ultime, Cass. n. 16311/14), deve liquidarsi in
favore di ciascuno dei ricorrenti, a titolo di equa riparazione, la somma di £
7.500,00, al cui pagamento va condannato il Ministero della Giustizia.

cassazione, le une e le altre liquidate come in dispositivo, seguono la
soccombenza del suddetto Ministero.
P. Q. M.

La Corte accoglie i primi due motivi, assorbito il terzo, cassa il decreto
impugnato e decidendo nel merito condanna il Ministero della Giustizia al
pagamento in favore di ciascuno dei ricorrenti della somma di E 7.500,00,
nonché al pagamento delle spese del grado di merito e di quelle del presente
giudizio di cassazione, liquidate, rispettivamente, in E 564,00 e in E 500,00,
oltre spese forfettarie per queste ultime ed accessori di legge per entrambe.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 17.2.2015.

7. – Le spese del grado di merito e quelle del presente giudizio di

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