Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10054 del 15/05/2015


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 10054 Anno 2015
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: MANNA FELICE

SENTENZA
sul ricorso 4757-2014 proposto da:
GAETA CIRA, MANNI DESDEMONA, elettivamente domiciliate
in ROMA, VIA TARO 25 – scala IV, presso lo studio dell’avvocato
DEBORA MAGARAGGIA, rappresentate e difese dagli avvocati
DAVIDE SALVATORE PIERRI, PIERLUIGI DELL’ANNA, giusta
mandato a margine del ricorso;
– ricorrenti contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587;
– intimato –

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Data pubblicazione: 15/05/2015

avverso il decreto n. 772/2013 della CORTE D’APPET J.0 di
POTENZA, depositato il 10/09/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
17/02/2015 dal Consigliere Relatore Dott. FELICE MANNA;
udito per le ricorrenti l’Avvocato Pierluiugi Dell’Anna che si riporta

agli scritti e deposita cartolina di avvenuta notifica.

Ric. 2014 n. 04757 sez. M2 – ud. 17-02-2015
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IN FATTO
Con ricorso del 12.3.2012 Desdemona Manni e Cira Gaeta adivano la
Corte d’appello di Potenza per ottenere la condanna del Ministero della
Giustizia al pagamento di un equo indennizzo, ai sensi dell’art.2 della legge

europea dei diritti dell’uomo (CEDU), del 4.11.1950, ratificata con legge
n.848/55. Processo presupposto di durata irragionevole, una procedura
fallimentare instaurata innanzi al Tribunale di Lecce il 17.7.1980 e chiusa con
decreto del 22.9.2011, nella quale le ricorrenti erano state ammesse allo stato
passivo.
Resisteva il Ministero.
Con decreto del 10.9.2013 la Corte d’appello adita liquidava in favore
delle predette due ricorrenti l’importo, rispettivamente, di £ 982,00 e di E
899,00, corrispondenti alle somme per cui ciascuna era stata ammessa allo
stato passivo del fallimento. A base della decisione, l’applicazione del terzo
comma dell’art. 2-bis della legge n. 89/01, introdotto dal D.L. n. 83/12,
convertito in legge n. 134/12, atteso che i parametri posti dalla nuova
disciplina da una parte si presentavano come codificazione legislativa di
criteri giurisprudenziali e dall’altro erano idonei a garantire uguale
trattamento a parità di condizioni. Compensava, quindi, per 1/2 le spese del
procedimento, ponendo la restante frazione a carico del Ministero della
Giustizia, in considerazione del comportamento della parte resistente.
Per la cassazione di tale decreto Desdemona Marmi e Cira Gaeta
propongono ricorso, affidato a tre motivi.
Il Ministero della Giustizia è rimasto intimato.
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24 marzo 2001, n.89, in relazione all’art.6, paragrafo 1 della Convenzione

Il Collegio ha disposto che la motivazione della sentenza sia redatta in
forma semplificata.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Il primo motivo lamenta la violazione degli artt. 2 e 2 bis legge n.

D.L. n. 83/12, convertito in legge n. 134/12, e dell’art. 11 disp. prel. c.c.,
nonché l’omesso- esame di fatti decisivi, in relazione, rispettivamente, ai mi. 3
e 5 dell’art. 360 c.p.c. Deduce la parte ricorrente che l’art. 55 del D.L. n.
83/12 non consente un’interpretazione ultraletterale per quanto concerne i
termini di applicabilità della nuova normativa, le cui disposizioni si applicano
ai ricorsi depositati a decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello
d’entrata in vigore della legge di conversione del decreto (come del resto già
chiarito da Cass. n. 12937/12). Oltre a violare la lettera di tale norma, il
decreto impugnato è viziato anche dalla violazione dell’art. 11 disp. prel.
c.p.c., secondo cui la legge non può avere efficacia retroattiva. Ne consegue
che l’equa riparazione avrebbe dovuto essere riconosciuta in conformità alla
giurisprudenza di questo S.C. formatasi anteriormente, mediante applicazione
di un risarcimento di

e 750,00 per ciascuno dei primi tre anni di ritardo e di

1.000,00 per ogni anno successivo.
2. – Il secondo mezzo espone la violazione degli arti. 2 legge n. 89/01, 6
CEDU e 2056 c.c., nonché il vizio di omesso esame di fatti decisivi, in
relazione, rispettivamente, ai nn. 3 e 5 dell’art. 360 c.p.c., per essersi la Corte
distrettuale discostata dai parametri di liquidazione fissati dalla
giurisprudenza della Corte EDU e segnatamente fatti propri da questa C.S. lì
dove ha ritenuto liquidabili, in fattispecie del tutto analoghe, un indennizzo di
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89/01, 2056, 1223, 1226 e 1362 c.c., nonché dell’art. E legge cost. n. 2/99, del

E 750,00 per ciascuno dei primi tre anni di ritardo e di E 1.000,00 per ogni
anno successivo.
3. – Il terzo motivo lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 24,
38 e 111 Cost. e 91 e 92 c.p.c., nonché il vizio di omessa, insufficiente e

compensato le spese in considerazione del comportamento della parte
resistente. Affermazione, questa, che non solo non integra gli estremi di una
motivazione, ma contraddice altresì il dicturn di Cass. n. 1101/10, richiamata
nello stesso decreto impugnato, che afferma la necessità di motivare la
compensazione anche ove l’amministrazione convenuta non si opponga alla
domanda di equa riparazione, dal momento che la necessità di ricorrere al
giudice è pur sempre derivante da una colpa organizzativa
dell’Amministrazione della Giustizia.
4. – I primi due motivi, da esaminare congiuntamente, sono fondati.
Giova premettere che: a) l’art. 55, comma 2, del D.L. n. 83/12, convertito
in legge n. 134/12, stabilisce che le disposizioni di cui al comma 1 (contenenti
le modifiche apportate alla legge n. 89/01) si applicano ai ricorsi depositati a
decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della
legge di conversione del decreto stesso, e dunque a partire dall’11.9.2012,
essendo entrata in vigore la legge di conversione il 12.8.2012; b) il ricorso
all’analogia è consentito dall’art. 12 delle preleggi solo quando manchi
nell’ordinamento una specifica disposizione regolante la fattispecie concreta e
si renda, quindi, necessario porre rimedio ad un vuoto normativo altrimenti
incolmabile in sede giudiziaria (Cass. nn. 2656/15 e 9852/02).

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contraddittoria motivazione, atteso che la Corte d’appello di Potenza ha

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Nel caso in esame il ricorso ex lege Pinto è stato presentato il 12.3.2012, e
dunque nulla quaestio sulla non applicabilità della nuova disciplina, neppure
in via analogica poiché non ricorre alcun vuoto normativo da colmare.
E’ vero, come si legge nel decreto impugnato, che il campo di variazione

1.500,00 euro per ogni anno di ritardo, è frutto della stratificazione precedente
della giurisprudenza della Corte EDU e di questa C.S.; ma ciò non vale anche
per l’esclusione del potere di liquidare l’indennizzo in misura superiore
all’oggetto della controversia presupposta, che non trova riscontro in tali
precedenti. Nella formulazione ante D.L. n. 83/12, la legge n. 89/01, per come
costantemente interpretata ed applicata, non pone all’equa riparazione alcun
limite fisso derivante dalla posta in gioco nel processo presupposto. La
maggiore o minore entità di questa può incidere sulla misura dell’indennizzo,
consentendo al giudice anche di scendere al di sotto della “soglia minima”
(cfr. Cass. n. 12937/12), ma non per questo è lecito parificarne la liquidazione
al valore della causa in cui si è verificata la violazione, in mancanza di
elementi idonei a dimostrare un pregiudizio maggiore.
5. – L’accoglimento dei primi due motivi, imponendo una nuova decisione
di merito, prima, e un conseguente nuovo regolamento delle spese, poi,
assorbe l’esame della terza censura.
6. – Il decreto impugnato va dunque cassato e, non essendo necessari
ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi
dell’art. 384, comma 2 c.p.e.
Considerata una durata ragionevole della procedura pari a sette anni, come
proposto dalla stessa parte ricorrente (v. pag. 11 del ricorso), e dunque una
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dell’indennizzo previsto nell’art. 2-bis legge n. 89/01, compreso tra 500,00 e

durata eccedente di circa ventitre anni (come pure prospettato dalla parte
ricorrente: v. pag. 12 del ricorso); ed applicato un moltiplicatore annuo di
500,00, giudicato congruo nell’ormai prevalente e più recente giurisprudenza
di questa Corte Suprema in relazione alle procedure fallimentari (cfr. tra le

ricorrenti, a titolo di equa riparazione, la somma di E 11.500,00, al cui
pagamento va condannato il Ministero della Giustizia.
7. – Le spese del grado di merito e quelle del presente giudizio di
cassazione, le une e le altre liquidate come in dispositivo, seguono la
soccombenza del suddetto Ministero.
P. Q. M.

La Corte accoglie i primi due motivi, assorbito il terzo, cassa il decreto
impugnato e decidendo nel merito condanna il Ministero della Giustizia al
pagamento in favore di ciascuna delle ricorrenti della somma di

e 11.500,00,

nonché al pagamento delle spese del grado di merito e di quelle del presente
giudizio di cassazione, liquidate, rispettivamente, in E 564,00 e in E 500,00,
oltre spese forfettarie per queste ultime ed accessori di legge per entrambe.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile
2 della Corte Suprema di Cassazione, il 17.2.2015.

ultime, Cass. n. 16311/14), deve liquidarsi in favore di ciascuna delle

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