Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10053 del 15/05/2015


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 10053 Anno 2015
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: MANNA FELICE

SENTENZA
sul ricorso 4594-2014 proposto da:
CANNATA GIORGIO, elettivamente domiciliato in ROMA, presso
la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso da sé
medesimo;
– ricorrente contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587 in persona del
Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende, ape legis;
contro.ticorrente

p_R

Data pubblicazione: 15/05/2015

avverso l’ordinanza R.G. 554/2012 della CORTE D’APPELLO di
CATANIA de11111.7.2013, depositata il 23/07/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
17/02/2015 dal Consigliere Relatore Dott. FELICE MANNA;
udito il ricorrente nella persona dell’Avvocato Giorgio Cannata che si

riporta agli atti.

Ric. 2014 n. 04594 sez. M2 – ud. 17-02-2015
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IN FATTO

Con sentenza n. 19164/12 questa Corte Suprema annullava con rinvio il
decreto emesso il 1°.12.2011 col quale la Corte d’appello di Catania aveva
respinto la domanda di equo indennizzo ex lege n. 89/01 presentata in proprio

fallimentare pendente innanzi al Tribunale di Caltanissetta, nel cui stato
passivo detto avvocato si era insinuato con domanda in data 20.5.1998.
All’esito del giudizio di rinvio, detta Corte territoriale con decreto del
23.7.2013, stimata la durata ragionevole della procedura fallimentare in sette
anni, e calcolata in sette anni e due mesi la durata eccedente, liquidava in
favore del ricorrente la somma di € 1.580,36, pari all’ammontare del credito
per il quale l’ avv. Carmata era stato ammesso al passivo fallimentare. Ciò in
applicazione analogica dell’art. 2-bis della stessa legge n. 89/01, introdotto dal
D.L. n. 83/12, convertito in legge n. 134/12 (della cui diretta inapplicabilità
alla fattispecie ratione temporis pure dava espressamente atto), atteso che il
ricorrente non aveva fornito specifici elementi per una diversa valutazione del
danno non patrimoniale.
Per la cassazione di tale decreto ricorre l’avv. Calmata, in base a due
motivi, successivamente illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c.
Resiste con controricorso il Ministero della Giustizia.
Il Collegio ha disposto che la motivazione della sentenza sia redatta in
forma semplificata.
MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo di ricorso è dedotta la violazione o falsa
applicazione degli artt. 2, commi 2 e 3, legge n. 89/01 e 6 CEDU, in relazione
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dall’avv. Giorgio Cannata, in relazione alla durata eccessiva di una procedura

al n. 3 dell’art. 360 c.p.c. Sostiene parte ricorrente che la Corte territoriale è
incorsa, innanzi tutto, in un errore di calcolo circa la durata complessiva della
procedura, essendo decorsi non 14 ma 15 anni e due mesi dalla domanda
d’insinua7ione allo stato passivo (presentata il 20.5.1998 e non il 20.5.1999

Corte catanese ha genericamente affermato la complessità della procedura
fallimentare, fissandone così la durata ragionevole in sette piuttosto che in
cinque anni, come di regola prevede la giurisprudenza in materia, salvo che
per le procedure particolarmente complesse (per il numero dei creditori, la
natura o la situazione giuridica dei beni costituenti la massa attiva da
liquidare, per la proliferazione di giudizi connessi o altro ancora).
2. – Il secondo motivo espone la violazione o falsa applicazione degli artt.
2, commi 2 e 3, legge n. 89/01, 6 CEDU e 11, comma 1, disp. prel. c.c.,
nonché della legge n. 134/12, in relazione al n. 3 dell’alt. 360 c.p.c., avendo la
Corte distrettuale operato un’illegittima e retroattiva applicazione analogica
dell’art. 2-bis legge c.d. Pinto, introdotto dal D.L. n. 83/12, convertito in legge
n. 134/12; col risultato di liquidare un indennizzo di circa 200,00 curo per
ogni anno di ritardo.
3. – Quest’ultimo motivo è fondato e assorbe l’esame del primo,
restituendo intatta al giudice di rinvio la potestas iudicandi su ogni altro
profilo dell’applicazione alla fattispecie concreta del criterio legale di
liquidazione dell’indennizzo.
Il ricorso all’analogia è consentito dall’art. 12 delle preleggi solo quando
manchi nell’ordinamento una specifica disposizione regolante la fattispecie

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come si legge nel decreto impugnato) alla decisione. In secondo luogo, la

concreta e si renda, quindi, necessario porre rimedio ad un vuoto normativo
altrimenti incolmabile in sede giudiziaria (Cass. nn. 2656/15 e 9852/02).
Nel caso in esame non ricorre alcun vuoto normativo, atteso che la legge n.
89/01, nella formulazione precedente alle modifiche apportate dal D.L. n.

costantemente interpretata ed applicata non pone all’equa riparazione alcun
limite fisso derivante dalla posta in gioco nel processo presupposto. La
maggiore o minore entità di questa può incidere sulla misura dell’indennizzo,
consentendo al giudice anche di scendere al di sotto della “soglia minima”
(cfr. Cass. n. 12937/12), ma non per questo è lecito parificarne la liquidazione
al valore della causa in cui si è verificata la violazione, in mancanza di
elementi idonei a dimostrare un pregiudizio maggiore.
4. – Il decreto impugnato va dunque cassato in relazione al motivo accolto,
con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Catania, che si atterrà al
principio anzi detto e provvederà anche sulle spese di cassazione.
P. Q. M.

La Corte accoglie il secondo motivo, assorbito il primo, cassa il decreto
impugnato con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Catania, che
provvederà anche sulle spese di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 17.2.2015.

83/12, convertito in legge n. 134/12, la legge n. 89/01, per come

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