Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10051 del 28/05/2020

Cassazione civile sez. VI, 28/05/2020, (ud. 19/11/2019, dep. 28/05/2020), n.10051

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33601-2018 proposto da:

G.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ATTILIO

REGOLO 12/D, presso lo studio dell’avvocato ITALO CASTALDI,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANNI MANGIA;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE SPA (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso

lo studio dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 320/2018 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 10/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 19/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott.ssa

ESPOSITO LUCIA.

Fatto

RILEVATO

CHE:

La Corte d’appello dell’Aquila, decidendo a seguito di rinvio della Corte di Cassazione, in riforma della decisione di primo grado, rigettava la domanda avanzata da G.A. nei confronti di Poste Italiane s.p.a., volta alla declaratoria di nullità del termine apposto ai contratti stipulati tra le predette parti per i periodi dal 1/2/2002 al 3/4/2002 e dal 15/3/2004 al 31/5/2004;

il rinvio era stato disposto perchè la sentenza, nel negare la sussistenza di specificate ragioni di carattere tecnico produttivo organizzativo o sostitutivo idonee a giustificare l’apposizione del termine, aveva omesso di esaminare il contenuto degli accordi di mobilità menzionati nella lettera di assunzione;

la Corte territoriale, esaminati gli accordi in questione, aveva desunto da essi l’esistenza di processi di mobilità che avevano determinato le esigenze poste a base dell’assunzione;

quanto al motivo di censura concernente il mancato rispetto della clausola di contingentamento, osservava che “seppure certamente grava sul datore di lavoro l’onere della prova del rispetto dei requisiti per la stipula del contratto a termine, le allegazioni dell’odierno appellato sono state talmente generiche nel primo grado del giudizio (cfr. punto L del ricorso) da non poter indurre all’accoglimento del ricorso”;

avverso la sentenza propone ricorso per cassazione G.A. sulla base di unico motivo;

Poste Italiane s.p.a. resiste con controricorso, illustrato con memoria;

la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata notificata alla parte costituita, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

Con l’unico motivo il ricorrente deduce omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., n. 5, osservando che il motivo di censura attinente al mancato rispetto della clausola di contingentamento era rimasto assorbito nella decisione della Corte d’appello poi cassata e il giudice del rinvio aveva omesso di pronunciarsi sulla questione, decisiva per il giudizio e determinante alla luce del riconoscimento dell’onere della prova in capo al datore di lavoro;

occorre preliminarmente procedere alla riqualificazione della censura in termini di violazione di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, poichè dall’articolazione del motivo risulta chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato (cfr. Cass. n. 26310 del 07/11/2017, Cass. n. 17931 del 24/07/2013);

nella sostanza, infatti, il ricorrente lamenta l’erronea attribuzione di un onere di allegazione nei suoi confronti circa il rispetto della clausola di contingentamento, in contrasto con il principio secondo il quale è il datore di lavoro ad essere tenuto al rispetto di tale onere e del connesso onere probatorio;

il motivo è fondato;

costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello secondo cui “In tema di clausola di contingentamento dei contratti di lavoro a termine di cui alla L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, l’onere della prova dell’osservanza del rapporto percentuale tra lavoratori stabili e a termine previsto dalla contrattazione collettiva, da verificarsi necessariamente sulla base dell’indicazione del numero dei lavoratori assunti a tempo indeterminato, è a carico del datore di lavoro, sul quale incombe la dimostrazione, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 3, dell’oggettiva esistenza delle condizioni che giustificano l’apposizione di un termine al contratto di lavoro” (Cass. n. 4764 del 10/03/2015, conforme Cass. n. 4028 del 01/03/2016);

a tale principio non si è attenuta la Corte territoriale, la quale attribuendo erroneamente al lavoratore un onere di allegazione, ha omesso di verificare, in base alle allegazioni e alle prove offerte dal datore di lavoro, il rispetto da parte di quest’ultimo del rapporto percentuale tra lavoratori stabili e lavoratori a termine;

la sentenza, pertanto, va cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Ancona affinchè accerti l’avvenuto rispetto della clausola di contingentamento secondo il principio di diritto enunciato.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Ancona.

Così deciso in Roma, il 19 novembre 2019.

Depositato in cancelleria il 28 maggio 2020

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