Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10050 del 27/04/2010

Cassazione civile sez. III, 27/04/2010, (ud. 16/02/2010, dep. 27/04/2010), n.10050

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VARRONE Michele – Presidente –

Dott. PETTI Giovanni Battista – Consigliere –

Dott. TALEVI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 23939-2005 proposto da:

V.G. (OMISSIS), da considerare domiciliato in

Roma Piazza Cavour, presso la Cancelleria della CORTE di CASSAZIONE

rappresentato e difeso dall’Avvocato CARBONARO MASSIMO con studio in

80129 NAPOLI Via Raffaele Morghen, 41 con delega a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

C.S. (OMISSIS) e C.R.R.

(OMISSIS) eredi di C.E. (deceduto)

elettivamente domiciliate in ROMA, VIA A. VERA 19, presso lo studio

dell’avvocato D’AMBROSIO RODOLFO, rappresentate e difese

dall’avvocato NAPPI SEVERINO con delega a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1379/2005 della CORTE D’APPFLLO di NAPOLI,

Terza Sezione Civile, emessa il 06/05/2005; depositata il 17/05/2005;

R.G.N.5 910/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/02/2010 dal Consigliere Dott. ALBERTO TALEVI;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. IANNELLI

Domenico che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Nell’impugnata decisione lo svolgimento del processo è esposto come segue.

Con ricorso depositato in data 03.07.2001, C.E. premesso: di aver concesso in locazione, con contratto del (OMISSIS), a V.G. l’immobile sito in (OMISSIS); che l’immobile era stato locato per il solo uso bar, pizzeria e ristorante, con divieto di sub locazione e cessione anche parziale nonchè di aggiunte ed innovazioni, senza il preventivo consenso scritto del proprietario, pena la risoluzione ipso iure del contratto per fatto e colpa del conduttore; che il prezzo della locazione era stato fissato in L. 1.600.000 mensili, da versarsi anticipatamente il giorno l di ogni mese e da adeguarsi annualmente in base alle variazioni Istat; che inopinatamente il V., in spregio ai predetti patti ed accordi contrattuali, ai era realizzato nell’immobile de qua rilevanti opere edilizie, in assenza delle prescritte autorizzazioni amministrative ed urbanistiche; che, in particolare, aveva: – frazionato l’unico immobile in due distinte unità immobiliari fra loro divise e prive di collegamento, con nuova e diversa ripartizione degli spazi interni; – ampliato la volumetria interna del bene locato attraverso la costruzione di servizi igienici all’esterno della originaria struttura; – creato due ulteriori servizi igienici negli spazi conferiti; – eliminato una parte dei muri perimetrali; – modificato il tetto di copertura dell’immobile; – costruito fioriere in muratura lungo tutta la struttura; che il V., inoltre, aveva sub locato parte dell’immobile alla ditta Cochito Bar di M.C.; che il conduttore, infine, si era più volte reso inadempiente nel pagamento dei canoni, come dimostravano le allegate intimazioni di sfratto per morosità; tanto premesso, citava in giudizio, innanzi al Tribunale di Napoli – Sezione di Pozzuoli, V.G. per sentir dichiarare risolto, per grave inadempimento del conduttore, previo accertamento della relativa responsabilità, il contratto di locazione relativo all’immobile sito in (OMISSIS), con conseguente condanna del V. al rilascio dell’immobile ed al risarcimento dei relativi danni, oltre al pagamento delle spese di lite. Regolarmente evocato in giudizio, si costituiva V. G., opponendosi alla domanda ed insistendo per il suo rigetto.

Acquisita la documentazione prodotta dalle parti ed espletata CTU, il Giudice del Tribunale di Napoli – Sezione di Pozzuoli, con sentenza n. 32604, dichiarava la risoluzione de contratto per colpa del conduttore ed ordinava allo stesso il rilascio dell’immobile locato, con conseguente fissazione della data di rilascio, oltre alla condanna del convenuto al pagamento della somma necessaria per ripristinare l’immobile nello stato di fatto esistente al momento dell’inizio della locazione ed al pagamento delle spese di lite.

Avverso detta sentenza V.G. ha proposto appello, con ricorso depositato il 22.12.2004, (… omissis …).

Regolarmente evocato C.E. si è costituito in giudizio, resistendo all’appello e chiedendone il rigetto …”.

Con sentenza 6 – 17.5.05 la Corte di Appello di Napoli, definitivamente pronunciando, così provvedeva:

“1) Rigetta l’appello;

2) Condanna V.G. al pagamento, in favore di C. E. delle spese di lite del presente grado di giudizio che liquida in complessivi Euro 2.900,00 di cui Euro 100,00 per spese, Euro 800,00 per diritti, Euro 2.000,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge.

Contro questa decisione ha proposto ricorso per cassazione V. G. con due motivi.

Hanno resistito con controricorso C.S. e C. P.R..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I due motivi di ricorso vanno esaminati insieme in quanto connessi.

V.G., con il primo motivo, denuncia “VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELLE NORME DI DIRITTO. art. 1587 c.c., n. 1” Esponendo doglianze da riassumere nel modo seguente. Non può la Corte d’Appello affermare che le modifiche, attribuite al V. (non provate), abbiano alterato l’equilibrio giuridico economico del contratto, laddove i detti interventi hanno reso semplicemente più idoneo all’uso pattuito il locale in questione, abbellendolo laddove necessario, rendendolo fruibile (ad esempio: la pavimentazione dell’area scoperta) o ancora rendendo l’ambiente migliore sotto l’aspetto igienico (ad esempio: lo spostamento dei bagni in una zona più idonea). Il V. ha adempiuto al massimo all’obbligo derivante dal dettato dell’art. 1587 c.c., usando, con la diligenza del buon padre di famiglia, il locale condotto per l’uso esclusivo stabilito dal contratto. art. 159 c.c.. Non è vero che il V. non ha rispettato il dettato dell’art. 1590 c.c.. Va considerata la documentazione, prodotta dal conduttore e non contestata dal locatore, attestante tra l’altro che nel (OMISSIS) l’ing. Co.

V. (lo stesso professionista che ha sottoscritto la planimetria allegata al contratto) ha presentato la istanza di accatastamento del locale, con la quale ha depositato una planimetria del medesimo, già diversa rispetto a quella allegata al contratto. L’immobile senza variazioni non sarebbe stato idoneo all’uso per il quale è stato concesso in locazione, e questo in aperto contrasto con il sinallagma contrattuale. Per il V. vi è la assoluta impossibilità di restituire il locale, così come egli lo ha ricevuto, essendo stato a lui consegnato in uno stato (addirittura senza alcuna pavimentazione nell’area scoperta, che poi la planimetria dell’Ing. Co. nel (OMISSIS) definisce terrazzo, terrazzo che senza l’intervento del V. avrebbe avuto come pavimento il terreno) per il quale sarebbe stato impossibile destinarlo all’uso contrattualmente stabilito. art. 61 c.p.c.. Con riferimento a tale norma va rilevato che il CTU non si è posto il problema, se la realizzazione dei manufatti, attribuita al V., era antecedente o successiva a determinati eventi (presentazione della istanza di accatastamento o altro) e soprattutto se “tali manufatti” sarebbero stati realizzati dal V. o dal C. stesso; a quest’ultima domanda sicuramente non avrebbe potuto rispondere il tecnico.

Con il secondo motivo la parte ricorrente denuncia “OMESSA, INSUFFICIENTE O CONTRADDITORIA MOTIVAZIONE CIRCA PUNTI DECISIVI DELLA CONTROVERSIA. LA ASSOLUTA MANCANZA DI MOTIVAZIONE CIRCA LA NON AMMISSIONE DELLA PROVA TESTIMONIALE”. Sia il C. che il V. hanno fatto richiesta di ammissione della prova testimoniale, onde dare supporto alle rispettive posizioni processuali; anche il Giudice d’Appello ha omesso completamente di motivare la non ammissione della prova testimoniale. MANCATA E CONTRADDITTORIA MOTIVAZIONE CIRCA L’APPLICAZIONE DI PRINCIPI DI CUI AGLI artt. 1587 e 1590 c.c.. Il Giudice d’Appello addirittura il Giudice arriva ad affermare che è più importante la conservazione dell’immobile nello stato originario e non il mantenimento dell’equilibrio giuridico economico del contratto. Sicuramente contraddice se stesso con questo passaggio, riferendosi tra l’altro a due norme, gli artt. 1587 e 1590 c.c., che comunque non portano categoricamente ad affermare che la cosa locata, benchè mantenuta dal conduttore secondo la diligenza del buon padre di famiglia, debba essere restituita dal conduttore integralmente così come consegnatagli all’inizio del rapporto.

Nemmeno il Giudice d’Appello ha approfondito la qualità e la consistenza dei lavori, presuntivamente effettuati dal V., specificando eventualmente per ognuno quanto andassero ad alterare quell’equilibrio giuridico economico che egli stesso ha richiamato.

Il ricorso va respinto in quanto la decisione della Corte d’Appello si sottrae al sindacato di legittimità essendo fondata su una motivazione sufficiente, logica, non contraddittoria e rispettosa della normativa in questione.

In particolare va considerato quanto segue: -A) tutte le doglianze fondate su specifiche risultanze processuali debbono ritenersi (prima ancora che prive di pregio dato che si è di fronte a tipiche valutazioni di merito della Corte, che si sottraggono al sindacato di legittimità in quanto immuni dai vizi denunciati; cfr, tra le altre Cass. Sentenza n. 42 del 07/01/2009; “La valutazione delle risultanze delle prove e il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, rivolgono apprezzamenti di fatto presentati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti) inammissibili in quanto le censure della parte ricorrente, al di là della formale prospettazione, in realtà si basano semplicemente su una diversa valutazione delle risultanze processuali predette (cfr. Cass. Sentenza n. 17477 del 09/08/2007; Sentenza n. 18119 del 02/07/2008;

Cass. Sentenza n. 42 del 07/01/2009); – B) La parte ricorrente lamenta che anche il Giudice d’Appello ha omesso completamente di motivare la non ammissione della prova testimoniale. Proprio per tale ragione detta parte avrebbe dovuto indicare ritualmente in quale atto processuale, nonchè (per il principio di autosufficienza del ricorso; cfr. tra le altre Cass. n. 8960 del 18/04/2006; Cass. Sentenza n 7767 del 29/03/2007; Cass. Sentenza n. 6807 del 21/03/2007; Cass. Sentenza n. 15952 del 17/07/2007) in quali esatti termini (riportando integralmente i capitoli), le istanze istruttorie erano state sottoposte a giudizio del Giudice di secondo grado (cfr.

tra le altre Cass. Sentenza n. 20518 del 28/07/2008; cfr. anche Cass. N. 14590 del 2005).” Sulla base di quanto sopra esposto il ricorso va respinto.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente a rifondere alla parte controricorrente le spese del giudizio di cassazione liquidate in Euro 3.000,00 (tremila Euro) per onorario e Euro 200,00 (duecento Euro) per spese vive oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 16 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2010

 

 

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