Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10050 del 15/04/2021

Cassazione civile sez. II, 15/04/2021, (ud. 23/06/2020, dep. 15/04/2021), n.10050

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rosanna – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23590-2019 proposto da:

K.A., rappresentato e difeso dall’Avvocato TIZIANA SQUIZZATO,

ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in TORINO, VIA

CERNAIA 27;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro-tempore;

– intimato –

avverso il decreto n. 4534/2019 del TRIBUNALE di TORINO depositato il

4/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/06/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

K.A., cittadino del (OMISSIS), proponeva ricorso avanti al Tribunale di Torino avverso il provvedimento della competente Commissione Territoriale di diniego della domanda di riconoscimento della protezione internazionale, chiedendo il riconoscimento della protezione sussidiaria internazionale o, in subordine, il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

In particolare il ricorrente dichiarava di non essere andato a scuola, in quanto il padre era insegnante coranico e lo aveva lungamente istruito; di avere svolto in patria l’attività di falegname e decoratore, ma all’occorrenza anche di contadino; di essere andato in Mauritania nel 2011, per poi tornare dopo un anno e mezzo in (OMISSIS), e quindi di essere ripartito per il Gambia, ove era nato, ed essere tornato nuovamente in (OMISSIS); di essersi sposato verso il (OMISSIS) quando aveva (OMISSIS) (di fatto essendo nato nel (OMISSIS) egli avrebbe avuto (OMISSIS)) e di essersi separato “nel (OMISSIS)”. Circa il motivo della partenza dal (OMISSIS), il richiedente affermava che la seconda moglie del padre aveva ucciso sua madre mettendole del veleno in uno yogurt, onde il padre, sapendo ciò, lo aveva spinto a lasciare il (OMISSIS).

Con decreto 4534/2019 depositato il 4/07/2019, il Tribunale rigettava il ricorso.

Avverso tale decreto K.A. propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi; l’intimato Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3) e 5) in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 11 e art. 8, comma 2 e art. 166 Direttiva 2013/32/UE – omessa fissazione dell’udienza di comparizione personale”

1.1. – Il motivo è inammissibile.

1.2. – Questa Corte ha chiarito che ove non sia disponibile la videoregistrazione con mezzi audiovisivi dell’audizione dinanzi alla Commissione territoriale, il giudice di merito, chiamato a decidere del ricorso avverso la decisione adottata dalla Commissione, è tenuto a fissare l’udienza di comparizione delle parti a pena di nullità del suo provvedimento decisorio, salvo il caso in cui il richiedente abbia dichiarato di non volersi avvalere del supporto contenente la registrazione del colloquio (Cass. n. 618 del 2020; Cass. n. 17076 del 2019; Cass. n. 32029 del 2018; Cass. n. 17717 del 2018; Cass. n. 27182 del 2018).

L’obbligo non riguarda tuttavia anche il rinnovo dell’audizione, che grava esclusivamente sull’autorità amministrativa incaricata di procedere all’esame del richiedente: ne consegue che il giudice può decidere in base ai soli elementi contenuti nel fascicolo, ivi compreso il verbale o la trascrizione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione (Cass. n. 2817 del 2019, v. anche Corte di giustizia UE, sent. 26 luglio 2017 in causa C-348/16).

Non sussiste, infatti, alcun automatismo tra la mancanza di videoregistrazione e la rinnovazione dell’ascolto del richiedente (Cass. n. 17717 del 2018). La rinnovazione dell’audizione personale dell’interessato costituisce quindi una scelta discrezionale, che compete al giudice di merito operare in base alle concrete circostanze di causa e alla necessità di vagliarle anche alla luce delle dichiarazioni rese di fronte alla Commissione. Laddove, nella specie, il richiedente non ha rappresentato il sopraggiungere di circostanze o fatti nuovi rispetto al momento in cui è stato proposto il presente ricorso;

nè ha tempestivamente eccepito la asserita nullità processuale nella prima istanza o difesa successiva (ai sensi dell’art. 157 c.p.c., comma 2).

2.1. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la “violazione art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5 – falsa applicazione di norme di diritto – rilevanza del rischio di danno grave ascrivibile a soggetti non statuali ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria”.

2.2. – Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la “violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3 e 5 e art. 8, commi 2 e 3 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis, D.P.R. n. 21 del 2015, art. 6, comma 6 e art. 16 Direttiva 2013/32/UE – falsa applicazione di norme di diritto – violazione dei criteri legali per la valutazione di credibilità del richiedente”.

2.3. – Con il quarto motivo, il ricorrente deduce la “violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e art. 15, lett. c) direttiva 2004/83/CE – falsa applicazione di norme di diritto – violazione dei criteri legali per il riconoscimento della protezione sussidiaria”.

3. – In considerazione della loro stretta connessione logico-giuridica e formulazione, i motivi vanno esaminati e decisi congiuntamente.

3.1. – Essi sono inammissibili.

3.2. – Giova ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte (Cass. n. 24414 del 2019), in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (Cass. n. 3340 del 2019).

Va dunque ribadito (peraltro in termini generali valevoli per tutti i motivi) che costituisce principio pacifico quello secondo cui il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione.

Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati attraverso una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non tramite la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass. n. 6259 del 2020; cfr., ex multis, Cass. n. 22717 del 2019 e Cass. n. 393 del 2020, rese in controversie analoghe a quella odierna).

3.3. – Le censure si risolvono, dunque, nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso del procedimento, così mostrando la ricorrente di anelare ad una impropria trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata; quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità (Cass. n. 3638 del 2019; Cass. n. 5939 del 2018).

Invero, compito della Cassazione non è quello di condividere o meno la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudice del merito (cfr. Cass. n. 3267 del 2008), dovendo invece il giudice di legittimità limitarsi a controllare se costui abbia dato conto delle ragioni della sua decisione e se il ragionamento probatorio, da esso reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che nel caso di specie è ampiamente dato riscontrare (cfr. Cass. n. 9275 del 2018).

4. – Il ricorso va dichiarato inammissibile. Nulla per le spese nei riguardi del Ministero dell’Interno, che non ha svolto attività difensiva. Va emessa la dichiarazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 23 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2021

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