Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10050 del 08/05/2014


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 10050 Anno 2014
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: MAROTTA CATERINA

SENTENZA
sul ricorso 12133-2011 proposto da:
CEVA LOGISTICS ITALIA S.R.L. 13017100150 (già Ceva
Automotive Logistics Italia S.r.l., prima Ceva In-Bound Logistics
S.r.l. e prima ancora TNT ARVIL – joint venture TNT Arcese Bonzano
S.p.A.) in persona del procuratore speciale, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato
LUIGI FIORILLO, rappresentata e difesa dagli avvocati PAOLO
TOSI, ANDREA UBERTI, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente contro

Data pubblicazione: 08/05/2014

CUGLIARI ANGELA, elettivamente domiciliata in ROMA, presso
la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati
SILVIO CHIODO, BENEDETTO PELLERITO, GIUSEPPE
PELLERITO, giusta procura speciale in calce al controricorso;

avverso la sentenza n. 771/2010 della CORTE D’APPELLO di
TORINO del 22/9/2010, depositata il 02/11/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
18/03/2014 dal Consigliere Relatore Dott. CATERINA MAROTTA;
udito per la ricorrente l’Avvocato ANDREA UBERTI che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso; in subordine, in caso di soccombenza,
posizionarsi sui minimi per le spese.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L’impresa ricorrente, che ha modificato più volte la sua
denominazione, si occupa di servizi di logistica in ambito FIAT. Nel
1998 acquistò da FIAT Auto S.p.A. il ramo d’azienda relativo ai c.d.
servizi logistici comuni del comprensorio di Torino, consistenti nel
rifornimento interno dei materiali, nonché nelle attività di imballaggio
e preparazione alla spedizione di componenti per vetture. In seguito,
operò ulteriori acquisizioni di rami d’azienda, relativi ad attività di
confezionamento ed imballaggio di parti d’auto per stabilimenti
all’estero e di pezzi di ricambio per le autovetture FIAT.
Nel 2000 tutte le attività svolte in favore della FIAT vennero
accorpate e concentrate in Mirafiori, in particolare nella c.d. officina
81, in cui operavano lavoratori in parte addetti al confezionamento
manuale, in parte al confezionamento meccanizzato, in altra parte
impiegati in attività di carrellisti e magazzinieri.

Ric. 2011 n. 12133 sez. ML – ud. 18-03-2014
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– controricorrente –

A partire dalla metà del 2000, a causa della flessione della
produzione FIAT, si ridusse anche l’attività di logistica e la società
ricorrente, dopo aver fatto ricorso nel 2001-2002 alla CIG ed alla
mobilità collegata al raggiungimento del trattamento pensionistico,

lavoratori impiegati negli stabilimenti piemontesi di Verrone,
Mirafiori e Rivalta.
Con atto del dicembre 2002, la società comunicò alle
organizzazioni sindacali la richiesta di intervento di CIGS ai sensi
dell’art. 1, commi 7 e 8, della 1. n. 223 del 1991, nonché dell’art. 2 del
d.P.R. n. 218 del 2000, precisando che i lavoratori interessati alla
sospensione “saranno individuati sulla base di esigenze tecniche,
organizzative e produttive e per tali soggetti non potrà essere prevista
la rotazione, sia per le caratteristiche delle attività che vengono a
cessare, sia per la specificità delle risorse che dovranno essere sospese
in quanto queste ultime non consentono l’utilizzo di mano d’opera
con una metodologia di impiego polivalente”.
Seguì l’esame congiunto con le OOSS, conclusosi negativamente.
Nel relativo verbale del 20 dicembre 2002 la società ribadì che “verrà
fatto ricorso alla CIGS per crisi aziendale per mesi 12 a decorrere dal
2 gennaio 2003 per massimo 665 lavoratori sospesi a zero ore
settimanali, individuati in base alle esigenze tecnico-organizzative e
produttive aziendali”. Per quanto riguarda la rotazione l’azienda “si
dichiara disponibile a realizzarla nel numero di lavoratori di cui
l’organizzazione aziendale lo consente, con modalità che verranno
concordate con le RSU, compatibilmente con le esigenze tecnico
produttive”.
Il 19 giugno 2003 società e la rappresentanza sindacale unitaria
(RSU) sottoscrissero un accordo in cui le parti si diedero atto che
Ric. 2011 n. 12133 sez. ML – ud. 18-03-2014
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nel dicembre 2002, richiese la CIGS a zero ore per un anno per 665

”pur non risolvendo totalmente il problema della rotazione fra i
lavoratori interessati alla CIGS” avevano operato “un primo
approccio alla gestione dei dipendenti in oggetto”. L’accordo
individuava diverse mansioni e stabiliva una rotazione da realizzarsi su

mansioni, con numero variabile da 1 a 3) e da effettuarsi con cadenza
massima di due mesi. Fu costituita una commissione paritetica per
verificare e concordare le modalità concrete di rotazione.
Il 5 dicembre 2003 la società comunicò alla RSU una seconda
richiesta di CIGS, sempre conseguente alle problematiche di FIAT, in
quanto la debolezza della domanda aveva assunto carattere strutturale
rendendo necessario un intervento di riorganizzazione produttiva. La
richiesta era di sospensione dal 3 gennaio 2004 per 24 mesi di un
numero massimo di 1148 dipendenti. Nella richiesta si dichiarava che
i lavoratori sarebbero stati individuati “sulla base di esigenze tecniche,
organizzative e produttive e per tali soggetti sarà prevista la rotazione
sulla base dei criteri già individuati nell’intesa aziendale del 19 giugno
2003”.
11 19 e 23 dicembre si tenne l’esame congiunto con le OOSS e le
parti concordarono sul ricorso alla CIGS per riorganizzazione
aziendale per 24 mesi a decorrere dal 3 gennaio 2004, per un numero
non superiore a 665 dipendenti, prevedendo la possibilità di
raggiungere punte sino a 1148 addetti. Per quanto attiene alla
rotazione le parti confermarono il contenuto dell’accordo del 19
giugno 2003. L’esame congiunto venne rinnovato nel gennaio 2004,
confermando gli accordi del 19 dicembre e del 19 giugno 2003.
A seguito del ricorso di parte lavoratrice e della decisione del
Tribunale di Torino, la Corte d’appello di Torino, con la sentenza
impugnata, ha dichiarato l’illegittimità della sospensione per CIGS ed
Ric. 2011 n. 12133 sez. ML – ud. 18-03-2014
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54 postazioni lavorative (30 carrellisti e 24 suddivise tra altre 11

ha condannato la società al pagamento delle differenze tra il
trattamento di cassa integrazione e la retribuzione spettante, oltre
rivalutazione ed interessi.
La società chiede l’annullamento della sentenza.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. I motivi di ricorso possono essere raggruppati in base alle
diverse questioni poste dalla società e secondo un opportuno ordine
logico.
2. La prima censura è di violazione o falsa applicazione del
combinato disposto di cui agli articoli 20 legge 15/3/1997, n. 59, 1,
legge n. 223 del 1991 e 2, d.P.R. n. 218 del 2000. Violazione o falsa
applicazione dell’articolo 15 preleggi in relazione al rapporto tra il
d.P.R. n. 218 del 2000 e l’art. 1 della legge n. 223.
Secondo la società ricorrente, la legge n. 59 del 1997, che regolò
la delegificazione di norme concernenti procedimenti amministrativi,
avrebbe inciso anche nella materia in esame in quanto il d.P.R. n. 218
del 2000 (“Regolamento recante norme per la semplificazione del
procedimento per la concessione del trattamento di CIGS e di
integrazione salariale a seguito della stipula di contratti di solidarietà,
ai sensi dell’art. 20 della legge n. 59 del 1997, allegato 1 n. 90 e 91”),
avrebbe delegificato la legislazione sulla Cassa integrazione guadagni.
Per effetto di tale operazione, il d.P.R. costituirebbe ormai l’unico
regolamento della materia con la conseguente sostituzione, per
abrogazione esplicita od implicita per incompatibilità, di tutte le altre
disposizioni anche di fonte legale.
In questo diverso contesto normativo, tanto la comunicazione
datoriale di avvio della procedura quanto l’esame congiunto
dovevano intendersi disciplinati esclusivamente dal d.P.R., con
ic. 2011 n. 12133 sei. ML – ud 18-03-2014
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Parte intimata si è difesa con controricorso.

esclusione di ogni possibilità di integrazione con la legge n. 223, con
conseguente venir meno del diritto delle organizzazioni sindacali, e di
riflesso deì lavoratori, ad essere informati sin dalla comunicazione di
avvio della procedura circa i criteri di selezione dei lavoratori da

3. La tesi della società contrasta con l’orientamento consolidato di
questa Corte, espresso in una lunga teoria di sentenze, a cominciare
da Cass. 28 novembre 2008, n. 28464, che, affrontando per prima il
problema, all’esito di una analitica ricognizione del quadro normativo,
affermò il seguente principio: la disciplina del d.P.R. n. 218 del 2000
non ha alcuna efficacia abrogativa della legge n. 223 del 1991 e,
quindi, degli oneri di comunicazione di cui all’art. 1. Più
specificamente non incide in alcun modo sulle disposizioni di cui al
combinato disposto degli artt. 5 della legge 164 del 1975 e 1, comma
7, della legge 223 del 1991 riguardante l’obbligo datoriale di
comunicare in avvio della procedura per l’integrazione salariale alle
organizzazioni sindacali i criteri di individuazione dei lavoratori da
sospendere, nonché le modalità di rotazione. Il d.P.R. tende a
semplificare la fase propriamente amministrativa, di rilevanza
pubblica, del procedimento di concessione della integrazione salariale,
senza in alcun punto ridurre i diritti dei lavoratori e le prerogative
delle organizzazioni sindacali ad essi funzionali.
Tale ricostruzione è stata costantemente ribadita dalla
giurisprudenza successiva (cfr., tra le tante, Cass. 18 febbraio 2011, n.
4053) e costituisce ormai un principio consolidato ai sensi dell’art.
360-bis, n. 1, cod. proc. civ., come ha rilevato la Sesta sezione civile in
una serie di ordinanze emesse in camera di consiglio ai sensi dell’art.
375 cod. proc. civ. (cfr. per tutte, Cass. VI civile-lavoro, 12 dicembre
2011, n. 26587: “In tema di procedimento per la concessione della
Ric. 2011 n. 12133 sez. ML – ud. 18-03-2014
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sospendere e le modalità di rotazione.

CIGS devono escludersi incompatibilità tra la normativa
regolamentare introdotta con il d.P.R. 10 giugno 2000, n. 218, e le
disposizioni della legge 23 luglio 1991 n. 223: la disciplina
regolamentare, che si limita a imporre all’imprenditore che intenda

dare tempestiva comunicazione alle organizzazioni sindacali, attiene
unicamente alla fase amministrativa di concessione dell’integrazione
stessa, e nulla dice sul contenuto concreto della comunicazione, né
detta alcuna disciplina in ordine ai criteri di scelta e, pertanto, non ha
in alcun modo inciso sugli obblighi di rilevanza collettiva di cui all’art.
1, commi 7 e 8, della legge n. 223 citata.
Né la normativa regolamentare ha spostato l’informazione circa i
criteri di scelta e le modalità della rotazione dal momento iniziale
della comunicazione datoriale di avvio della procedura di integrazione
salariale a quello, immediatamente successivo, dell’esame congiunto,
atteso che, così opinando, il contenuto della norma di cui all’art. 2 del
d.P.R. n. 218, citato, risulterebbe del tutto estraneo all’esigenza di
semplificazione del procedimento amministrativo, e avrebbe come
conseguenza solo l’alleggerimento degli oneri della parte datoriale con
la compressione dei diritti d’informazione spettanti al sindacato,
delineando un sistema di consultazione sindacale palesemente
inadeguato rispetto alla finalità perseguita. (Principio affermato ai
sensi dell’art. 360-bis, comma 1, cod. proc. civ.)”.
Il ricorso per cassazione in esame non offre elementi per mutare
orientamento.
4. Un secondo gruppo di censure attiene alla necessità della
specificazione dei criteri in sede di comunicazione di avvio della
procedura ai sensi dell’art. 1, comma 7, 1. 223/1991, dell’art. 5,

Ric. 2011 n. 12133 sez. ML – ud. 18-03-2014
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chiedere l’intervento straordinario di integrazione salariale l’obbligo di

comma 4, 5, 6 1. n. 164/75, 2697 e dell’art. 2 d.P.R. 218/2000 in
relazione al contenuto della lettera di apertura della procedura.
5. Anche su tale necessità la giurisprudenza di legittimità si è
espressa in modo costante. La norma guida (art. 1, comma 7, della

formare “oggetto della comunicazione” i “criteri di individuazione dei
lavoratori da sospendere nonché le modalità della rotazione prevista
dal comma 8”.
Le Sezioni unite hanno escluso la fondatezza di interpretazioni
riduttive di tale disposizione, sottolineando, con la sentenza n. 302
del 2000, che, in caso di intervento straordinario di integrazione
salariale per l’attuazione di un programma di ristrutturazione,
riorganizzazione o conversione aziendale implicante una temporanea
eccedenza di personale, il provvedimento di sospensione dall’attività
lavorativa è illegittimo qualora il datore di lavoro, sia che intenda
adottare il meccanismo della rotazione sia nel caso contrario, ometta
di comunicare alle organizzazioni sindacali, ai fini dell’esame
congiunto, gli specifici criteri, eventualmente diversi dalla rotazione,
di individuazione dei lavoratori che devono essere sospesi, in base al
combinato disposto della L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 1, comma 7, e
della L. 20 maggio 1975, n. 164, art. 5, commi 4 e 5.
L’orientamento si è consolidato del tempo, trovando conferma
nella successiva giurisprudenza di legittimità (per tutte: Cass. 23 aprile
2004, n. 7720; Cass. 4 maggio 2009, n. 10236; Cass. 1 luglio 2009, n.
15393; Cass. 21 settembre 2011, n. 19235).
Da ultimo, Cass., 22 febbraio 2012, n. 7459, ha così sintetizzato i
principi base che regolano la materia: a) il provvedimento di
sospensione dell’attività lavorativa è illegittimo qualora il datore di
lavoro (sia che intenda adottare il meccanismo della rotazione, sia in
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legge 223 del 1991) è molto chiara nello stabilire che “devono”

caso contrario) ometta di comunicare alle organizzazioni sindacali, ai
fini dell’esame congiunto, ovvero di concordare con le stesse, gli
specifici criteri, eventualmente diversi dalla rotazione, di
individuazione dei lavoratori che devono essere sospesi, ed ai quali

(Cass. 28 novembre 2008, n. 28464); b) la specificità dei criteri di
scelta consiste nell’idoneità dei medesimi ad operare la selezione e nel
contempo a consentire la verifica della corrispondenza della scelta ai
criteri (Cass. 23 aprile 2004, n. 7720); c) la comunicazione di apertura
della procedura di trattamento di integrazione salariale la cui
genericità rende impossibile qualunque valutazione coerente tra il
criterio indicato e la selezione dei lavoratori da sospendere, viola
l’obbligo di comunicazione previsto dalla L. 23 luglio 1991, n. 223,
art. 1, comma 7, (Cass. 9 giugno 2009, n. 13240); d) la mancata
specificazione dei criteri di scelta (o la mancata indicazione delle
ragioni che impediscono il ricorso alla rotazione) determina
l’inefficacia dei provvedimenti aziendali che può essere fatta valere
giudizialmente dai lavoratori, in quanto la regolamentazione della
materia è finalizzata alla tutela, oltre che degli interessi pubblici e
collettivi, soprattutto di quelli dei singoli lavoratori (Cass. 19 agosto
2003, n. 12137; Cass. 18 maggio 2006, n. 11660).
La valutazione della rispondenza in concreto delle comunicazioni
di avvio della procedura di Cassa integrazione oggetto dell’esame
giudiziale ai requisiti su indicati, è una valutazione di merito in ordine
al contenuto dell’atto negoziale, che rimane estranea al giudizio di
legittimità, quando, come nel caso in esame, il giudice di merito abbia
motivato la sua decisione in modo sufficiente e privo di
contraddizioni.

Ric. 2011 n. 12133 sez. ML – ud. 18-03-2014
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criteri la scelta dei lavoratori deve poi effettivamente corrispondere

6. Un’ulteriore questione posta con i motivi di ricorso attiene al
preteso effetto sanante dell’esame congiunto rispetto alla
comunicazione di avvio della procedura, vuoi perché i criteri
sarebbero stati adeguatamente specificati in tale atto (denunciandosi,

legale di riferimento nonché la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. in
relazione alle testimonianze acquisite al giudizio che avrebbero,
appunto, smentito la pretesa genericità dell’accordo e la sua non
esaustività ai fini richiesti dalla legge), vuoi perché i verbali di esame
congiunto avrebbero il valore di atti amministrativi che certificano la
regolarità della procedura (denunciandosi, al riguardo, anche la
violazione dell’art. 2697 cod. civ. per l’omessa attribuzione di una
intrinseca efficacia probatori ai verbali suindicati).
7. La tesi per cui l’accordo sindacale (sul cui contenuto, si veda
quanto riportato nello svolgimento del processo) conterrebbe
un’adeguata specificazione dei criteri di individuazione dei lavoratori
da porre in cassa integrazione e spiegherebbe compiutamente le
ragioni della impossibilità del ricorso alla rotazione si risolve nella
proposizione di un giudizio di merito (basato anche su di una
particolare rilettura della prova orale, riportata peraltro per stralci),
difforme rispetto a quello della Corte d’appello. Tale valutazione, al
pari di quella concernente la comunicazione di avvio della procedura,
spetta in via esclusiva al giudice di merito e può essere censurata in
cassazione solo negli stretti limiti del giudizio di legittimità, che nel
caso in esame vengono nettamente travalicati. Analogo ragionamento
deve essere svolto con riguardo all’apprezzamento della prova
testimoniale.
8. Quanto poi alla tesi secondo la quale i verbali di esame
congiunto avrebbero il valore di atti amministrativi che certificano la
Ric. 2011 n. 12133 sez. ML – ud. 18-03-2014
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al riguardo, la violazione dei canoni ermeneutici legali e della disciplina

regolarità della procedura, la società ricorrente la basa sull’art. 2 del
d.P.R. 218 del 2000. Dalla lettura di tale norma, però, si evince che
all’esame congiunto partecipano funzionari delle direzioni provinciali
o regionali del lavoro, ma non si evince alcuna efficacia certificatoria

all’adeguata indicazione dei criteri di scelta o delle ragioni per le quali
non si ricorre alla rotazione.
A queste considerazioni, di per sé esaustive, deve aggiungersi che
la possibilità di un effetto sanante di un accordo sindacale sui criteri
di scelta, laddove l’accordo li indichi in modo puntuale e specifico, è
stata ammessa solo in casi particolari e circoscritti, ma non nell’ipotesi
in cui la comunicazione è strettamente funzionale a mettere in grado
le organizzazioni sindacali di partecipare al confronto con la
controparte adeguatamente informate e ai lavoratori di avere
contezza delle prospettazioni aziendali. Né può essere ammessa con
effetto retroattivo rispetto a scelte in concreto già operate (per
ulteriori approfondimenti si rinvia a Cass. 26587/2011 cit.; in generale
sull’esclusione del carattere sanante dell’accordo cfr. Cass. 9 giugno
2009, n. 13240 e Cass. 1 luglio 2009, n. 15393).
9. Sulla base delle esposte argomentazioni, nelle quali tutte le altre
eccezioni o obiezioni devono considerarsi assorbite, in conclusione, il
ricorso deve essere respinto.
10. Le spese del giudizio di legittimità devono essere poste a
carico della parte soccombente.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la società ricorrente al
pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente
giudizio di legittimità, che liquida in euro 100,00 per esborsi ed euro

Ric. 2011 n. 12133 sez. ML – ud. 18-03-2014
-11-

della regolarità della comunicazione aziendale al sindacato in ordine

2.300,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge, da
corrispondersi all’avv. Giuseppe Pellerito, anticipatario.

Così deciso nella camera di consiglio in Roma del 18 marzo 2014.

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