Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1005 del 20/01/2021

Cassazione civile sez. III, 20/01/2021, (ud. 26/10/2020, dep. 20/01/2021), n.1005

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. OLIVIERI Stefano – Presidente –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 19402/2018 R.G. proposto da:

V.D.A.A.M.J.,

V.D.E.C.L.M. e Patrimmo s.r.l. a socio unico, in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dagli Avv.ti

Raffaele Cavani (PEC raffaele.cavani.milano.pecavvocati.it) e Bruna

Alessandra Fossati (PEC alessandra.fossati.milano.pecav-vocati.it),

con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, via Sistina, n.

118;

– ricorrente –

contro

Broker Immobiliare s.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Valerio Onesti (PEC

valerioonesti.ordineavvocatiroma.org), con domicilio eletto presso

il suo studio in Roma, via A. Bevignani, n. 9;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2797 della Corte d’appello di Roma depositata

il 2 maggio 2018.

Udita la relazione svolta in camera di consiglio dal Consigliere

D’Arrigo Cosimo.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

La Broker Immobiliare s.r.l. citava innanzi al Tribunale di Roma V.D.A.A.M.J., V.d.E.C.L.M. e la Kidsco Italia s.r.l. per sentirne pronunciare la condanna al pagamento della somma di Euro 270.000,00 a titolo di compensi per l’attività d’intermediazione svolta nella compravendita di un immobile denominato “(OMISSIS)”, in (OMISSIS), di cui i primi due avevano acquistato la nuda proprietà e la società l’usufrutto. Chiedeva, in subordine, il pagamento della somma ritenuta di giustizia a titolo di indennizzo per ingiustificato arricchimento.

I convenuti si costituivano, eccependo l’incompetenza territoriale del Tribunale adito e chiedendo l’integrale rigetto delle domande proposte dalla società attrice. Il processo, interrotto a seguito della fusione per incorporazione della Kidsco Italia s.r.l. con la Patrimmo s.r.l., veniva riassunto da parte attrice.

Il Tribunale di Roma, respinta l’eccezione di incompetenza, rigettava la domanda, condannando la Broker Immobiliare s.r.l. alla rifusione delle spese di lite.

Quest’ultima impugnava la decisione. La Corte d’appello di Roma accoglieva il gravame e condannava gli appellati in solido tra loro al pagamento della somma di Euro 270.000,00 oltre agli interessi legali e alle spese del doppio grado di giudizio.

Avverso detta sentenza il V.D., la V.D.E. e la Patrimmo s.r.l. hanno proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi illustrati da successiva memoria. La Broker s.r.l. ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1 Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 345 c.p.c., nonchè degli artt. 24 e 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

I ricorrenti sostengono che la corte di merito avrebbe violato il divieto di nova in appello, stabilito dall’art. 345 c.p.c.. Ciò, in quanto la Broker Immobiliare s.r.l. per la prima volta solo nell’atto d’appello avrebbe affermato di aver diritto alle somme richieste a titolo di mediazione, e non a titolo di mandato, come invece sostenuto nel giudizio di primo grado; così mutando inammissibilmente – la causa petendi della domanda originariamente proposta.

Aggiungono i ricorrenti che il giudice d’appello, consentendo tale mutamento della domanda giudiziale, avrebbe dovuto quantomeno disporre l’assunzione delle prove orali da essi dedotte, in ossequio al principio costituzionale del contraddittorio e della parità delle parti.

1.2 Il motivo è inammissibile per difetto di specificità, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3 e 6.

Difatti, i ricorrenti non hanno trascritto gli atti di primo grado, nè i motivi dell’appello proposto dalla Broker Immobiliare s.r.l. In tal modo hanno impedito a questa Corte di verificare in concreto quale fosse il titolo del petitum originario (in particolare, che la domanda dell’attrice fosse basata sul rapporto di mediazione) e, tantomeno, se vi sia stata la lamentata mutatio libelli.

Peraltro, dalle conclusioni rassegnate dalla Broker Immobiliare s.r.l. nell’atto di citazione innanzi al Tribunale di Roma, riportate a pag. 2 della sentenza impugnata, risulta che l’attrice chiese fin dall’inizio il pagamento dei compensi a titolo di mediazione. La censura, pertanto, oltre che formulata in modo inammissibile, sarebbe pure manifestamente infondata.

1.3 Essendo infondata la censura principale, viene meno anche quella accessoria relativa alla mancata ammissione, in grado d’appello, delle prove indicate dai ricorrenti. Costoro, infatti, indicano nella mutatio libelli asseritamente effettuata dalla Broker Immobiliare s.r.l. la ragione che avrebbe dovuto indurre la corte territoriale a consentire quantomeno l’espletamento delle nuove prove da loro richieste.

Comunque, anche in parte qua la censura è formulata in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, poichè non vengono trascritti i capitoli di prova orale della cui ammissione i ricorrenti si lamentano, nè viene specificato come e quando tali prove vennero richieste in primo grado.

2.1 Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1754,1755,1603 e 1988 c.c.. La censura si rivolge contro la sentenza impugnata nella parte in cui si afferma che “ben possono coesistere il rapporto di mediazione e un rapporto contrattuale di altro tipo tra il mediatore ed uno dei soggetti messi in contatto”.

Illustrano i ricorrenti che l’art. 1754 c.c., che disciplina la mediazione tipica, espressamente esclude che il mediatore possa essere legato con una delle parti dell’affare da un rapporto di collaborazione, dipendenza o rappresentanza.

Come accertato nel merito dalla corte territoriale, la Broker Immobiliare s.r.l. avrebbe agito in qualità di mandataria per conto di parte venditrice, percependo il relativo compenso.

Ciò sarebbe, dunque, incompatibile con la contestuale assunzione del ruolo di mediatore tra le parti della compravendita, sicchè non poteva essere accolta la domanda di condanna al pagamento di una provvigione a tale titolo. Una diversa configurazione dei rapporti tra mandato e intermediazione, tale che l’uno non escluda l’altra, avrebbe l’effetto di porre nel nulla l’istituto del mandato, e comporterebbe l’ingiustificato arricchimento del mandatario-intermediario.

2.2 Il motivo è infondato.

La giurisprudenza di legittimità più risalente tendeva a sottolineare l’imparzialità del mediatore, tratto essenziale ai sensi dell’art. 1754 c.c., intesa come assenza di ogni vincolo di mandato, di prestazione d’opera, di preposizione institoria e di qualsiasi altro rapporto che renda riferibile al dominus l’attività dell’intermediario (Sez. 3, Sentenza n. 6959 del 26/05/2000, Rv. 536954 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 1447 del 09/02/2000, Rv. 533676 – 01).

Più di recente, però, il rapporto tra mandato e mediazione è stato ricostruito in termini diversi.

Anzitutto, risolvendo un contrasto sul punto, è stata ritenuta configurabile la c.d. mediazione unilaterale, che si realizza ove, a fronte dell’attività di mediazione svolta senza vincoli di collaborazione, dipendenza o rappresentanza di una sola delle parti, sussista un rapporto di mandato ovvero il conferimento dell’incarico al mediatore ad opera di una parte di ricercare una persona interessata allo stesso affare a determinate e prestabilite condizioni (Sez. U, Sentenza n. 19161 del 02/08/2017, Rv. 645138 – 01; v. pure Sez. 5, Sentenza n. 29287 del 14/11/2018, Rv. 651545 – 01).

Tanto premesso, la Cassazione ha, quindi, ritenuto configurabile il diritto alla provvigione del mediatore per l’attività prestata in favore di una delle parti contraenti anche quando egli sia stato contemporaneamente procacciatore d’affari dell’altro contraente.

Se è vero che, normalmente, il procacciatore d’affari ha diritto al pagamento solo nei confronti della parte alla quale sia legato da rapporti di collaborazione, è anche vero che tale “normale” assetto del rapporto può essere derogato dalle parti, nell’esercizio della loro autonomia negoziale. Infatti, ben può il procacciatore, nel promuovere gli affari del suo mandante, svolgere attività utile anche nei confronti dell’altro contraente con piena consapevolezza e accettazione da parte di quest’ultimo. Di conseguenza, essendo il procacciatore di affari figura atipica, i cui connotati, effetti e incompatibilità vanno individuati di volta in volta, con riguardo alla singola fattispecie, occorre avere riguardo al concreto atteggiarsi del rapporto e, in particolare, alla natura dell’attività svolta e agli accordi concretamente intercorsi con la parte che non abbia conferito l’incarico (da ultimo: Sez. 2, Ordinanza n. 12651 del 25/06/2020, Rv. 658278 – 01).

In particolare, questa Corte, con la sentenza n. 24950 del 2016 (non massimata), ha osservato: “il mandato a reperire possibili contraenti può coordinarsi con il fenomeno mediatorio senza per questo escluderlo. Già l’art. 1762 c.c., nel prevedere che il mediatore il quale non manifesti a un contraente il nome dell’altro risponde dell’esecuzione del contratto, ammette implicitamente che il mediatore stesso, pur mantenendo la suddetta qualità, vi aggiunga quella di nuncius o di mandatario del contraente non nominato. (…) La circostanza che la mediazione sia stata innescata non da un’iniziativa ingerente ma dall’incarico di uno dei soggetti interessati a negoziare non ha rilievo di per sè. L’incarico a svolgere la medesima attività che il mediatore svolgerebbe d’iniziativa propria può originare da un mandato interno con una delle parti, che tuttavia non muta l’attività che il mediatore svolga poi ai fini della conclusione dell’affare. Dunque, ciò che è decisivo non è tanto l’imparzialità del suo operare quanto la riconoscibilità esterna della posizione terza che egli assume nel successivo rapporto con entrambe le parti, posizione che gli deriva, appunto, dall’assenza di collaborazione, dipendenza o rappresentanza con una sola di esse.

Vuoi che si ricostruisca in termini contrattuali vuoi che s’intenda come situazione giuridica derivante da contatto sociale, la mediazione non è incompatibile – come in effetti la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto in altre occasioni – con la sussistenza di un rapporto contrattuale di altro tipo tra il mediatore ed uno dei soggetti messi in contatto, come accade allorchè al mediatore sia affidato l’incarico unilaterale di attivarsi per la ricerca del partner commerciale”.

Il ricorso non offre alcun argomento per rivedere il citato orientamento, con il quale neppure si confronta.

La censura va quindi respinta.

3.1 Con il terzo motivo i ricorrenti si dolgono del “travisamento di prove documentali o omesso esame di fatti decisivi per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e art. 366 c.p.c., n. 6. Violazione dell’art. 115 su un punto centrale della controversia”.

In particolare, la corte di merito avrebbe errato nel ritenere decisivo e sufficiente il riconoscimento di debito contenuto in una missiva inviata dal V.D. alla Broker Immobiliare s.r.l. Osservano i ricorrenti che la ricognizione del debito non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma determina “un’astrazione meramente processuale della causa, comportante l’inversione dell’onere della prova (…) mentre resta a carico del promittente l’onere di provare l’inesistenza o la invalidità o l’estinzione di detto rapporto (…). Ebbene, le parti hanno provato per tabulas (…) che il rapporto intercorso era quello di un mandato in via esclusiva e a titolo oneroso. Pertanto la dichiarazione del Signor V.D. non ha alcun rilievo”.

3.2 Il motivo è infondato.

La premessa maggiore- in astratto fondata – del ragionamento sviluppato dai ricorrenti è che la Corte d’appello non avrebbe potuto decidere la causa solo sulla base di una ricognizione di debito, laddove il dichiarante abbia poi fornito la prova dell’insussistenza del rapporto; la premessa minore è che la Corte d’appello abbia qualificato la missiva inviata dal V.D. alla Broker Immobiliare s.r.l. come ricognizione di debito.

Quest’ultima asserzione, però, non corrisponde alle ragioni della decisione impugnata.

Invero, la Corte d’appello scrive: “dall’esame degli atti risulta che la Broker, nell’esperimento del mandato ricevuto dai venditori, è stata contattata dagli odierni appellati, gli ha fatto visionare più volte il cespite, ha con loro avviato trattative finalizzate al trasferimento del cespite e nella corrispondenza ha chiaramente fatto riferimento alla provvigione da pagare in caso di conclusione dell’affare, ricevendo apposita comunicazione ove il V.D. riferisce “siamo interessati all’intera proprietà ed il prezzo che offriamo per la stessa (compresa la provvigione di agenzia e di Euro 8.250.000 alle seguenti condizioni…”. In sostanza gli appellati V.D. e V.d.E., resi edotti del mandato conferito dai venditori alla Broker, erano destinatari di inequivocabili richieste di pagamento della provvigione del 3% in caso di conclusione dell’affare e, a fronte di tali specifiche e richieste, inoltravano, senza mai formulare alcun rilievo, una dettagliata offerta d’acquisto, comprensiva della provvigione di agenzia, così riconoscendo, in modo inequivocabile, di essere tenuti al pagamento della provvigione per l’attività di mediazione di Broker. La dichiarazione inoltrata da V.D. a Broker, formulata non isolatamente ma in riscontro alle precise richieste di pagamento di una provvigione in caso di conclusione dell’affare, assurge a pieno ed incondizionato riconoscimento dell’attività di mediazione del relativo obbligo di pagarne il corrispettivo, sebbene non individuato nell’ammontare” (pag. 7-8).

E’ dunque evidente che la Corte d’appello ha utilizzato il termine “riconoscimento” in modo improprio, non nel senso di cui all’art. 2944 c.c. e neppure quale sinonimo della “ricognizione” di cui agli artt. 1988 e 2720 c.c., bensì quale espressione della incondizionata “accettazione”, da parte del V.D., delle condizioni contrattuali proposte dalla Broker Immobiliare s.r.l., secondo lo schema della conclusione del contratto mediante lo scambio di proposta ed accettazione.

In altri termini, nonostante l’improprietà di linguaggio, la Corte d’appello ha conferito alla missiva indirizzata dal V.D. alla Broker Immobiliare s.r.l. valore negoziale, piuttosto che di mera dichiarazione di scienza.

Dunque, la censura in esame se, da un lato, non intercetta la reale ratio decidendi della sentenza impugnata, dall’altro, pur se la si volesse diversamente qualificare o intendere, andrebbe a scontrarsi con l’insindacabilità in questa sede della ricostruzione della volontà negoziale delle parti, che costituisce un accertamento riservato al giudice di merito.

4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente, nella misura indicata nel dispositivo.

Sussistono i presupposti processuali per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicchè va disposto il versamento, da parte degli impugnanti soccombenti, di un ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta, senza spazio per valutazioni discrezionali (Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550).

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 26 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2021

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