Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10047 del 08/05/2014


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 10047 Anno 2014
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: MAROTTA CATERINA

SENTENZA
sul ricorso 10363-2011 proposto da:
CEVA LOGISTICS ITALIA S.R.L. 13017100150 (già Ceva
Automotive Logistics Italia S.r.l., prima Ceva In-Bound Logistics S.r.l. e
prima ancora TNT ARVIL – joint venture TNT Arcese Bonzano S.p.A.)
in persona del procuratore speciale, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIALE MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI
FIORILLO, rappresentata e difesa dagli avvocati PAOLO TOSI,
ANDREA UBERTI, giusta delega a margine del ricorso;
– ricorrente contro

Data pubblicazione: 08/05/2014

PUGLIESE ANNA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA B.
RICASOLI 7, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO MUGGIA e
STEFANO MUGGIA, che la rappresentano e difendono unitamente
all’avvocato SIMONE BISACCA, giusta delega a margine del

– controrkorrente –

avverso la sentenza n. 942/2010 della CORTE D’APPELLO di
TORINO del 20/10/2010, depositata il 22/10/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
18/03/2014 dal Consigliere Relatore Dott. CATERINA MAROTTA;
udito per la ricorrente l’Avvocato ANDREA UBERTI che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso; in subordine, in caso di soccombenza,
posizionarsi sui minimi per le spese.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L’impresa ricorrente, che ha modificato più volte la sua
denominazione, si occupa di servizi di logistica in ambito FIAT. Nel
1998 acquistò da FIAT Auto S.p.A. il ramo d’azienda relativo ai c.d.
servizi logistici comuni del comprensorio di Torino, consistenti nel
rifornimento interno dei materiali, nonché nelle attività di imballaggio e
preparazione alla spedizione di componenti per vetture. In seguito,
operò ulteriori acquisizioni di rami d’azienda, relativi ad attività di
confezionamento ed imballaggio di parti d’auto per stabilimenti
all’estero e di pezzi di ricambio per le autovetture FIAT.
Nel 2000 tutte le attività svolte in favore della FIAT vennero
accorpate e concentrate in Mirafiori, in particolare nella c.d. officina 81,
in cui operavano lavoratori in parte addetti al confezionamento
manuale, in parte al confezionamento meccanizzato, in altra parte
impiegati in attività di carrellisti e magazzinieri.
Ric. 2011 n. 10363 sez. ML – ud. 18-03-2014
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controricorso;

A partire dalla metà del 2000, a causa della flessione della
produzione FIAT, si ridusse anche l’attività di logistica e la società
ricorrente, dopo aver fatto ricorso nel 2001-2002 alla CIG ed alla
mobilità collegata al raggiungimento del trattamento pensionistico, nel

lavoratori impiegati negli stabilimenti piemontesi di Verrone, Mirafiori e
Rivalta.
Con atto del dicembre 2002, la società comunicò alle organizzazioni
sindacali la richiesta di intervento di CIGS ai sensi dell’art. 1, commi 7 e
8, della 1. n. 223 del 1991, nonché dell’art. 2 del d.P.R. n. 218 del 2000,
precisando che i lavoratori interessati alla sospensione “saranno
individuati sulla base di esigenze tecniche, organizzative e produttive e
per tali soggetti non potrà essere prevista la rotazione, sia per le
caratteristiche delle attività che vengono a cessare, sia per la specificità
delle risorse che dovranno essere sospese in quanto queste ultime non
consentono l’utilizzo di mano d’opera con una metodologia di impiego
polivalente”.
Seguì l’esame congiunto con le OOSS, conclusosi negativamente.
Nel relativo verbale del 20 dicembre 2002 la società ribadì che “verrà
fatto ricorso alla CIGS per crisi aziendale per mesi 12 a decorrere dal 2
gennaio 2003 per massimo 665 lavoratori sospesi a zero ore settimanali,
individuati in base alle esigenze tecnico-organizzative e produttive
aziendali”. Per quanto riguarda la rotazione l’azienda “si dichiara
disponibile a realizzarla nel numero di lavoratori di cui l’organizzazione
aziendale lo consente, con modalità che verranno concordate con le
RSU, compatibilmente con le esigenze tecnico produttive”.
Il 19 giugno 2003 società e la rappresentanza sindacale unitaria
(RSU) sottoscrissero un accordo in cui le parti si diedero atto che “pur
non risolvendo totalmente il problema della rotazione fra i lavoratori
Ric. 2011 n. 10363 sez. ML – ud. 18-03-2014
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dicembre 2002, richiese la CIGS a zero ore per un anno per 665

interessati alla CIGS” avevano operato

“un primo approccio alla

gestione dei dipendenti in oggetto”. L’accordo individuava diverse
mansioni e stabiliva una rotazione da realizzarsi su 54 postazioni
lavorative (30 carrellisti e 24 suddivise tra altre 11 mansioni, con numero

costituita una commissione paritetica per verificare e concordare le
modalità concrete di rotazione.
Il 5 dicembre 2003 la società comunicò alla RSU una seconda
richiesta di CIGS, sempre conseguente alle problematiche di FIAT, in
quanto la debolezza della domanda aveva assunto carattere strutturale
rendendo necessario un intervento di riorganizzazione produttiva. La
richiesta era di sospensione dal 3 gennaio 2004 per 24 mesi di un
numero massimo di 1148 dipendenti. Nella richiesta si dichiarava che i
lavoratori sarebbero stati individuati “sulla base di esigenze tecniche,
organizzative e produttive e per tali soggetti sarà prevista la rotazione
sulla base dei criteri già individuati nell’intesa aziendale del 19 giugno
2003”.
Il 19 e 23 dicembre si tenne l’esame congiunto con le OOSS e le
parti concordarono sul ricorso alla CIGS per riorganizzazione aziendale
per 24 mesi a decorrere dal 3 gennaio 2004, per un numero non
superiore a 665 dipendenti, prevedendo la possibilità di raggiungere
punte sino a 1148 addetti. Per quanto attiene alla rotazione le parti
confermarono il contenuto dell’accordo del 19 giugno 2003. L’esame
congiunto venne rinnovato nel gennaio 2004, confermando gli accordi
del 19 dicembre e del 19 giugno 2003.
A seguito del ricorso di parte lavoratrice e della decisione del
Tribunale di Torino, la Corte d’appello di Torino, con la sentenza
impugnata, ha dichiarato l’illegittimità della sospensione per CIGS ed ha
condannato la società al pagamento delle differenze tra il trattamento di
Ric. 2011 n. 10363 sez. ML – ud. 18-03-2014
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variabile da 1 a 3) e da effettuarsi con cadenza massima di due mesi. Fu

cassa integrazione e la retribuzione spettante, oltre rivalutazione ed
interessi.
La società chiede l’annullamento della sentenza.
Parte intimata si è difesa con controricorso.

1. I motivi di ricorso possono essere raggruppati in base alle diverse
questioni poste dalla società e secondo un opportuno ordine logico.
2. La prima censura è di violazione o falsa applicazione del
combinato disposto di cui agli articoli 20 legge 15/3/1997, n. 59, 1,
legge n. 223 del 1991 e 2, d.P.R. n. 218 del 2000. Violazione o falsa
applicazione dell’articolo 15 preleggi in relazione al rapporto tra il d.P.R.
n. 218 del 2000 e l’art. 1 della legge n. 223.
Secondo la società ricorrente, la legge n. 59 del 1997, che regolò la
delegificazione di norme concernenti procedimenti amministrativi,
avrebbe inciso anche nella materia in esame in quanto il d.P.R. n. 218
del 2000 (“Regolamento recante norme per la semplificazione del
procedimento per la concessione del trattamento di CIGS e di
integrazione salariale a seguito della stipula di contratti di solidarietà, ai
sensi dell’art. 20 della legge n. 59 del 1997, allegato 1 n. 90 e 91”),
avrebbe delegificato la legislazione sulla Cassa integrazione guadagni.
Per effetto di tale operazione, il d.P.R. costituirebbe ormai l’unico
regolamento della materia con la conseguente sostituzione, per
abrogazione esplicita od implicita per incompatibilità, di tutte le altre
disposizioni anche di fonte legale.
In questo diverso contesto normativo, tanto la comunicazione
datoriale di avvio della procedura quanto l’esame congiunto dovevano
intendersi disciplinati esclusivamente dal d.P.R., con esclusione di ogni
possibilità di integrazione con la legge n. 223, con conseguente venir
meno del diritto delle organizzazioni sindacali, e di riflesso dei
Ric. 2011 n. 10363 sez. ML – ud. 18-03-2014
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MOTIVI DELLA DECISIONE

lavoratori, ad essere informati sin dalla comunicazione di avvio della
procedura circa i criteri di selezione dei lavoratori da sospendere e le
modalità di rotazione.
3. La tesi della società contrasta con l’orientamento consolidato di

Cass. 28 novembre 2008, n. 28464, che, affrontando per prima il
problema, all’esito di una analitica ricognizione del quadro normativo,
affermò il seguente principio: la disciplina del d.P.R. n. 218 del 2000 non
ha alcuna efficacia abrogativa della legge n. 223 del 1991 e, quindi, degli
oneri di comunicazione di cui all’art. 1. Più specificamente non incide in
alcun modo sulle disposizioni di cui al combinato disposto degli artt. 5
della legge 164 del 1975 e 1, comma 7, della legge 223 del 1991
riguardante l’obbligo datoriale di comunicare in avvio della procedura
per l’integrazione salariale alle organizzazioni sindacali i criteri di
individuazione dei lavoratori da sospendere, nonché le modalità di
rotazione. Il d.P.R. tende a semplificare la fase propriamente
amministrativa, di rilevanza pubblica, del procedimento di concessione
della integrazione salariale, senza in alcun punto ridurre i diritti dei
lavoratori e le prerogative delle organizzazioni sindacali ad essi
funzionali.
Tale ricostruzione è stata costantemente ribadita dalla
giurisprudenza successiva (cfr., tra le tante, Cass. 18 febbraio 2011, n.
4053) e costituisce ormai un principio consolidato ai sensi dell’art. 360bis, n. 1, cod. proc. civ., come ha rilevato la Sesta sezione civile in una

serie di ordinanze emesse in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375
cod. proc. civ. (cfr. per tutte, Cass. VII civile-lavoro, 12 dicembre 2011,
n. 26587: “In tema di procedimento per la concessione della CIGS
devono escludersi incompatibilità tra la normativa regolamentare
introdotta con il d.P.R. 10 giugno 2000, n. 218, e le disposizioni della
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questa Corte, espresso in una lunga teoria di sentenze, a cominciare da

legge 23 luglio 1991 n. 223: la disciplina regolamentare, che si limita a
imporre all’imprenditore che intenda chiedere l’intervento straordinario
di integrazione salariale l’obbligo di dare tempestiva comunicazione alle
organizzazioni sindacali, attiene unicamente alla fase amministrativa di

della comunicazione, né detta alcuna disciplina in ordine ai criteri di
scelta e, pertanto, non ha in alcun modo inciso sugli obblighi di
rilevanza collettiva di cui all’art. 1, commi 7 e 8, della legge n. 223 citata.
Né la normativa regolamentare ha spostato l’informazione circa i
criteri di scelta e le modalità della rotazione dal momento iniziale della
comunicazione datoriale di avvio della procedura di integrazione
salariale a quello, immediatamente successivo, dell’esame congiunto,
atteso che, così opinando, il contenuto della norma di cui all’art. 2 del
d.P.R. n. 218, citato, risulterebbe del timo estraneo all’esigenza di
semplificazione del procedimento amministrativo, e avrebbe come
conseguenza solo l’alleggerimento degli oneri della parte datoriale con la
compressione dei diritti d’informazione spettanti al sindacato,
delineando un sistema di consultazione sindacale palesemente
inadeguato rispetto alla finalità perseguita. (Principio affermato ai sensi
dell’art. 360-bis, comma 1, cod. proc. civ.)”.
Il ricorso per cassazione in esame non offre elementi per mutare
orientamento.
4. Un secondo gruppo di censure attiene alla necessità della
specificazione dei criteri in sede di comunicazione di avvio della
procedura ai sensi dell’art. 1, comma 7, 1. 223/1991, dell’art. 5, comma
4, 5, 6 1. n. 164/75, 2697 e dell’art. 2 d.P.R. 218/2000 in relazione al
contenuto della lettera di apertura della procedura.
5. Anche su tale necessità la giurisprudenza di legittimità si è
espressa in modo costante. La norma guida (art. 1, comma 7, della legge
Ric. 2011 n. 10363 sez. ML – ud. 18-03-2014
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concessione dell’integrazione stessa, e nulla dice sul contenuto concreto

223 del 1991) è molto chiara nello stabilire che “devono” formare
“oggetto della comunicazione” i “criteri di individuazione dei lavoratori
da sospendere nonché le modalità della rotazione prevista dal comma
8”.

riduttive di tale disposizione, sottolineando, con la sentenza n. 302 del
2000, che, in caso di intervento straordinario di integrazione salariale per
l’attuazione di un programma di ristrutturazione, riorganizzazione o
conversione aziendale implicante una temporanea eccedenza di
personale, il provvedimento di sospensione dall’attività lavorativa è
illegittimo qualora il datore di lavoro, sia che intenda adottare il
meccanismo della rotazione sia nel caso contrario, ometta di comunicare
alle organizzazioni sindacali, ai fini dell’esame congiunto, gli specifici
criteri, eventualmente diversi dalla rotazione, di individuazione dei
lavoratori che devono essere sospesi, in base al combinato disposto
della L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 1, comma 7, e della L. 20 maggio
1975, n. 164, art. 5, commi 4 e 5.
L’orientamento si è consolidato del tempo, trovando conferma nella
successiva giurisprudenza di legittimità (per tutte: Cass. 23 aprile 2004,
n. 7720; Cass. 4 maggio 2009, n. 10236; Cass. 1 luglio 2009, n. 15393;
Cass. 21 settembre 2011, n. 19235).
Da ultimo, Cass., 22 febbraio 2012, n. 7459, ha così sintetizzato i
principi base che regolano la materia: a) il provvedimento di
sospensione dell’attività lavorativa è illegittimo qualora il datore di
lavoro (sia che intenda adottare il meccanismo della rotazione, sia in
caso contrario) ometta di comunicare alle organizzazioni sindacali, ai fini
dell’esame congiunto, ovvero di concordare con le stesse, gli specifici
criteri, eventualmente diversi dalla rotazione, di individuazione dei
lavoratori che devono essere sospesi, ed ai quali criteri la scelta dei
Ric. 2011 n. 10363 sez. ML – ud. 18-03-2014
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Le Sezioni unite hanno escluso la fondatezza di interpretazioni

lavoratori deve poi effettivamente corrispondere (Cass. 28 novembre
2008, n. 28464); b) la specificità dei criteri di scelta consiste nell’idoneità
dei medesimi ad operare la selezione e nel contempo a consentire la
verifica della corrispondenza della scelta ai criteri (Cass. 23 aprile 2004,

di integrazione salariale la cui genericità rende impossibile qualunque
valutazione coerente tra il criterio indicato e la selezione dei lavoratori
da sospendere, viola l’obbligo di comunicazione previsto dalla L. 23
luglio 1991, n. 223, art. 1, comma 7, (Cass. 9 giugno 2009, n. 13240); d)
la mancata specificazione dei criteri di scelta (o la mancata indicazione
delle ragioni che impediscono il ricorso alla rotazione) determina
l’inefficacia dei provvedimenti aziendali che può essere fatta valere
giudizialmente dai lavoratori, in quanto la regolamentazione della
materia è finalizzata alla tutela, oltre che degli interessi pubblici e
collettivi, soprattutto di quelli dei singoli lavoratori (Cass. 19 agosto
2003, n. 12137; Cass. 18 maggio 2006, n. 11660).
La valutazione della rispondenza in concreto delle comunicazioni di
avvio della procedura di Cassa integrazione oggetto dell’esame giudiziale
ai requisiti su indicati, è una valutazione di merito in ordine al contenuto
dell’atto negoziale, che rimane estranea al giudizio di legittimità, quando,
come nel caso in esame, il giudice di merito abbia motivato la sua
decisione in modo sufficiente e privo di contraddizioni.
6. Un’ulteriore questione posta con i motivi di ricorso attiene al
preteso effetto sanante dell’esame congiunto rispetto alla comunicazione
di avvio della procedura, vuoi perché i criteri sarebbero stati
adeguatamente specificati in tale atto (denunciandosi, al riguardo, la
violazione dei canoni ermeneutici legali e della disciplina legale di
riferimento nonché la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. in relazione
alle testimonianze acquisite al giudizio che avrebbero, appunto, smentito
Ric. 2011 n. 10363 sez. ML – ud. 18-03-2014
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n. 7720); c) la comunicazione di apertura della procedura di trattamento

la pretesa genericità dell’accordo e la sua non esaustività ai fini richiesti
dalla legge), vuoi perché i verbali di esame congiunto avrebbero il valore
di atti amministrativi che certificano la regolarità della procedura
(denunciandosi, al riguardo, anche la violazione dell’art. 2697 cod. civ.

suindicati). Analogo ragionamento deve essere svolto con riguardo
all’apprezzamento della prova testimoniale.
7. La tesi per cui l’accordo sindacale (sul cui contenuto, si veda
quanto riportato nello svolgimento del processo) conterrebbe
un’adeguata specificazione dei criteri di individuazione dei lavoratori da
porre in cassa integrazione e spiegherebbe compiutamente le ragioni
della impossibilità del ricorso alla rotazione si risolve nella proposizione
di un giudizio di merito (basato anche su di una particolare rilettura della
prova orale, riportata peraltro per stralci), difforme rispetto a quello
della Corte d’appello. Tale valutazione, al pari di quella concernente la
comunicazione di avvio della procedura, spetta in via esclusiva al
giudice di merito e può essere censurata in cassazione solo negli stretti
limiti del giudizio di legittimità, che nel caso in esame vengono
nettamente travalicati. Analogo ragionamento deve essere svolto con
riguardo all’apprezzamento della prova testimoniale.
8. Quanto poi alla tesi secondo la quale i verbali di esame congiunto
avrebbero il valore di atti amministrativi che certificano la regolarità
della procedura, la società ricorrente la basa sull’art. 2 del d.P.R. 218 del
2000. Dalla lettura di tale norma, però, si evince che all’esame
congiunto partecipano funzionari delle direzioni provinciali o regionali
del lavoro, ma non si evince alcuna efficacia certificatoria della regolarità
della comunicazione aziendale al sindacato in ordine all’adeguata
indicazione dei criteri di scelta o delle ragioni per le quali non si ricorre
alla rotazione.
Ric. 2011 n. 10363 sez. MI – ud. 18-03-2014
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per l’omessa attribuzione di una intrinseca efficacia probatori ai verbali

A queste considerazioni, di per sé esaustive, deve aggiungersi che la
possibilità di un effetto sanante di un accordo sindacale sui criteri di
scelta, laddove l’accordo li indichi in modo puntuale e specifico, è stata
ammessa solo in casi particolari e circoscritti, ma non nell’ipotesi in cui

organizzazioni sindacali di partecipare al confronto con la controparte
adeguatamente informate e ai lavoratori di avere contezza delle
prospettazioni aziendali. Né può essere ammessa con effetto retroattivo
rispetto a scelte in concreto già operate (per ulteriori approfondimenti
si rinvia a Cass. 26587/2011 cit.; in generale sull’esclusione del carattere
sanante dell’accordo cfr. Cass. 9 giugno 2009, n. 13240 e Cass. 1 luglio
2009, n. 15393).
9. Sulla base delle esposte argomentazioni, nelle quali tutte le altre
eccezioni o obiezioni devono considerarsi assorbite, in conclusione, il
ricorso deve essere respinto.
10. Le spese del giudizio di legittimità devono essere poste a carico
della parte soccombente.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la società ricorrente al
pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente
giudizio di legittimità, che liquida in euro 100,00 per esborsi ed euro
2.300,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge.
Così deciso nella can- di consiglio in Roma del 18 marzo 2014.

la comunicazione è strettamente funzionale a mettere in grado le

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