Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10046 del 15/04/2021

Cassazione civile sez. II, 15/04/2021, (ud. 23/06/2020, dep. 15/04/2021), n.10046

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rosanna – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19584-2019 proposto da:

D.A., rappresentato e difeso dall’Avvocato LORENZO TRUCCO, ed

elettivamente domiciliato presso il suo studio in TORINO, VIA

GUICCIARDINI 3;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro-tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2085/2018 della CORTE d’APPELLO di TORINO

depositata il 7/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/06/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

D.A., cittadino della (OMISSIS), proponeva ricorso avanti al Tribunale di Torino avverso il provvedimento della competente Commissione Territoriale di diniego della domanda di riconoscimento della protezione internazionale, chiedendo il riconoscimento della protezione sussidiaria internazionale o, in subordine, il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Il ricorrente descriveva la situazione familiare venutasi a creare a seguito della intervenuta conoscenza del suo orientamento sessuale, avendo egli intrapreso una relazione affettiva con un ragazzo, che dopo circa un anno e mezzo era terminata con il trsferimento di questo nel Togo. In particolare, il richiedente rilevava che il padre – venuto a conoscenza della relazione – aveva tentato di aggredirlo fisicamente, minacciandolo di morte e successivamente aveva incaricato alcuni uomini di cercarlo, ma che tuttavia egli era riuscito a scappare, abbandonando nel maggio 2011 la (OMISSIS) e quindi (transitando e fermandosi in Burkina Faso e Libia) e giungendo in Italia il 9 agosto 2015.

Con ordinanza resa nel proc. civ. n. 6798/2017 R.G. il Tribunale rigettava il ricorso.

Contro tale pronuncia, il ricorrente proponeva appello davanti alla Corte distrettuale di Torino che lo rigettava, con la sentenza n. 2085/2018.

Avverso detta pronuncia D.A. propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi; l’intimato Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la “violazione e/o erronea applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3 Del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7, 8, 11 in combinato disposto con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8”, poichè la motivazione della Corte di merito, là dove ritiene non credibile quanto dichiarato dal richiedente in merito alla sua situazione di omosessualità, è gravente contraddittoria e si basa su affermazioni apodittiche che rilevano uno sconcertante atteggiamento in relazione ad una condizione che attiene alla sfera profonda della personalità.

1.2. – Con il secondo motivo, il richiedente deduce la “violazione e/o erronea applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3 del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c), in combinato disposto con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 anche in relazione alla mancata audizione del ricorrente”.

2. – In considerazione della loro stretta connessione logico-giuridica e formulazione, i motivi vanno esaminati e decisi congiuntamente.

2.1. – Essi sono inammissibili.

2.2. – Occorre qui ribadire che costituisce principio pacifico quello secondo cui il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati attraverso una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non tramite la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass. n. 6259 del 2020; cfr., ex multis, Cass. n. 22717 del 2019 e Cass. n. 393 del 2020, rese in controversie analoghe a quella odierna).

Nella specie, invece, le diverse censure si risolvono nella generica indicazione delle disposizioni della normativa che si assume violata, senza un compiuta illustrazione di motivate ragioni dell’ipotizzato contrasto e, quindi, in una mera ed apodittica affermazione delle tesi del ricorrente.

2.3. – Inoltre, con riguardo alle argomentazioni difensive che investono la valutazione di non credibilità delle dichiarazioni del richiedente (circa le conseguenze, anche penali, nel paese di origine derivanti dalla sua condizione di omosessuale), ritenute espressione di un giudizio soggettivo ed arbitrario, non fondato su elementi oggettivi, rileva il Collegio che – come ancora recentemente chiarito da Cass. n. 22717 del 2019; Cass. n. 31481 del 2018; Cass. n. 16295 del 2018, in tema di valutazione della credibilità soggettiva del richiedente e di esercizio, da parte del giudice, dei propri poteri istruttori officiosi rispetto al contesto sociale, politico e ordinamentale del Paese di provenienza del primo – la valutazione del giudice deve prendere le mosse da una versione precisa e credibile, benchè sfornita di prova (perchè non reperibile o non richiedibile), della personale esposizione a rischio grave alla persona o alla vita: tale premessa è indispensabile perchè il giudice debba dispiegare il suo intervento istruttorio ed informativo officioso sulla situazione persecutoria addotta nel Paese di origine (cfr. Cass. n. 21668 del 2015; Cass. n. 5224 del 2013). Inoltre, Cass. n. 30105 del 2018 ha sancito che il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati…”, deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di acquisizione di tali informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione internazionale, non potendo, per contro, addebitarsi la mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi, in ordine alla ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione, riferita a circostanze non dedotte.

2.4. – Nella specie, la Corte d’appello (confermando le motivazioni del Tribunale, in ragione di una analitica valutazione delle alquanto contraddittorie affermazioni del richiedente) ha espresso un giudizio negativo sull’idoneità del racconto e sulla credibilità del richiedente in modo del tutto conforme ai parametri imposti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

Si tratta, come appare evidente, di accertamenti in fatto, che non possono essere in questa sede messi in discussione se non denunciando, ove ne ricorrano i presupposti (qui, invece, insussistenti), il vizio di omesso esame ex art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (applicabile ratione temporis) come delimitato, quanto al suo concreto perimetro applicativo, da Cass., sez. un. 8053 del 2014. Laddove, il ricorrente neppure deduce circostanze fattuali che non sarebbero state valutate dal giudice di merito e che risulterebbero decisive nel senso voluto, prospettandosi, al più, con giudizio meramente contrappositivo, l’idoneità del racconto a configurare i presupposti per l’accoglimento della domanda.

Inoltre, la decisione oggi impugnata ha richiamato le considerazioni del Giudice di primo grado circa la situazione socio-politica del luogo ((OMISSIS)) di provenienza del richiedente, specificamente indicando le fonti informative a tal fine consultate (Commissione nazionale asilo, settembre 2017), che non danno conto della sussistenza di un conflitto armato interno che crei una situazione di violenza indiscriminata; onde i motivi in esame sono volti ad ottenere la ripetizione del giudizio di fatto, attività qui preclusa in virtù della funzione di legittimità.

2.5. – Resta dunque da porre in evidenza come le censure, nel loro complesso, si risolvano nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso del procedimento, così mostrando la ricorrente di anelare ad una impropria trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata; quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità (Cass. n. 3638 del 2019; Cass. n. 5939 del 2018).

Invero, compito della Cassazione non è quello di condividere o meno la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudice del merito (cfr. Cass. n. 3267 del 2008), dovendo invece il giudice di legittimità limitarsi a controllare se costui abbia dato conto delle ragioni della sua decisione e se il ragionamento probatorio, da esso reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che nel caso di specie è ampiamente dato riscontrare (cfr. Cass. n. 9275 del 2018).

3 – Con il terzo motivo, il ricorrente censura la “violazione e/o erronea applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19 ed in relazione all’art. 10 Cost., comma 3”, nella parte in cui la Corte di merito non ha ritenuto la sussistenza dei presupposti della protezione umanitaria.

3.1. – Il motivo è inammissibile.

3.2. – Pregiudizialmente, con riguardo agli effetti nella fattispecie del sopravvenuto D.L. n. 113 del 2018, va rilevato che, nella sentenza impugnata (pag. 9) la Corte di merito “preliminarmente ritiene doveroso valutare quale disciplina applicare trattandosi, nel caso di specie, di un provvedimento instaurato prima del 5.10.2018 ma pendente al momento della entrata in vigore della normativa sopravvenuta, da ritenersi certamente più restrittiva e quindi, in buona sostanza, più sfavorevole rispetto a quella previgente”; e dunque, “poichè nel D.L. n. 113 del 2018 non è prevista alcuna disposizione transitoria, la Corte ritiene opportuno esaminare la domanda dell’appellante alla luce di entrambe le discipline”.

Il richiedente ritiene erronea detta argomentazione atteso che la novella di cui al detto D.L. non è applicabile ratione temporis alla fattispecie in cui le domande oggetto del presente giudizio (tra cui in particolare quella di protezione umanitaria) sono state proposte prima della sua entrata in vigore, non contemplando alcuna disciplina transitoria (in tal senso, Cass., sez. un., n. 29459 del 2019).

A ben vedere, tuttavia, la censurata argomentazione svolta dalla Corte di merito non si traduce, nei fatti, in una valutazione e affermazione della portata nel caso specifico della entrata in vigore della nuova normativa e della applicabilità della stessa nella fattispecie, ma si configura quale mero generico obiter, tanto più inidoneo ad avere effettiva incidenza nella soluzione della controversia, in ragione del mancato esame della materia secondo i canoni della sopravvenuta disciplina di urgenza.

3.3. – Quanto ancora alla invocata protezione umanitaria (premettendosi che tale doglianza deve essere scrutinata alla stregua della disciplina, di cui al D.Lgs. n. 286, art. 5, comma 6, da ritenersi applicabile ratione temporis: Cass., sez. un. 29459 e n. 29461 del 2019), va soltanto rimarcato che questa Corte ha già avuto occasione di chiarire (cfr. Cass. n. 17072 del 2018; Cass. n. 22979 del 2018) che, se assunto isolatamente, il contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani nel paese di provenienza non integra, di per sè solo ed astrattamente considerato, i seri motivi di carattere umanitario, o derivanti da obblighi internazionali o costituzionali, cui la legge subordina il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria. Ciò, in quanto “il diritto al rispetto della vita privata – tutelato dall’art. 8 CEDU (…) – può soffrire ingerenze legittime da parte dei pubblici poteri per il perseguimento di interessi statuali contrapposti, quali, tra gli altri, l’applicazione ed il rispetto delle leggi in materia di immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero (…) non goda di uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che venga definita la sua domanda di determinazione dello status di protezione internazionale (cfr. Corte EDU, sent. 08.04.2008, ric. 21878/06, caso Nnyan.zi c. Regno Unito, par. 72 ss.)”.

In ordine alla verifica delle condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria – al pari di quanto avviene per il giudizio di riconoscimento dello status di rifugiato politico e della protezione sussidiaria – incombe sul giudice il dovere di cooperazione istruttoria officiosa, così come previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 in ordine all’accertamento della situazione oggettiva relativa al Paese di origine. Nella specie, il giudice di appello non ha violato il suddetto principio nè è venuto meno al dovere di cooperazione istruttoria, avendo semplicemente ritenuto, a monte, che i fatti lamentati non costituiscano un ostacolo al rimpatrio nè integrino un’esposizione seria alla lesione dei diritti fondamentali.

Quanto, poi, al parametro dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero questa Corte (Cass. n. 4455 del 2018; e successivamente Cass., sez. un., n. 29460 del 2019) ha precisato che “In materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza”.

A tal riguardo, il motivo appare ulteriormente inammissibile anche alla luce della valutazione comparativa espressa dal giudice di merito con esaustiva indagine circa le condizioni descritte dello straniero con riguardo al suo paese di origine ed all’integrazione in Italia acquisita, valutazione in sè evidentemente non rivalutabile in questa sede.

4. – Il ricorso è inammissibile. Nulla per le spese in ragione del fatto che il resistente non ha svolto alcuna difesa. Va emessa la dichiarazione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. D.P.R. n. 115 del 2002, Ex art. 13, comma 1-quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 23 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2021

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