Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10045 del 08/05/2014


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 10045 Anno 2014
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: MANCINO ROSSANA

SENTENZA
sul ricorso 12629-2013 proposto da:
CEVA LOGISTICS ITALIA SRL 13017100150 (già Ceva Automotive
Logistics Italia Sri, prima Ceva In-Bound Logistics Sri e prima ancora
TNT ARVIL – joint venture TNT Arcese Bonzano SpA) in persona
del procuratore speciale, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE
MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI,
rappresentata e difesa dagli avvocati TOSI PAOLO, UBERTI
ANDREA, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente contro

.2a18
UI

Data pubblicazione: 08/05/2014

MANCUSO MARIA FORTUNATA, elettivamente domiciliata in
ROMA, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa
dagli avvocati CHIODO SILVIO, BENEDETTO PELLERITO,
PELLERITO GIUSEPPE, giusta procura speciale in calce al
controricorso;
controlicarrente

avverso la sentenza n. 1203/2012 della CORTE D’APPELLO di
TORINO del 6.11.2012, depositata il 13/11/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
18/03/2014 dal Consigliere Relatore Dott. ROSSANA MANCINO;
udito per la ricorrente l’Avvocato Andrea Uberti che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso; in subordine, in caso di soccombenza,
posizionarsi sui minimi per le spese.

Ric. 2013 n. 12629 sez. ML – ud. 18-03-2014
-2-

Rgn 12629/2013 Ceva Logistic Italia s.r.l. c/Mancuso Maria Fortunata
Udienza 18 marzo 2014

Svolgimento del processo e motivi della decisione

occupa di servizi di logistica in ambito FIAT. Nel 1998 acquistò da FIAT
Auto spa il ramo d’azienda relativo ai c.d. servizi logistici comuni del
comprensorio di Torino, consistenti nel rifornimento interno dei
materiali, nonché nelle attività di imballaggio e preparazione alla
spedizione di componenti per vetture. In seguito, operò ulteriori
acquisizioni di rami d’azienda, relativi ad attività di confezionamento ed
imballaggio di parti d’auto per stabilimenti all’estero e di pezzi di ricambio
per le autovetture FIAT.
2. Nel 2000 tutte le attività svolte in favore della FIAT vennero accorpate e
concentrate in Mirafiori, in particolare nella c.d. officina 81, in cui
operavano lavoratori in parte addetti al confezionamento manuale, in
parte al confezionamento meccanizzato, in altra parte impiegati in attività
di carrellisti e magazzinieri.
3. A partire dalla metà del 2000, a causa della flessione della produzione
FIAT, si ridusse anche l’attività di logistica e la società ricorrente, dopo
aver fatto ricorso nel 2001-2002 alla CIG ed alla mobilità collegata al
raggiungimento del trattamento pensionistico, nel dicembre 2002, richiese
la CIGS a zero ore per un anno per 665 lavoratori impiegati negli
stabilimenti piemontesi di Verrone, Mirafiori e Rivalta.
4. Con atto del dicembre 2002, la società comunicò alle organizzazioni
sindacali la richiesta di intervento di CIGS ai sensi dell’art. 1, commi 7 e 8,
della 1. 223 del 1991, nonché dell’art. 2 del dpr 218 del 2000, precisando
che i lavoratori interessati alla sospensione “saranno individuati sulla base
di esigenze tecniche, organizzative e produttive e per tali soggetti non
potrà essere prevista la rotazione, sia per le caratteristiche delle attività che
vengono a cessare, sia per la specificità delle risorse che dovranno essere

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i. L’impresa ricorrente, che ha modificato più volte la sua denominazione, si

5. Seguì l’esame congiunto con le OOSS, conclusosi negativamente. Nel
relativo verbale del 20 dicembre 2002 la società ribadì che “verrà fatto
ricorso alla CIGS per crisi aziendale per mesi 12 a decorrere dal 2 gennaio
2003 per massimo 665 lavoratori sospesi a zero ore settimanali,
individuati in base alle esigenze tecnico-organizzative e produttive
aziendali”. Per quanto riguarda la rotazione l’azienda “si dichiara
disponibile a realizzarla nel numero di lavoratori di cui l’organizzazione
aziendale lo consente, con modalità che verranno concordate con le RSU,
compatibilmente con le esigenze tecnico produttive”.
6. 11 19 giugno 2003 società e la rappresentanza sindacale unitaria (RSU)
sottoscrissero un accordo in cui le parti si diedero atto che “pur non
risolvendo totalmente il problema della rotazione fra i lavoratori
interessati alla CIGS” avevano operato “un primo approccio alla gestione
dei dipendenti in oggetto”. L’accordo individua diverse mansioni e
stabilisce che la rotazione verrà realizzata su 54 postazioni lavorative (30
carrellisti e 24 suddivise tra altre 11 mansioni, con numero variabile da 1 a
3) ed avverrà con cadenza massima di due mesi. Fu costituita una
commissione paritetica per verificare e concordare le modalità concrete di
rotazione.
7. Il 5 dicembre 2003 la società comunicò alla RSU una seconda richiesta di
CIGS, sempre conseguente alle problematiche di FIAT, in quanto la
debolezza della domanda aveva assunto carattere strutturale rendendo
necessario un intervento di riorganizzazione produttiva. La richiesta era di
sospensione dal 3 gennaio 2004 per 24 mesi di un numero massimo di
1148 dipendenti. Nella richiesta si dichiarava che i lavoratori sarebbero
stati individuati “sulla base di esigenze tecniche, organizzative e
produttive e per tali soggetti sarà prevista la rotazione sulla base dei criteri
già individuati nell’intesa aziendale del 19 giugno 2003″.
8. Il 19 e 23 dicembre si tenne l’esame congiunto con le OOSS e le parti
concordarono sul ricorso alla CIGS per riorganizzazione aziendale per 24
mesi a decorrere dal 3 gennaio 2004, per un numero non superiore a 665
dipendenti, prevedendo la possibilità di raggiungere punte sino a 1148
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sospese in quanto queste ultime non consentono l’utilizzo di mano
d’opera con una metodologia di impiego polivalente”.

9. A seguito del ricorso di parte lavoratrice e della decisione del Tribunale di
Torino, la Corte d’appello di Torino, con la sentenza impugnata, ha
dichiarato l’illegittimità della sospensione per CIGS ed ha condannato la
società al pagamento delle differenze tra il trattamento di cassa
integrazione e la retribuzione spettante, oltre rivalutazione ed interessi.
10. La società chiede l’annullamento della sentenza. Parte intimata si è difesa
con controricorso.
I motivi di ricorso possono essere raggruppati in base alle diverse
questioni poste dalla società.
M. La prima censura è di violazione o falsa applicazione del combinato

disposto di cui agli articoli 20 legge 15/3/1997, n. 59, 1, legge n. 223 del
1991 e 2, d.p.r. n. 218 del 2000. Violazione o falsa applicazione
dell’articolo 15 preleggi in relazione al rapporto tra il d.p.r. n. 218 del 2000
e l’art. 1 della legge n. 223.
13. Secondo la società ricorrente, la legge n. 59 del 1997, che regolò la
delegificazione di norme concernenti procedimenti amministrativi,
avrebbe inciso anche nella materia in esame in quanto il d.p.r. n. 218 del
2000 (“Regolamento recante norme per la semplificazione del
procedimento per la concessione del trattamento di CIGS e di
integrazione salariale a seguito della stipula di contratti di solidarietà, ai
sensi dell’art. 20 della legge n. 59 del 1997, allegato 1 n. 90 e 91”), avrebbe
delegificato la legislazione sulla Cassa integrazione guadagni. Per effetto di
tale operazione, il d.p.r. costituirebbe ormai l’unico regolamento della
materia con la conseguente sostituzione, per abrogazione esplicita od
implicita per incompatibilità, di tutte le altre disposizioni anche di fonte
legale.
14. In questo diverso contesto normativo, tanto la comunicazione datoriale di
avvio della procedura quanto l’esame congiunto dovevano intendersi
disciplinati esclusivamente dal d.p.r., con esclusione di ogni possibilità di
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addetti. Per quanto attiene alla rotazione le parti confermarono il
contenuto dell’accordo del 19 giugno 2003. L’esame congiunto venne
rinnovato nel gennaio 2004, confermando gli accordi del 19 dicembre e
del 19 giugno 2003.

15. La tesi della società contrasta con l’orientamento consolidato di questa
Corte, espresso in una lunga teoria di sentenze, a cominciare da Cass. 28
novembre 2008, n. 28464, che, affrontando per prima il problema,
all’esito di una analitica ricognizione del quadro normativo, affermò il
seguente principio: la disciplina del d.p.r. n. 218 del 2000 non ha alcuna
efficacia abrogativa della legge n. 223 del 1991 e, quindi, degli oneri di
comunicazione di cui all’art. 1. Più specificamente non incide in alcun
modo sulle disposizioni di cui al combinato disposto degli artt. 5 della
legge 164 del 1975 e 1, comma 7, della legge 223 del 1991 riguardante
l’obbligo datoriale di comunicare in avvio della procedura per
l’integrazione salariale alle organizzazioni sindacali i criteri di
individuazione dei lavoratori da sospendere, nonché le modalità di
rotazione. Il d.p.r. tende a semplificare la fase propriamente
amministrativa, di rilevanza pubblica, del procedimento di concessione
della integrazione salariale, senza in alcun punto ridurre i diritti dei
lavoratori e le prerogative delle organizzazioni sindacali ad essi funzionai
16. Tale ricostruzione è stata costantemente ribadita dalla giurisprudenza
successiva (cfr., tra le tante, Cass. 18 febbraio 2011, n. 4053) e costituisce
ormai un principio consolidato ai sensi dell’art. 360-bis, n. 1, c.p.c., come
ha rilevato la Sesta sezione civile in una serie di ordinanze emesse in
camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c. (cfr. per tutte, Cass. VI
civile-lavoro, 12 dicembre 2011, n. 26587: “In tema di procedimento per
la concessione della CIGS devono escludersi incompatibilità tra la
normativa regolamentare introdotta con il d.p.r. 10 giugno 2000, n. 218, e
le disposizioni della legge 23 luglio 1991 n. 223: la disciplina
regolamentare, che si limita a imporre all’imprenditore che intenda
chiedere l’intervento straordinario di integrazione salariale l’obbligo di
dare tempestiva comunicazione alle organizzazioni sindacali, attiene
unicamente alla fase amministrativa di concessione dell’integrazione
stessa, e nulla dice sul contenuto concreto della comunicazione, né detta
alcuna disciplina in ordine ai criteri di scelta e, pertanto, non ha in alcun

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integrazione con la legge n. 223, con conseguente venir meno del diritto
delle organizzazioni sindacali, e di riflesso dei lavoratori, ad essere
informati sin dalla comunicazione di avvio della procedura circa i criteri di
selezione dei lavoratori da sospendere e le modalità di rotazione.

17. H ricorso per cassazione in esame non offre elementi per mutare
orientamento.
18. Un secondo gruppo di censure attiene alla necessità della specificazione
dei criteri in sede di comunicazione di avvio della procedura ai sensi
dell’art. 1, comma 7, 1. 223/1991, dell’art. 5, comma 4,5, 6 1. n. 164/75,
2697 e dell’art. 2 d.p.r. 218/2000 in relazione al contenuto della lettera di
apertura della procedura.
19. Anche su tale necessità la giurisprudenza di legittimità si è espressa in
modo costante. La norma guida (art. 1, comma 7, della legge 223 del
1991) è molto chiara nello stabilire che “devono” formare “oggetto della
comunicazione” i “criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere
nonché le modalità della rotazione prevista dal comma 8″.
20. Le Sezioni unite hanno escluso la fondatezza di interpretazioni riduttive di
tale disposizione, sottolineando, con la sentenza n. 302 del 2000, che, in
caso di intervento straordinario di integrazione salariale per l’attuazione di
un programma di ristrutturazione, riorganizzazione o conversione
aziendale implicante una temporanea eccedenza di personale, il
provvedimento di sospensione dall’attività lavorativa è illegittimo qualora
il datore di lavoro, sia che intenda adottare il meccanismo della rotazione
sia nel caso contrario, ometta di comunicare alle organizzazioni sindacali,
ai fini dell’esame congiunto, gli specifici criteri, eventualmente diversi
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modo inciso sugli obblighi di rilevanza collettiva di cui all’art. 1, commi 7
e 8, della legge n. 223 citata. Né la normativa regolamentare ha spostato
l’informazione circa i criteri di scelta e le modalità della rotazione dal
momento iniziale della comunicazione datoriale di avvio della procedura
di integrazione salariale a quello, immediatamente successivo, dell’esame
congiunto, atteso che, così opinando, il contenuto della norma di cui
all’art. 2 del d.p.r. n. 218, citato, risulterebbe del tutto estraneo all’
esigenza di semplificazione del procedimento amministrativo, e avrebbe
come conseguenza solo l’alleggerimento degli oneri della parte datoriale
con la compressione dei diritti d’informazione spettanti al sindacato,
delineando un sistema di consultazione sindacale palesemente inadeguato
rispetto alla finalità perseguita. (Principio affermato ai sensi dell’art. 360bis, comma 1, c.p.c.)”.

dalla rotazione, di individuazione dei lavoratori che devono essere sospesi,
in base al combinato disposto della L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 1,
comma 7, e della L. 20 maggio 1975, n. 164, art. 5, commi 4 e 5.

22. Da ultimo, Cass., 22 febbraio 2012, n. 7459, ha così sintetizzato i principi
base che regolano la materia:
a) il provvedimento di sospensione dell’attività lavorativa è
illegittimo qualora il datore di lavoro (sia che intenda adottare il
meccanismo della rotazione, sia in caso contrario) ometta di
comunicare alle organizzazioni sindacali, ai fini dell’esame
congiunto, ovvero di concordare con le stesse, gli specifici
criteri, eventualmente diversi dalla rotazione, di individuazione
dei lavoratori che devono essere sospesi, ed ai quali criteri la
scelta dei lavoratori deve poi effettivamente corrispondere
(Cass. 28 novembre 2008, n. 28464);
b) la specificità dei criteri di scelta consiste nell’idoneità dei
medesimi ad operare la selezione e nel contempo a consentire la
verifica della corrispondenza della scelta ai criteri (Cass. 23
aprile 2004, n. 7720);
c) la comunicazione di apertura della procedura di trattamento di
integrazione salariale la cui genericità rende impossibile
qualunque valutazione coerente tra il criterio indicato e la
selezione dei lavoratori da sospendere, viola l’obbligo di
comunicazione previsto dalla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 1,
comma 7, (Cass. 9 giugno 2009, n. 13240);
d) la mancata specificazione dei criteri di scelta (o la mancata
indicazione delle ragioni che impediscono il ricorso alla
rotazione) determina l’inefficacia dei provvedimenti aziendali
che può essere fatta valere giudizialmente dai lavoratori, in
quanto la regolamentazione della materia è finalizzata alla tutela,
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21. L’orientamento si è consolidato del tempo, trovando conferma nella
successiva giurisprudenza di legittimità (per tutte: Cass. 23 aprile 2004, n.
7720; Cass. 4 maggio 2009, n. 10236; Cass. 1 luglio 2009, n. 15393; Cass.
21 settembre 2011,n. 19235).

23. La valutazione della rispondenza in concreto delle comunicazioni di avvio
della procedura di Cassa integrazione oggetto dell’esame giudiziale ai
requisiti su indicati, è una valutazione di merito in ordine al contenuto
dell’atto negoziale, che rimane estranea al giudizio di legittimità, quando,
come nel caso in esame, il giudice di merito abbia motivato la sua
decisione in modo sufficiente e privo di contraddizioni.
24. Un’ulteriore questione posta con i motivi di ricorso attiene al preteso
effetto sanante dell’esame congiunto rispetto alla comunicazione di avvio
della procedura, vuoi perché i criteri sarebbero stati adeguatamente
specificati in tale atto, vuoi perché i verbali di esame congiunto avrebbero
il valore di atti amministrativi che certificano la regolarità della procedura.
25. La tesi per cui l’accordo sindacale (sul cui contenuto, v., supra, punto n. 5
e 6) conterrebbe un’adeguata specificazione dei criteri di individuazione
dei lavoratori da porre in cassa integrazione e spiegherebbe
adeguatamente le ragioni della impossibilità del ricorso alla rotazione si
risolve nella proposizione di un giudizio di merito (basato anche su di una
particolare rilettura della prova orale, riportata peraltro per stralci),
difforme rispetto a quello della Corte d’appello. Tale valutazione, al pari
di quella concernente la comunicazione di avvio della procedura, spetta
in via esclusiva al giudice di merito e può essere censurata in cassazione
solo negli stretti limiti del giudizio di legittimità, che nel caso in esame
vengono nettamente travalicati.
26. Quanto poi alla tesi secondo la quale i verbali di esame congiunto
avrebbero il valore di atti amministrativi che certificano la regolarità della
procedura, la società ricorrente la basa sull’art. 2 del d.p.r. 218 del 2000.
Dalla lettura di tale norma, però, si evince che all’esame congiunto
partecipano funzionari delle direzioni provinciali o regionali del lavoro,
ma non si evince alcuna efficacia certificatoria della regolarità della
comunicazione aziendale al sindacato in ordine all’adeguata indicazione
dei criteri di scelta o delle ragioni per le quali non si ricorre alla rotazione.

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oltre che degli interessi pubblici e collettivi, soprattutto di quelli
dei singoli lavoratori (Cass. 19 agosto 2003, n. 12137; Cass. 18
maggio 2006, n. 11660);

possibilità di un effetto sanante di un accordo sindacale sui criteri di
scelta, laddove l’accordo li indichi in modo puntuale e specifico, è stata
ammessa solo in casi particolari e circoscritti, ma non nell’ipotesi in cui la
comunicazione è strettamente funzionale a mettere in grado le
organizzazioni sindacali di partecipare al confronto con la controparte
adeguatamente informate e ai lavoratori di avere contezza delle
prospettazioni aziendali. Né può essere ammessa con effetto retroattivo
rispetto a scelte in concreto già operate. (Per approfondimenti si rinvia a
Cass. 26587/2011 cit.; in generale sull’esclusione del carattere sanante
dell’accordo cfr. Cass. 9 giugno 2009, n. 13240 e Cass. 1 luglio 2009, n.
15393).
28. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato. Le spese del giudizio di
legittimità devono essere poste a carico della parte soccombente, con
distrazione in favore dell’avvocato Giuseppe Pellerito dichiaratosi
antistatario.
29. Per essere il ricorso pendente alla data del 31 gennaio 2013, sussistono,
ratione temporis, i presupposti previsti dall’art.13 comma 1-quater del d.P.R.
n.115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della legge n.228 del 2012
(legge di stabilità 2013) per il versamento, a carico della parte ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto
per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato articolo 13.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle
spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 1.500,00 per compensi
professionali ed euro 100,00 per spese, oltre accessori, da distrarsi in favore
dell’avvocato Giuseppe Pellerito dichiaratosi antistatario. Ai sensi dell’art.13
comma 1-quater del d.P.R. n.115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della
legge n.228 del 2012 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento,
da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello
stesso articolo 13.

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2Z A queste considerazioni, di per sé esaustive, deve aggiungersi che la

Così deciso nella camera di consiglio in Roma del 18 marzo 2014.

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