Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10042 del 28/05/2020

Cassazione civile sez. VI, 28/05/2020, (ud. 19/12/2019, dep. 28/05/2020), n.10042

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. SCALDAFFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. FALAABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1904-2019 proposto da:

D.B.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato LIA MINACAPILLI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS) COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI SIRACUSA;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CATANIA, depositato il

14/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 19/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. FALABELLA

MASSIMO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnato per cassazione il decreto del Tribunale di Catania, pubblicato il 14 novembre 2018, con cui è stato negato che al ricorrente D.B.M. potesse essere riconosciuto lo status di rifugiato ed è stato altresì escluso che lo stesso potesse essere ammesso alla protezione sussidiaria e a quella umanitaria.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su tre motivi. Il Ministero dell’interno, intimato, non ha svolto difese.

Il Collegio ha autorizzato la redazione del provvedimento in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – I motivi di ricorso si riassumono come segue.

Primo motivo: violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., oltre che del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5. Ad avviso del ricorrente, il Tribunale avrebbe violato le prescrizioni in tema di attenuazione dell’onere probatorio, ponendo in dubbio la situazione di violenza in essere nel paese di provenienza del ricorrente e il conseguente rischio per la sua incolumità personale; assume l’istante che il Tribunale non avrebbe spiegato la ragione per cui il proprio racconto dovesse considerarsi non idoneo al riconoscimento dello status di rifugiato, laddove egli aveva compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda e le sue dichiarazioni dovevano ritenersi coerenti e plausibili, oltre che concordanti con le informazioni generali di cui lo stesso giudice di merito disponeva.

Secondo motivo: violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c). Vi si assume che il Tribunale non potesse non riconoscere il danno grave di cui al citato D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 avuto riguardo al contesto socio-politico che caratterizzava il paese e, segnatamente, alla zona del Senegal da cui proveniva il ricorrente. E’ dedotto che ai fin della forma di protezione invocata risultava essere decisivo l’elevato rischio per l’incolumità personale del richiedente, a prescindere dalla prova dell’esistenza di una minaccia personale nei confronti di quest’ultimo.

Terzo motivo: violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 32. Il ricorrente lamenta che il Tribunale abbia “mancato di indagare la situazione etnico-politica del Senegal”, quantunque egli avesse “richiamato a sostegno della propria vicenda alcune fonti ufficiali: documenti della stampa e giurisprudenza prodotta per analoghe fattispecie”; rileva che in caso di rimpatrio il ricorrente non avrebbe alcuna possibilità di godere dei propri diritti fondamentali, in ragione dei frequenti scontri politici e religiosi nel suo paese di origine.

2. – Il ricorso è inammissibile.

Il primo motivo non si misura con la sentenza impugnata, giacchè il mancato riconoscimento dello status di rifugiato non trova fondamento in un giudizio di non credibilità del richiedente, quanto, piuttosto, nel rilievo per cui nella narrazione dei fatti fornita dall’interessato (che lo stesso istante evoca riferendo di una aggressione subita nella foresta ad opera di alcuni banditi) non si rinveniva alcun atto di persecuzione per motivi di razza, religione, nazionalità o appartenenza a un gruppo sociale. Va qui rammentato che le censure prive di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata comportano l’inammissibilità del ricorso per mancanza di motivi che possono rientrare nel paradigma normativo di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, giacchè il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi carattere di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata (Cass. 18 febbraio 2011, n. 4036; Cass. 3 agosto 2007, n. 17125; in tema pure Cass. 10 agosto 2017, n. 19989, che precisa come sia necessario che il ricorso per cassazione contesti specificamente la ratio decidendi posta a fondamento della pronuncia impugnata).

Il secondo mezzo è parimenti inammissibile. Fondandosi su fonti qualificate, che sono state citate nel decreto impugnato, il Tribunale ha escluso che ricorressero le condizioni per accordare la protezione sussidiaria, rilevando come il conflitto separatista che aveva interessato l’area di provenienza dell’istante fosse venuto meno nel 2014. Va qui rammentato che l’accertamento della Corte di appello circa la sussistenza della speciale situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che sia causa, per il richiedente, di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito (Cass. 12 dicembre 2018, n. 32064), suscettibile di essere censurato in sede di legittimità a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. 21 novembre 2018, n. 30105), oltre che per assenza di motivazione (nel senso precisato da Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054). Peraltro, il ricorrente ha mancato di articolare censure di tale contenuto.

Analoga sorte deve riservarsi al terzo motivo. Il ricorrente paventa l’impossibilità di godere in patria dei propri diritti umani fondamentali: ma dallo stesso ricorso (pag. 12) si evince che nel giudizio di merito egli si fosse limitato a prospettare che “in caso di rientro andrebbe incontro a gravi difficoltà collegate al suo reinserimento nel tessuto sociale”. Pronunciando sulla protezione umanitaria, il Tribunale ha sconfessato tale assunto evidenziando come il richiedente conservasse in patria “il nucleo familiare intatto e un’occupazione”. Col ricorso per cassazione l’istante intenderebbe superare questi rilievi, che non sono oggetto di specifica censura, spostando il fuoco della contesa sulle generali condizioni del Senegal. In tal modo egli finisce però col pretendere che la pronuncia sulla protezione umanitaria prescinda dai fatti posti a fondamento della relativa domanda: laddove, di contro, la proposizione del ricorso nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. 28 settembre 2015, n. 19197; in senso conforme: Cass. 29 ottobre 2018, n. 27336). Senza contare, poi, che la temuta violazione dei diritti umani deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale del richiedente, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455, in motivazione; Cass. 2 aprile 2019, n. 9304; ora anche Cass. Sez. U. 13 novembre 2019, n. 29460, sempre in motivazione).

3. – Non vi sono spese da liquidare a favore della parte vittoriosa in giudizio.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6a Sezione Civile, il 19 dicembre 2019.

Depositato in cancelleria il 28 maggio 2020

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