Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10041 del 28/05/2020

Cassazione civile sez. VI, 28/05/2020, (ud. 19/12/2019, dep. 28/05/2020), n.10041

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. SCALDAFFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. FALAABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1854-2019 proposto da:

B.I., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato LIA

MINACAPILLI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS) COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI SIRACUSA;

– intimata –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CATANIA, depositato il

12/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 19/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. FALABELLA

MASSIMO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnato per cassazione il decreto del Tribunale di Catania, pubblicato il 12 novembre 2018, con cui è stato negato che al ricorrente B.I. potesse essere riconosciuta la protezione sussidiaria e quella umanitaria.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su tre motivi. Il Ministero dell’interno, intimato, non ha svolto difese.

Il Collegio ha autorizzato la redazione del provvedimento in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – I motivi di ricorso si riassumono come segue.

Primo motivo: violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., oltre che del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5. Ad avviso del ricorrente, il Tribunale avrebbe violato le prescrizioni in tema di attenuazione dell’onere probatorio, ponendo in dubbio la situazione di violenza in essere nel paese di provenienza del ricorrente e il conseguente rischio per la sua incolumità personale; assume l’istante che il Tribunale non avrebbe spiegato la ragione per cui il proprio racconto dovesse considerarsi non idoneo al riconoscimento dello status di rifugiato, laddove egli aveva compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda e le sue dichiarazioni dovevano ritenersi coerenti e plausibili, oltre che concordanti con le informazioni generali di cui lo stesso giudice di merito disponeva.

Secondo motivo: violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c). Vi si assume che il Tribunale non potesse non riconoscere il danno grave di cui all’art. 14 cit. avuto riguardo al contesto socio-politico che caratterizzava il paese e, segnatamente, la zona del Senegal da cui proveniva il ricorrente. E’ dedotto che ai fin della forma di protezione invocata risultava essere decisivo l’elevato rischio per l’incolumità personale del richiedente, a prescindere dalla prova dell’esistenza di una minaccia personale nei confronti di quest’ultimo. E’ poi spiegato che risultava errata l’affermazione del giudice di merito secondo cui esso istante proveniva da una zona diversa del Casamance.

Terzo motivo: violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 32. Il ricorrente lamenta che il Tribunale abbia “mancato di indagare la situazione etnico-politica del Senegal”, quantunque egli avesse “richiamato a sostegno della propria vicenda alcune fonti ufficiali: documenti della stampa e giurisprudenza prodotta per analoghe fattispecie”; rileva che in caso di rimpatrio esso ricorrente non avrebbe alcuna possibilità di godere dei propri diritti fondamentali, in ragione dei frequenti scontri politici e religiosi nel suo paese di origine.

2. – Il ricorso è inammissibile.

Il primo motivo è inidoneo a contrastare il giudizio di non credibilità formulato dal Tribunale. La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma. 5, lettera c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340). La censura risulta pure carente di decisività, giacchè il ricorrente non spiega in che modo la veridicità del proprio racconto – integralmente vertente su di una vicenda familiare – avrebbe consentito l’accoglimento della domanda di protezione sussidiaria. Vero è che, come rilevato nel ricorso per cassazione (a pag. 7), ai fini della protezione invocata rileva pure il rischio per la vita e l’incolumità fisica che sia tollerato dalle autorità statuali: ma l’istante non ha chiarito se e in che modo abbia dedotto, nel corso del giudizio di merito, che a fronte delle minacce paterne, di cui sarebbe stato vittima, le predette autorità non intesero fornire tutela (cfr. D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, lett. c)). E va ricordato, in proposito, che la domanda di protezione internazionale dello straniero non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. 28 settembre 2015, n. 19197; in senso conforme: Cass. 29 ottobre 2018, n. 27336). La censura è, in conclusione, inammissibile.

Il secondo mezzo è da dichiarare parimenti inammissibile. Il Tribunale ha escluso che ricorressero le condizioni per accordare la protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), osservando che il richiedente proveniva da un distretto diverso dal Casamance, dove comunque il conflitto risultava essere superato. Va qui rammentato che l’accertamento della Corte di appello circa la sussistenza della speciale situazione di “violen. za indiscriminata in situaioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che sia causa, per il richiedente, di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito (Cass. 12 dicembre 2018, n. 32064), suscettibile di essere censurato in sede di legittimità a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. 21 novembre 2018, n. 30105), oltre che per assenza di motivazione (nel senso precisato da Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054). Peraltro, il ricorrente ha mancato di articolare censure in tal senso. La doglianza fondata sulla provenienza dello stesso Ba dal Casamance è poi priva di decisività, visto che il Tribunale ha comunque accertato che in detta area il conflitto armato non era più presente.

Il terzo motivo segue la sorte dei precedenti. Il ricorrente paventa l’impossibilità di godere in patria dei propri diritti umani fondamentali: ma dallo stesso ricorso (pag. 12) si evince che nel giudizio di merito egli si era limitato a prospettare che “in caso di rientro andrebbe incontro a gravi difficoltà collegate al suo reinserimento nel tessuto sociale”. Pronunciando sulla protezione umanitaria, il Tribunale ha evidenziato come il richiedente conservasse in patria “il nucleo familiare intatto e un’occupazione”. Col ricorso per cassazione l’istante intenderebbe superare questo rilievo, che non è oggetto di specifica censura, spostando il fuoco della contesa sulle generali condizioni del Senegal. In tal modo egli finisce però col pretendere che la pronuncia sulla protezione umanitaria prescinda dai fatti posti a fondamento della relativa domanda: laddove, come si è visto, la decisione del tribunale doveva fondarsi sui fatti che il richiedente avesse allegato. Senza contare, poi, che la temuta violazione dei diritti umani deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale del richiedente, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455, in motivazione; Cass. 2 aprile 2019, n. 9304; cfr. pure la recente Cass. Sez. U. 13 novembre 2019, n. 29460, sempre in motivazione).

3. – Non vi sono spese da liquidare a favore della parte vittoriosa in giudizio.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6a Sezione Civile, il 19 dicembre 2019.

Depositato in cancelleria il 28 maggio 2020

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