Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10039 del 15/05/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 10039 Anno 2015
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: ROSELLI FEDERICO

SENTENZA

sul ricorso 20759-2013 proposto da:
SESTO GIOVANNI C.E. SSTGNN66A20H501Y, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA ARCHIMEDE 116, presso lo
studio dell’avvocato FULVIO NERI, che lo rappresenta
e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2015
669

contro

BANCA POPOLARE DELL’EMILIA ROMAGNA S.C.A.R.L. C.F.
01153230360, in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO
25/B, presso lo studio degli avvocati ROBERTO PESSI,

Data pubblicazione: 15/05/2015

FRANCESCO GIAMMARIA che la rappresentano e difendono,
giusta delega in atti;

controricorrente

avverso la sentenza n. 5314/2012 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 10/09/2012 R.G.N.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 11/02/2015 dal Consigliere Dott. FEDERICO
ROSELLI;
udito l’Avvocato NERI FULVIO;
udito l’Avvocato SERRANI TIZIANA per delega verbale
PESSI ROBERTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA ) che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

8518/2005;

20153ii3
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso dell’I 1 giugno 2004 Giovanni Sesto chiedeva al Tribunale di
Roma la dichiarazione d’illegittimità del licenziamento intimatogli dalla
società Banca popolare dell’Ernia Romagna, nonché la condanna della
stessa al risarcimento del danno.
Costituitasi la convenuta, il Tribunale con decisione del 4 maggio 2005

condannava la Banca a pagare l’indennità di mancato preavviso.
Proposta impugnazione dal Sesto, la Corte d’appello con decisione non
definitiva dichiarava l’illegittimità del licenziamento e disponeva la
prosecuzione del processo in ordine alla domanda risarcitoria, ma la
decisione veniva cassata da questa Corte con ordinanza 3 dicembre 2009
n.25477 per totale mancanza di motivazione.
Con sentenza del 10 settembre 2012 la Corte d’appello di Roma,
giudicando in sede di rinvio, rigettava l’originario ricorso del Sesto, così
ravvisando la giusta causa del licenziamento.
Essa osservava che il lavoratore, direttore dell’agenzia C di Roma, era stato
licenziato il 29 gennaio 2004 a séguito di accusa disciplinare del 19
dicembre 2003. L’addebito era stato analitico ed aveva avuto ad oggetto un
conto corrente su cui erano stati tratti, in tre settimane, assegni bancari per
oltre quattro milioni di euro senza che esistesse la provvista. Nella lettera di
contestazione erano indicate le operazioni, avallate e conosciute dal Sesto.
Più precisamente queste erano consistite nella suddetta traenza di assegni
privi di provvista in favore di cinque società di capitali, quattro delle quali
avevano cessato l’attività per trasferimento in Brasile. Solo dopo l’addebito
in conto gli assegni erano stati coperti attraverso assegni circolari versati da
una terza persona, pluriprotestata, non formalmente autorizzata a versare
sul conto e sulla cui attività o professione non era stato compiuto alcun
accertamento. Come risultava da quanto dichiarato dall’appellante e dal
vice direttore dell’agenzia, queste operazioni erano servite ad importare

conveniva la giusta causa del licenziamento in giustificato motivo e

-

.■.■•■•■■■■■•■•,..

.

1•~111

autovetture dalla Germania” in nero” ossia con elusione della normativa
tributaria.
Alla chiusura del conto corrente il Sesto non aveva preteso dal cliente né la
restituzione degli assegni non utilizzati né la corresponsione di interessi
passivi per settemila euro, senza aver mai fornito ai superiori alcuna
giustificazione.
trasmessi secondo una cosiddetta “procedura Sycor”, che permetteva un
dialogo cifrato tra l’agenzia e la direzione crediti della Banca. Ancora, il
Sesto aveva autorizzato il cambio di alcuni assegni a persona protestata,
senza percepire alcuna commissione per il servizio. 11 compimento di
operazioni tanto rischiose senza informare la direzione integrava la
violazione di regole essenziali di prudenza, di correttezza e di trasparenza
imposte dell’art.2104, primo comma, cod. civ., tanto più considerando la
notoria diffusione di attività illecite, di riciclaggio e di evasione tributaria,
compiute attraverso operazioni bancarie.
Non era fondata la censura di violazione di un asserito principio
d’immediatezza del licenziamento, ossia di ritardo tale da ingenerare nel
lavoratore il convincimento di una tolleranza da parte della datrice di
lavoro. Non era infatti eccessivo il tempo trascorso fra la contestazione
scritta degli addebiti, del 19 dicembre 2003, e l’atto di licenziamento, del
29 gennaio 2004, considerate la misura cautelare della sospensione dal
servizio e la complessità dell’organizzazione aziendale e delle connesse
indagini.
Contro questa sentenza ricorre per cassazione il Sesto mentre la società
cooperativa Banca popolare dell’Emilia resiste con controricorso. Memorie
utrinque.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Col primo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art.7, primo

Oltre a tutto ciò, egli non aveva mai dato risposta a messaggi elettronici

2,01-5 4113
comma, 1. 20 maggio 1970 n.p00, 2104 cod. civ. e vizi di motivazione, per
avere la Corte d’appello ritenuto sufficientemente specifica una
contestazione di illeciti disciplinari, mossa dalla datrice al prestatore di
lavoro, che non precisava “in maniera analitica e circostanziata” la regola
di condotta asseritamente violata, non potendosi ritenere sufficiente la mera
indicazione di fatti non correlati a norme, di legge, di contratto o di

d’immutabilità della contestazione.
Sostanzialmente la medesima censura è contenuta nel secondo motivo
(violaz. dell’art.7 cit. e vizi di motivazione), nel settimo (violaz.
Dell’art.113 cod. proc. civ.), nell’ottavo (omessa motivazione su un fatto
controverso e decisivo), nel nono(violaz. Dell’art.7 cit., 5 1. 15 luglio 1966
n.604, 2697 cod. civ.), in cui il ricorrente si duole della mancata prova delle
norme aziendali da lui asseritamente violate, nonché dell’attivazione della
cosiddetta procedura Sycor, necessaria alle comunicazioni in cifra fra la
direzione della Banca e l’agenzia da lui diretta, nel tredicesimo ( violaz.
artt.7, 5 e 2697 citt.), ancora per omessa specificazione delle norme violate,
relativamente alla posizione della persona che coprì gli assegni privi di
provvista attraverso il versamento di assegni circolari.
Nessuno dei detti motivi, da esaminare insieme per la connessione, è
fondato.
A norma dell’art.2104, primo comma, cod. civ., il prestatore di lavoro deve
usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta,
nell’interesse dell’impresa. L’art.2119 dello stesso codice attribuisce poi
all’imprenditore il potere di recedere dal contratto di lavoro per giusta
causa, ossia per una causa che non consenta la prosecuzione, anche
provvisoria, del rapportoj Come tutte le clausole generali, quella di “giusta
causa” richiede all’interprete, chiamato ad applicarla nel caso concreto, non
necessariamente il ricorso a norme specificative di qualsiasi livello,
eventualmente espresse anche dall’imprenditore nell’esercizio del suo

regolamento aziendale. Ciò anche per il rispetto del principio

2035 \
potere direttivo (art.2094 cod. civ.), ma può rinviare a criteri di giudizin
risultanti, come dice l’art.2104, dalla “natura della prestazione dovuta”, vale
a dire dalla natura e dall’oggetto del contratto di lavoro nell’impresa.
E’ perciò evidente l’idoneità a frustrare la causa del detto contratto, e così a
generare la responsabilità disciplinare, un comportamento del lavoratore

dell’imprenditore, ne ponga in pericolo il conseguimento dei profitti o lo i
esponga a perdite. Né sempre occorre, per la responsabilità disciplinare, la I
violazione di prescrizioni strettamente attinenti all’organizzazione aziendale i
(conoscibili se inserite nel cosiddetto codice disciplinare) o comunque da i
norme convenzionali o dettate dall’imprenditore, essendo sufficiente in :
molti casi comportamenti manifestamente contrari all’interesse . 1
dell’impresa, intesa anche come comunità di lavoratori (Cass. 23 agosto i
2006 n.18377)) o al cosiddetto “minimo etico” proprio del contratto (Cass.
27 gennaio 2011 n.1926, 18 settembre 2009 n.20270, 14 settembre 2009
n.19770), o ancora, per quel che qui più interessa, alla prevenzione del
rischio bancario di illiquidità (Cass.3 ottobre 2013 n.22626).
E’ necessario ancora considerare che, in tema di contestazioni disciplinari a
lavoratori subordinati, la formulazione dell’addebito ha lo scopo di
consentire all’incolpato l’immediata difesa, senza tuttavia la necessaria
osservanza di schemi prestabiliti e rigidi, bastando le indicazioni essenziali
per individuare i fatti addebitati (Cass.15 maggio 2014 n.10662, 8
novembre 2013 n.25795, 26 maggio 2011 n.11608, le ultime due con
riferimento all’illecito disciplinare del professionista). Tanto meno la
specificità della contestazione obbedisce ai rigidi canoni del capo
d’imputazione nel processo penale (Cass.18 giugno 2002 n.8853).
Nel caso di specie, come qui risulta dalla parte narrativa, la sanzione
espulsiva fu preceduta da una lunga ed analitica esposizione di fatti
palesemente lesivi dell’interesse dell’impresa in quanto illeciti di pericolo, e
non necessariamente di danno, consistiti nel movimento di asswegni per
Il

1

i

che impedisca il proficuo svolgimento dell’attività economica

2 o 1- S 5113
più di quattro milioni di euro in tre settimane, senza accertamento né
dell’immediata copertura né del profilo professionale delle persone che
operavano, né della liceità dei fini da loro perseguiti e senza, ancora,
comunicazione con la direzione della Banca attraverso il prescritto
strumento elettronico.
A queste contestazioni rispose in modo ampio, seppure non plausibile, il

difesa.
La questione concernente la mancata attivazione della procedura
elettronica è nuova in cassazione e perciò la ralativa censura è
inammissibile.
Risulta perciò esente dai denunciati vizi la sentenza qui impugnata, che ha
affermato la giusta causa di licenziamento.
Col terzo motivo il ricorrente prospetta la violazione degli artt.7, 5 e 2697
citt. Per violazione del principio di “immediatezza della comunicazione del
provvedimento espulsivo rispetto al momento della contestazione e delle
successive giustificazioni del lavoratore”.
Sostanzialmente la medesima censura è contenuta nel quarto motivo, in cui
il ricorrente evoca un onere di provare le ragioni dell’asserito ritardo di
comunicazione.
I due connessi motivi non sono fondati.
Il ricorrente lamenta un ritardo non già nella contestazione dell’illecito o
una violazione di termini nello svolgimento del procedimento disciplinare,
bensì una durata di questo talmente lunga da generare nell’incolpato un
affidamento circa la rinuncia dell’imprenditore al potere punitivo.
Ma esattamente il collegio di merito nega che i quaranta giorni di durata
possano avere ragionevolmente generato questo affidamento, con
conseguenze negative per l’incolpato, considerate la gravità e la
complessità delle incolpazioni.
Col quinto motivo il ricorrente denuncia la violazione degli artt.7 cit. e 24

soggetto incolpato, che non può lamentare ora la lesione del suo diritto di

201-55i13
Cost. per mutamento delle ragioni del licenziamento rispetto alle
contestazioni originarie. Queste riguardavano negligenze del direttore
d’agenzia, le quali avevano dato origine ad una “movimentazione anomala”
di un conto corrente, mentre nell’atto di licenziamento si sarebbe fatto
riferimento a circostanze più gravi, quali la collusione dello stesso direttore
con terze persone o una inosservanza di norme “antiriciclaggio”, o ad
Queste considerazioni inducono il ricorrente a denunciare nel sesto motivo
anche il vizio di extrapetizione (violaz. art.112 cod. proc. civ.).
I due connessi motivi sono privi di fondamento poiché nell’atto di
licenziamento e nella sentenza qui impugnata non si fa alcun riferimento a
fatti nuovi ma vengono soltanto svolte considerazioni su circostanze idonee
a rappresentare la gravità ed il significato giuridico dei fatti originariamente
addebitati.
Col decimo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt.7 cit., 2106
e 2119 cod. civ. ossia dei “pacifici principii in materia di giusta causa e di
proporzionalità, che debbono essere applicati nella valutazione del
provvedimento di licenziamento”.
L’infondatezza della censura relativa alla sussistenza della giusta causa di
licenziamento ed alle norme interne dell’impresa è dimostrata dalle ragioni
che qui sono state già illustrate a proposito dei motivi primo, secondo,
settimo, ottavo, nono e tredicesimo.
Quanto alla censura di sproporzione della sanzione del licenziamento
rispetto alla gravità dei fatti contestati, esattamente la sentenza impugnata
si è riferita alla natura dell’illecito disciplinare, di pericolo e non di danno,
all’importo delle somme oggetto delle operazioni irregolari ed alla rottura
del legame di fiducia, necessario e particolarmente intenso nel rapporto di
lavoro bancario.
L’undicesimo motivo ha contenuto processuale poiché si riferisce
all’accoglimento dell’appello incidentale della Banca, ossia alla

6

evasione fiscale.

.01-.5`li
dichiarazione di giusta causa del licenziamento invece che del giustificato
motivo, pur in assenza di riproposizione dell’impugnazione incidentale
(art.436 cod. proc. civ.) nel giudizio di rinvio.
Il motivo non è fondato.
Nel procedimento di rinvio davanti al giudice di secondo grado, che non
costituisce un nuovo giudizio d’appello ma si configura come prosecuzione

disposizione dell’art.436 cod. proc. civ.; pertanto la parte che in quel
giudizio aveva la veste di appellato non è tenuta, in sede di rinvio, a
notificare alla controparte i motivi di gravame incidentale già avan72ti nel
giudizio conclusosi con la sentenza cassata, restando escluso che la
mancata ripetizione degli adempimenti previsti da detta norma violi il
principio del contraddittorio o pregiudichi i diritti di difesa della
controparte (Cass.9 ottobre 1997 n.9808, 20 giugno 2007 n.14306).
Il dodicesimo motivo è inammissibile per genericità ossia perché ritiene
non motivate le affermazioni rese dalla Corte d’appello con riferimento a
non meglio precisati “testi escussi” o “fatti riportati” o “documenti
depositati”.
Col quattordicesimo motivo il ricorrente denuncia omessa motivazione
circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, facendo poi riferimento
a singole circostanze asseritamente trascurate dalla Corte d’apprllo, quali
contatti telefonici o a mezzo facs, intercorsi tra il direttore dell’agenzia e
terze persone.
L’inammissibilità del motivo deriva dall’impossibilità di riportarlo allo
schema dell’art.360, primo comma, n.5, cod. proc. civ.
Ancora insufficienze di motivazione vengono prospettate dal quindicesimo
motivo, con riferimento ad assegni circolari versati sul conto corrente in
questione, irregolarmente da una persona estranea; dal sedicesimo motivo,
con riferimento al mancato accertamento della reale attività o professione
di questa terza persona; dal diciassettesimo e diciottesimo, con riferimento

3-

di quello precedente, non opera nel caso di controversia di lavoro la

2.o 7-5 5 ‘f .3

a dettagli della movimentazione anomala in questione; dal diciarmovesimo
e ventesimo, con riferimento a prove del comportamento tenuto dall’attuale
ricorrente; dal ventunesimo, con riferimento alla mancata riscossione di
settemila euro a titolo di interessi passivi gravanti sul cliente; col
ventiduesimo, con riferimento al mancato uso della procedura Sycor; dal
ventitreesimo, con riferimento a singoli assegni; col ventiquattresimo, ed

Queste censure sono inammissibili perché si basano formalmente
sull’art.360, primo comma, cit., vale a dire sull’omesso esame di un “fatto
decisivo” per il giudizio, ma in realtà prospettano la negligenza, da parte
del collegio d’appello, di singole circostanze, che in realtà sono state
considerate nella sentenza impugnata come elementi singoli di una
complessa fattispecie di illecito.
Rigettato il ricorso, le spese seguono la soccombenza.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali in euro cento/00, oltre a compensi professionali in curo
cinquemila, più accessori di legge. Ai sensi dell’art.13, comma l quater,
d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma
1 bis dello stesso art.13.
Così deciso in Roma 1’11 febbraio 2015
Il Presidente ed estensore

ultimo, con riferimento alla mancata riscossione di commissioni.

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